” I due discorsi napoletani di Berlinguer qui ripubblicati appartengono a due momenti diversi e quasi opposti di un tempo, ignorato dai più, che pare preistorico. Il primo fu pronunciato alla festa nazionale dell’Unità che si tenne a Napoli nel 1976 tre mesi dopo la straordinaria vittoria elettorale del Pci alle elezioni politiche (12 milioni di voti, il 34%,  7 punti percentuali in più). Allora parlava il dirigente politico generalmente riverito come vincitore dentro e fuori il suo partito.  Il secondo è di otto anni dopo, con i comunisti tornati alla opposizione (ma forti ancora del 30% dei voti) dopo il fallimento del governo di unità nazionale e precede di pochi giorni la morte di Berlinguer sul palco di Padova.  Berlinguer veniva adesso considerato un perdente, attaccato dentro e fuori del suo partito.

     E’ utile rileggere questi discorsi (solo in qualche parte riassunti). Nessun  artificio oratorio che renda attraente il discorso. Sono di eguale, ragionevole tono senza enfasi prima e senza animosità dopo, con medesima insistita passione per pochi temi, innanzitutto la pace, il pericolo atomico. Anche dal modo di argomentare si intuisce un carattere. Alcuni, forse molti, che gli furono affezionati lo ricordano secondo una canzone di Gaber : “qualcuno era comunista / perché  Berlinguer era una brava persona”.  Cioè retta, onesta. Della sua politica si ricorda ancora oggi, quando si rivelano episodi di corruzione  politica,  l’affermazione della “questione morale”, divenuta quasi  un luogo comune  – come se  si fosse trattato di una pura e semplice esortazione alla caccia al ladro. Era una denuncia ma anche l’indicazione di un’altra politica, entrambe inascoltate, per salvare i partiti dalla propria rovina. Ma gli furono rimproverate, anche dalla destra del suo partito, come fossero premessa alla campagna contro i partiti e al loro crollo, avvenuto dieci anni dopo.  Un esempio classico di inversione della colpa.  Quei partiti furono vittime di se stessi  e non di una inascoltata denuncia  o del  lavoro dei giudici.

   Ignorato, o combattuto, dopo lo scioglimento del Pci, dalla maggioranza di quelli che avrebbero dovuto essere i   suoi eredi,  Berlinguer  e  il tema della moralità pubblica furono usati in modo strumentale dal nascente movimento populista e dalla destra. Anche per questo si venne affermando l’immagine, comunque vera, della “brava persona”.  Ma c’è da chiedersi che cosa volesse dire essere una brava persona per il segretario di un grande Partito che arrivò a rappresentare più di un terzo degli elettori quando votava l’ottanta per cento.

    Umberto Eco, quando lo presentai a Berlinguer, per complimentarsi gli disse che qualche secolo prima per giungere ad un ruolo di potere simile al suo era necessario avere ucciso qualche centinaio di persone.  Sorrise, con imbarazzo,  anche l’oggetto dello scherzoso elogio (che era anche un’allusione alla diversità della delittuosa carriera staliniana) . Ovviamente Berlinguer non solo non aveva ucciso nessuno, ma non aveva fatto proprio nulla per diventare segretario. A questa funzione, quando si dovette sostituire Luigi Longo ammalato, lo aveva proposto tra i primi anche Giorgio Amendola, noto e affezionato maestro di Giorgio Napolitano.  E non fu da meno Giancarlo Paietta che lo canzonava (il “sardo muto…”, …. “iscrittosi direttamente alla direzione del PCI”…).  Una elezione naturale, quasi scontata. Perché appariva come era. Cioè senza mai dire qualcosa in cui non credeva e senza  compiere nessuno  sforzo speciale per esercitare le funzioni di chi  è chiamato a dirigere in modo equanime. E dimostrò di essere un politico che sapeva guardare lontano…”

Aldo Tortorella

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