Il grosso delle reazioni per l’atroce morte di Satnam Singh è consistito insieme all’espressione di un condivisibile sdegno per la disumanità che l’ha portato alla morte, nel bisogno che il caporalato e il lavoro nero siano perseguiti con determinazione, che i controlli aumentino…insomma tutto l’armamentario classico rafforzato dalla vasta emozione suscitata in questo caso.
Perché una buona legge sul caporalato come quella in vigore oggi è servita a contenere il fenomeno, ad assestare alcuni colpi significativi ma, come è ben evidente, per un fenomeno che rimane più vivo che mai dopo tanti anni? Come è possibile?
Certo, la stessa legge in vigore non è attuata in tutte le sue parti e non dappertutto con la stessa intensità, e quindi porre anche un problema di suo uso e di potenziamento di tutti gli strumenti che essa pure prevede è opportuno e giusto.
Ma detto questo, dobbiamo anche dirci in tutta sincerità, che fermandoci a questo noi rimaniamo al di qua del problema e non ne aggrediamo le cause profonde che lo ripropongono in tutta la sua modernità.
Perché è di questo che stiamo parlando: non di residui arcaici destinati ad essere spazzati via da una modernizzazione che, ahi loro, in alcune aree del paese, tarda ad arrivare.
Questa lente di lettura non ci aiuta a capire e, quindi, a intervenire.
Siamo in presenza di nuove forme di lavoro servile, di sfruttamento estremo del lavoro fino a dinamiche di vera e propria schiavitù come massima espressione della modernità e che si accompagnano al luccichio dell’Intelligenza Artificiale.
E’ così soprattutto per il cibo che è diventato il rappresentante principe di filiere di produzione globali che distribuendo valore in modo assolutamente diseguale, schiacciano la condizione del lavoro, l’anello più basso della filiera, perché è lì che si ritrova il primo segreto per abbattere i costi ed assicurare il profitto agli altri segmenti della catena. L’altro è il consumo e la dissipazione di natura e ambiente, stritolati entro questo circuito produttivo. E così, le insalatine lavate e imbustate; la frutta perfetta e bellissima, senza macchia e difetto; i pomodori inscatolati; la mozzarella lucente prodotta dal latte di quella bufala così paziente e mite hanno tutti alla loro base un processo di compressione e sempre più spesso di aperta violazione strutturale dei diritti della persona e dell’ambiente. E per stare una giornata intera con gli animali in stalla, per raccogliere pomodori a 40 gradi, per lavorare sotto serre a 50 gradi ci sono loro, i migranti, gli extracomunitari, che arrivano non solo per guerre e violenze politiche nei paesi di origine ma anche perché i loro sistemi di produzione locale sono stati letteralmente spiantati dalla monocoltura che è l’altra componente della produzione globale di cibo e vivono in paesi in cui si produce per l’esportazione mentre per vivere ci si affida agli aiuti internazionali…E ci sono le loro bidonville, le loro catapecchie, le loro capanne di plastica ed eternit. Sono essenziali, servono perché possono lavorare a quattro soldi e, il più delle volte, senza fiatare – e se proprio vogliono fiatare ci sono sempre camorra e mafia e tenere l’ordine – senza alcun potere, in un vuoto totale di umanità. Per questo vuoto di umanità, prima di ogni altra cosa, ci vorrebbe una ripulsa morale delle posizioni e delle pratiche della destra al governo.
Loro, il punto iniziale della catena e noi il punto terminale quando siamo costretti a fare la spesa nella rete distributiva grande degli ipermercati e comprare quello che costa di meno, con salari e pensioni così bassi, o a comprare quello che è più veloce da usare perché anche se costa di più mi consente di recuperare tempo, perché di tempo ognuno ne ha sempre di meno…
Mercati generali di Milano; grandi allevamenti intensivi del Nord; Basso Lazio di Satnam; i territori della mozzarella in Terra di Lavoro e nella Piana del Sele; la piana di Foggia con i pomodori; la raccolta delle frutta e dell’uva in Puglia, degli agrumi in Calabria e Sicilia….Eccola una mappa modernissima dell’italica eccellenza che senza migranti non starebbe in piedi. E allora? Si può cambiare paradigma? Anche a cominciare dalla Campania? Si, e si deve.
Gianfranco Nappi