Napoli, al pari di altre città con i loro Atenei, ha visto e vede una mobilitazione degli studenti universitari intorno al tema del diritto dei Palestinesi ad una Patria e, subito, alla fine del massacro in atto a Gaza che in nessun modo può essere giustificato dall’inaudito attacco del 7 ottobre.
Insieme, il tema che sempre più si viene ponendo, in forme anche radicali, è quello dei rapporti di collaborazione con le istituzioni israeliane, anche quelle scientifiche, individuando in quelle, in modo certo semplificato, una qualche corresponsabilità con le azioni del governo di quel paese che invece sono ovviamente tutte di quell’esecutivo.
Infine, quel che emerge sempre più, ed è questo che vorrei mettere a fuoco, è una critica ad una ricerca e ad una scienza assunte come presunte neutre e che ormai sempre più spesso vedono i laboratori universitari, all’ombra di una malintesa interpretazione del rapporto pubblico-privato, come spazi ‘conquistati’ dalla logica economica e da quella militare con specifici progetti.
Le mobilitazioni degli studenti lo fanno verso Israele intanto, chiedendone il blocco, ma in termini sempre più diffusi si viene ponendo il tema generale del rapporto tra ricerca-sistema universitario e interessi dei grandi gruppi, nazionali e internazionali del sistema delle armi.
E’ una grande e per tanti versi nuova questione: è in questi ultimissimi decenni che infatti un rapporto del genere, che è sostanzialmente sempre esistito, è diventato in qualche modo sistematico, figlio di quella riduzione dell’Università pubblica e della ricerca ad azienda e a calcolo puramente economico. E poiché le armi pagano bene, ha trovato sempre più spazio.
E allora, certo si può dissentire, laddove presenti, da impostazioni che di fronte a situazioni di crisi internazionali conducano al blocco del dialogo tra sistemi e paesi diversi: il confronto e la ricerca comune, la costruzione di sempre maggiori elementi di conoscenza condivisa, lo scambio dei saperi si presentano infatti come canali di comunicazione che è delittuoso chiudere in quanto forieri della costruzione di comprensione reciproca e di orizzonti di coesistenza e di pace. Vale per il sapere, gli intellettuali, l’arte, la letteratura nella relazione con tutti i paesi.
Ma questi ragazzi, a me sembra, ci stanno dicendo un’altra cosa, e non credo sia un caso che così come sui temi della crisi climatica, sia da loro che stia venendo una sveglia fortissima.
Ci stanno dicendo che non c’è solo il classico problema della libertà della scienza e della ricerca.
Il dato di fondo nuovo è che è maturato un grande problema di autonomia della ricerca, minacciata, quando non anche apertamente messa in discussione, da processi e sistemi di gestione che, in nome dell’economicità, aprono gli spazi pubblici alla ricerca finalizzata in campo militare. Un sistema da mettere radicalmente in discussione. Ad un grado diverso, peraltro, si pone lo stesso problema nella relazione con i colossi della farmaceutica, che fanno diventare nuova enclosures , i diritti dei brevetti su farmaci ottenuti con una componente fondamentale di risorsa pubblica. E ad un grado simile, si colloca il rapporto tra sistema universitario e della ricerca e grandi colossi del web, a cui spesso si spalancano spazi e aule, archivi e dati senza alcuna condizionalità.
Insomma, questi ragazzi mettono in discussione un sistema che a fronte di una conoscenza e delle sue traduzioni pratiche, sempre più frutto di un sapere sociale, senza il quale nulla dei grandi colossi globali si darebbe, ha esaltato invece il grado di appropriazione della logica privata e di mercato.
E se non c’è autonomia, la libertà è messa in discussione alla radice.
Napoli e Campania, con Università e Ricerca, come sono messi da questo punto di vista? Forse sarebbe il caso di discuterne.
Gianfranco Nappi
E, nella stessa pagina, bel ricordo di Gerardo Marotta ad opra del figlio Massimiliano