Condividendo il Manifesto della FILLEA, dico qualcosa solo in merito alle Azioni 3 e 4, di cui sottolineo in particolare l’adesione all’Agenda ONU 2030 ed al New Green Deal europeo.
La FILLEA pone giustamente al centro dell’Azione 3 la pianificazione territoriale urbanistica. Sono evidenti, nel Paese e in Campania in modo particolare, potenti pressioni per la cancellazione della pianificazione territoriale urbanistica. Quelle che si vogliono favorire, sfruttando i numerosi squilibri regionali e locali, sono le progettazioni circoscritte di trasformazioni insediative, assai lucrose per i privati sulla base delle rendite di posizione. Ma al tempo stesso redditizie – in termini di immagine e di logiche di scambio – per le istituzioni, governate oggi prevalentemente in termini propriamente neofeudali. Con la gestione di poteri rigidamente regolati da gerarchie piramidali tenute insieme da vincoli personali di fedeltà, e perciò indifferenti a ideologie, valori e programmi.
È un fatto, inoltre, che tali pratiche aggravano pesantemente le criticità odierne, legate soprattutto alle alterazioni climatiche e al degrado ambientale, da un lato, e alle molteplici iniquità sociali, dall’altro.
In questo contesto è invece necessario che i piani territoriali e urbanistici, estesi all’intero territorio di competenza dell’istituzione pianificatrice, si configurino in modo integrato ed efficace sia come programmi di contrasto al riscaldamento globale e di adattamento e mitigazione dei suoi effetti, sia come programmi inclusivi di riequilibrio insediativo e di ricomposizione sociale.
A tali fini la pianificazione deve assumere fisonomie ben caratterizzate.
Cominciamo intanto da quanto va contrastato. I piani debbono innanzitutto perseguire, insieme, la drastica riduzione del consumo di suolo e il netto contenimento delle squilibranti polarizzazioni territoriali all’origine dei costi sociali prodotti dagli incrementi delle rendite urbano-immobiliari. Costi costituiti da maggiori esborsi per la casa e per le sedi di attività economiche e da sequenze di inique espulsioni sociali.

Le politiche di rigenerazione urbana sono state già da tempo individuate come idonee a strategie di sviluppo socio-economico sostenibile, centrate sulla riqualificazione delle aree infrastrutturate ed edificate, con priorità per quelle degradate e marginali.


Fa molto bene il Manifesto della FILLEA a sottolineare l’essenzialità della “rigenerazione sociale”. Gli interessi speculativi dominanti, infatti, premono perché, già nei testi legislativi e regolamentari, e ancor più, ovviamente, nelle sperimentazioni concrete, la rigenerazione venga ridotta alle sole operazioni edilizie, con netta preferenza per le demolizioni e ricostruzioni comprensive di cospicui ampliamenti. Qui a Napoli possiamo documentare entrambe le interpretazioni con esempi più che rappresentativi: il disegno della giunta De Luca di modifica della legge urbanistica, un testo semplicemente vergognoso, e la demolizione e ricostruzione da parte di privati della ex sede del Genio Civile nel cuore del centro storico.
L’obiettivo effettivamente perseguito è la crescita abnorme delle rendite immobiliari. Che la collettività paga in termini di costi insediativi e i ceti disagiati anche come espulsione dagli ambiti centrali e allontanamento dai servizi. E perciò nel mirino degli interessi speculativi, oltre che le aree agricole, periurbane e non, ci sono soprattutto gli edificati centrali che possono, in virtù della loro posizione, produrre guadagni più che imponenti. Ripeto, attraverso progettazioni specifiche opportunamente selezionate al di fuori di qualsiasi valutazione di tutte le relazioni complesse con il contesto.
Ecco perché è invece essenziale che gli interventi di rigenerazione urbana derivino organicamente dal processo pubblico, permanente e continuo, di pianificazione urbanistica generale (in questo senso, va corretta – io credo – la citazione positiva dei PINQUA, che hanno contenuti certamente condivisibili, ma sono individuabili e praticabili anche indipendentemente dalla coerenza con il PUC o il PRG, ricadendo perciò nel rischio di selezioni speculative).
Perché è dalla pianificazione urbanistica generale che può scaturire con coerenza strategica la scelta prioritaria degli ambiti urbani da rigenerare, è dalla pianificazione urbanistica generale che può essere controllato il dimensionamento delle trasformazioni (da basare sul calcolo dei fabbisogni sociali e non delle mistificazioni della domanda di mercato), è nella pianificazione urbanistica generale che la politica settoriale delle forestazioni urbane e delle infrastrutture verdi e blu acquista la portata strategica della qualificazione delle urbanizzazioni come risposta alle istanze collettive del diritto alla città.
Ecco perché bisogna opporsi radicalmente al disegno di legge della giunta regionale e lavorare dal basso e in forme le più condivise a leggi alternative, come stiamo cercando di fare.
L’Azione 4 : la partecipazione popolare. Un tema oggi tra i più mistificati. Perché in concreto ufficialmente esaurito con qualche affollata consultazione rituale, generica e improduttiva, o – peggio – effettivamente riservata ad interlocutori selezionati, portatori di interessi organizzati.
Occorre perciò una nuova formulazione legislativa sulla questione. Che ridimensioni il ruolo degli interessi economici rispetto a quelli sociali e culturali. Che consenta di distinguere temi e decisioni inerenti a scelte strutturali di impostazione dei piani da temi e decisioni di tipo operativo, gestibili questi perfino in forme di competizione concorrenziale. E soprattutto che assicuri effettiva partecipazione agli interessi deboli e diffusi, strutturalmente disattrezzati per dedicare tempo e competenze alla propria rappresentazione. Il sindacato può giocare in tal senso ruoli essenziali. È suo dovere e suo diritto pretendere un quadro normativo diverso e nuovo. Ed è nostro diritto e nostro dovere appoggiare vigorosamente questa rivendicazione.

Sandro Dal Piaz

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