Non è difficile inquadrare la drammatica vicenda mediorientale di queste giornate nella ulteriore manifestazione di crisi delle ipotesi e pratiche di nuova messa in forma del mondo che si sono aperte dopo la vittoria della guerra fredda ad opera dell’Occidente.

L’idea di un mondo unipolare, a guida USA, con annessi e connessi, e unificato dal mercato, si è mostrata del tutto incapace di assicurare quel futuro di progresso all’umanità promesso e strombazzato e sta esplodendo in mille pezzi: sia dal punto di vista economico sociale che da quello delle relazioni internazionali.

Questa crisi può svilupparsi in un tempo che consenta alle forze contrarie, che cercano per davvero nuovi equilibri e nuove prospettive di giustizia su scala planetaria, nuove e paritarie relazioni di manifestarsi, di organizzarsi, di costruire le risposte ai problemi aperti.

O può accelerare, trasformarsi in vera e propria esplosione, appunto, che tempo non da’ a niente se non alla pura logica di potenza e della forza.

E allora, l’accelerazione può darsi per una pianificazione folle, e crediamo ( speriamo) proprio che questo non vi sia, o anche per un caso specifico, per un deterioramento locale di una situazione, per un incidente non pianificato.

Il pericolo in cui siamo è esattamente questo.

Ed è per questo che nel misurarsi con quanto sta accedendo occorre muoversi su sue piani fondamentali. il primo: il giudizio su quel che sta accedendo ora, la contingenza da cui non ci si può astrarre.

E corale, vivaddio, si è levata nel nostro paese la condanna per l’orrore di quel sabato 7 ottobre e con la richiesta di liberazione degli ostaggi. E questo, se possibile, lo si può e lo si deve dire in modo ancora più forte oggi, nell’80esimo del rastrellamento nazifascista degli ebrei nel ghetto di Roma.

Hamas non ha alcuna giustificazione. Non può averla. Non gliela si può riconoscere.

Non si può, per la stessa esatta ragione, tacere di fronte alla violenza in atto ora.

Impedire ogni rifornimento di acqua, di viveri, di energia elettrica, sequestrando così due milioni di persone; bombardare indiscrinatamente con alcune migliaia di morti, tra i civili e con alcune centinaia di bambini; ordinare lo sfollamento immediato di centinaia di migliaia di cittadini; accingersi ad una invasione militare di Gaza con il carico di distruzioni che si porterà appresso: può trovare una giustificazione nel legittimo diritto alla difesa?

Siamo su un terreno diverso da tutti i punti di vista che nulla ha a che vedere con questo sacrosanto principio.

Ecco perchè, in nome del diritto e in nome della giustizia, dell’umanità, questa situazione deve fermarsi.

Non procedere oltre.

E questo ci porta al secondo punto da cui non si può e non si deve prescindere, il contesto mondiale che stiamo vivendo: da cosa succederà nei prossimi giorni e settimane in questa parte del mondo è in gioco anche il determinarsi di una accelerazione rovinosa della crisi del mondo che stiamo vivendo.

Siamo già dentro una accelerazione: Russia-Ucraina in testa. Il cuore dell’Europa. E risparmio l’elenco sempre più fitto di conflitti vecchi e nuovi.

La crisi climatica è un altro fattore di accelerazione perchè scatena una competizione sfrenata tra potenze e singoli stati per il controllo dell’acqua, del suolo, della produzione di cibo mentre accresce tutte le spinte migratorie di popolazioni impossibilitate a vivere nei luoghi di origine per le tante guerre e, sempre di più, proprio per gli effetti dei cambiamenti climatici

E ora qui, nel cuore del Mediterraneo, questo conflitto che nasce al fondo dall’aver pensato che ormai fosse risolta la questione Palestinese alla cui derubricazione hanno colpevolmente lavorato i governi di destra israeliana degli ultimi venti anni ma anche tutto l’Occidente.

Credo quindi avesse pienamente ragione Pietro Folena quando su il Manifesto di venerdì scorso (https://www.infinitimondi.eu/2023/10/13/il-realismo-oggi-della-follia-due-popoli-due-stati-pietro-folena-da-il-manifesto/ ), ha rivendicato il bisogno urgente di forze in campo che scommettano per un’altra prospettiva alla crisi mediorientale, dal lato israeliano, da quello palestinese, dall’opinione pubblica mondiale, da Stati e organismi internazionali.

Bisogno urgente: ” l’alternativa è la catastrofe” dice lui.

Ecco il terreno di impegno e di lotta più stringente, per tutte e tutti,

Gianfranco Nappi

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