“Quel martedì, nella casa paterna, lei mangiò l’eucarestia di suo padre”.
La frase non è simbolicamente liturgica, è invece intensamente materica: mangiare è proprio mangiare e l’eucarestia si celebra con una mezza forma di provolone casalingo, impiccata al soffitto con il consueto cordino. Non c’è nessun sospetto di blasfemia. Semmai la liturgia un po’ laica, un po’ religiosa, ma potentemente umana è nel pianto liberatorio, contraddittorio, incongruo al quale “Lei” si abbandona, mangiando mangiando e bevendo bevendo il vino nella casa paterna, dove ormai l’assenza definitiva dei genitori è il fatto concreto che è costretta ad affrontare. Chi è Lei? E’ la Signora Figlia, rapita dalla moglie e mamma che è diventata, quella che nel 2000 compì quarantacinque anni, non protagonista, ma sinossi dell’opera di Susy Mocerino: “Racconti della tua terra” – edizioni La Valle del Tempo.


L’opera ha la complessità propria della autenticità e della semplicità. La protagonista è nonna Mariannina. Dopo una vita insieme il coniuge, nonno Giuseppe, è morto, i figli sono lontano, a Bergamo nasce il nipotino. Mariannina è sola in una grande casa, ma non dispera. Invece di andare a Bergamo per conoscere il nipotino Andrea, fa una scelta inaspettata: si dispone a scrivere racconti, narrazioni provenienti dal passato e dal presente quotidiano alle quali ella aggiunge la grazia di avventure ragionevolmente fantastiche, come le olive animate, che parlano e ridono fra loro, si scambiano informazioni come comari pettegole. In questo modo nonna Marianna invece di sferruzzare matasse di lana per golfini e pullover, come ci si aspetta da una nonna, dipana la matassa delle presenze e delle assenze, delle vicinanze non frequentate e delle lontananze obbligate e dolorose. La nonna recupera il filo iniziale e collega, senza nostalgia, pensieri, ricordi, persone, affetti, tradizioni e famiglie, tiene tutto insieme riversato nella scrittura dedicata al nipotino. S’accorgerà che “l’abito”, così confezionato, è ridondante per un piccino, allora sarà conservato (“Cunte p’a criscenza” come precisa il sottotitolo), per quando sarà più grande.
I racconti si distinguono per l’ambientazione, alcuni sono collocati nella provincia campagnola, altri nella città; rappresentano le due realtà nelle quali Mariannina ha vissuto e dalle quali ha assorbito cultura ed esperienze. Realtà che Marianna trasmette nei racconti anche tramite il linguaggio che riecheggia l’immediatezza dei dialetti, con termini e modi di dire ormai non consueti. In tal modo anche i personaggi fantastici, come api dialoganti e aereoplanini di carta parlanti acquistano familiarità con il lettore. L’Autrice li chiama racconti e formalmente lo sono, ma sostanzialmente l’opera può essere anche un romanzo con tanti protagonisti, dalle nature più diverse, dalle creature umane, a quelle animali, a quelle vegetali, a quelle degli oggetti. Dopo averli letti viene da chiedersi se c’è un buon motivo per ritenere che un albero, una tazza, una biscia o un’insalata non possano pensare, ragionare e parlare.
Recuperata una modalità di dialogo quotidiano con il suo Peppino, dall’aldilà critico ed entusiasta della vena letteraria della moglie, confezionato “l’abito” per il nipotino, il compito di nonna Mariannina è felicemente concluso.
Rimane l’interrogativo di quella “Lei” che, tra una fetta di provolone e l’altra, tra le lacrime si chiede qual è il suo compito generazionale, nella casa di famiglia che, così vuota, sembra aver definitivamente terminato la sua funzione. Complici e ispiratori i ricordi, gli oggetti, i cibi della tradizione, Lei comprende di non essere una naufraga. Lei è la cerniera, quella che rinsalda e combatte le cesure che il tempo, le incomprensioni, le superficialità, le distrazioni della vita, i piccoli rancori incancreniti, che diventano pigre abitudini, compromettono l’unità di intere famiglie. Realizza che “andare a trovare”, a frequentare, a far visita, sempre con qualcosa da regalare è un ottimo antidoto contro la disgregazione e la smemoratezza familiare, perché come diceva il padre: “la campana fa damme e dongo”.
Per questo è un’opera complessa nel raccontare di cose semplici, nella quale la “Tua Terra” del titolo non è solo quella di Andrea, ma quella di ciascuno, in qualunque parte del mondo, che si impegna e lotta per il rispetto delle proprie tradizioni.

Elio Pentonieri




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1 commento

  1. E così quella che doveva essere solo una recensione dell’opera diventa romanzo in sè.
    Bel lavoro, mi ha incuriosito.

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