Pubblichiamo la riflessione di Ugo Leone dedicata a Rocco Scotellaro e uscita a giugno sulla rivistaeco.it e appuntamento a venerdì 6 ottobre, alle 17.30 al Salone dello SPI-CGIL della Campania a Napoli.

Morto prematuramente a soli trent’anni, il poeta lucano autore, secondo Carlo Levi, della “Marsigliese del movimento contadino”, fu definito da Italo Calvino “una testa solida, uno che ha sempre qualche idea da darti”. Attento alle angosce e tribolazioni del sottoproletariato rurale, amatissimo tanto dai contadini in lotta quanto dai numerosi amici “di lettere e di impegno politico”, grazie al centenario della nascita (19 aprile 2023) forse di lui sapremo qualcosa di più. O almeno si spera.

Trent’anni sono proprio niente. Sono pochissimi specialmente da quando l’età media si è enormemente allungata e quella che si chiama speranza di vita alla nascita oggi tende a superare abbondantemente anche gli ottanta anni.

Erano pochi anche negli anni Cinquanta quando il 15 dicembre del 1953 Rocco Scotellaro morì a Portici. Era nato a Tricarico, in Basilicata, il 19 aprile del 1923 e quest’anno è l’occasione per ricordarlo a cento anni dalla nascita.

Dopo un lungo peregrinare da Tricarico a Napoli e a Bari completò gli studi con la maturità classica, ma non anche con la laurea in giurisprudenza troppo preso com’era dall’amore per la politica. Ma non meno per quello per la poesia che è stata, forse, la sua  più amata attività di scrittore.

La politica innanzitutto. Ben consapevole della drammatica situazione dei contadini meridionali iniziò un’intensa attività sindacale e politica iscrivendosi al Comitato di Liberazione Nazionale e al Partito Socialista Italiano. Di quest’ultimo fondò la sezione a Tricarico e, stimolato dalla conoscenza e dalla forte amicizia con Manlio Rossi Doria e soprattutto con Carlo Levi, a 23 anni, nel 1946, divenne sindaco di Tricarico presentandosi alle elezioni in una lista che, non a caso, si chiamava “L’aratro”.

Questi erano anni nei quali un attivismo del genere non passava inosservato ed era fortemente sgradito ai suoi avversari politici. Perciò non durò molto il suo impegno e nel 1950 accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere fu incarcerato per 46 giorni. Poi la giustizia fece il suo corso e Scotellaro venne assolto con formula piena “per non aver commesso il fatto”. Ma era quanto bastava per fargli lasciare l’attività politica pur mantenendo sempre vivo l’impegno sulle condizioni di vita delle popolazioni meridionali. Anche per questo accettò la proposta di Manlio Rossi Doria per un incarico all’Osservatorio Agrario di Portici, per portare avanti un’inchiesta sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud che sarebbe diventato il contenuto di Contadini del sud rimasto incompiuto cosi come il romanzo autobiografico L’uva puttanella.

Il primo è un’indagine sociologica costruita con il racconto di storie individuali con le quali, come è stato scritto, Scotellaro “riesce a dipingere il variegato quadro della civiltà contadina, fatto certamente di dolore e sconforto, ma anche carico di voglia di riscatto dato anche da un certo risveglio politico.

L’uva puttanella, come dicevo, è considerato un romanzo autobiografico nel quale Scotellaro si concentra in modo particolare sulle angosce e tribolazioni di quel sottoproletariato rurale paragonato agli acini maturi, ma piccoli, di uva puttanella.

Entrambi cominciati intorno al 1950 e non completati dopo che il 15 dicembre 1953 un infarto ne stroncò la vita a soli 30 anni.

Diciamo la verità. Se non venisse ogni anno a suonare uno svegliarino fornito dal centenario di qualcuno molti di questi “qualcuno” cadrebbero a lungo nel dimenticatoio. Scotellaro è uno di questi. E dimenticandone la troppo breve esistenza non ne sapremmo niente. E nulla sapremmo dei suoi scritti in gran parte pubblicati postumi grazie all’impegno di Manlio Rossi Doria e Carlo Levi che molto lo avevano amato e stimato.

Nè sapremmo di questa Sempre nuova è l’alba, che Carlo Levi definì una “Marsigliese del movimento contadino”.

Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova.

Forse senza questo centenario sapremmo o, per lo meno, ricorderemmo poco o nulla di Rocco Scotellaro, della sua vita delle sue opere, dei suoi affetti. Il che significa anche personaggi la cui presenza nella vita di Scotellaro ben ricostruisce Carlo Vulpio in un bell’articolo (“Cristo si è fermato a Tricarico”) sul “Corriere della sera” del 29 gennaio 2023: «Era amatissimo dai contadini miserabili che occupavano le terre per sopravvivere, allo stesso modo in cui lo amavano i suoi amici “di lettere e di impegno politico”, come Carlo Levi – confinato dal regime fascista a Grassano, 20 chilometri da Tricarico -, Manlio Rossi Doria, Rocco Mazzarone, Tommaso Pedio, Gilberto Marselli, Leonardo Sacco, Luigi Compagnone, il suo avvocato Niccolò De Ruggieri, Vittore Fiore, Adriano Olivetti, Luchino Visconti, Umberto Saba e Italo Calvino, suo coetaneo, che venne a conoscerlo a Tricarico e lo definì “una testa solida, uno che ha sempre qualche idea da darti, un fine poeta, uno scrittore, uno studioso dei problemi della sua terra”».

A San Giorgio a Cremano, pochi chilometri da Napoli Est gli è stata intitolata una scuola e nel quartiere Pianura a Napoli gli è stata dedicata una via. Mi piacerebbe sapere quanti studenti di quella scuola e quanti residenti in quel quartiere sanno a chi corrisponde quel nome “Rocco Scotellaro”.

Ma, soprattutto mi piacerebbe che l’occasione del centenario della sua nascita consentisse anche di colmare questi eventuali (?) buchi di conoscenza.

Ugo Leone

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