Il 19 agosto scorso Piero Sansonetti ha riproposto l’articolo che Biagio De Giovanni pubblicò sull’Unità del 20 agosto 89 avente per titolo: ”c’era una volta Togliatti”, e, commentando quel pezzo, che fece molto discutere, ha svolto una serie di considerazioni il cui succo è che “dovevamo liberarci del tabù dei tabù: Togliatti”. Dopo aver letto il pezzo di Sansonetti mi sono sorte spontanee alcune domande e stimolate delle riflessioni che cerco di svolgere, ben consapevole che si tratta di argomenti non semplici e sui quali i punti di vista sono legittimamente diversi.
Mi chiedo innanzitutto se davvero Togliatti sia “uscito di scena” con il fallimento del comunismo reale?
Davvero la sua figura può essere racchiusa nella categoria dello stalinismo?
Davvero (solo!) alla fine degli anni 80 all’Unità ci si liberava dello stalinismo e “sentivamo che liberarci dello stalinismo voleva dire anche dare una mazzata al togliattismo” come sostiene Sansonetti?.
Dunque, era passato invano un intero periodo storico che va dal 64 agli anni 80? E non mi riferisco solo alla fase precedente e successiva alla morte di Togliatti ricca di elaborazioni e documenti congressuali importanti. Parlo, anche, della direzione di Berlinguer, con il suo intervento a Mosca del 75 “sulla democrazia come valore universale”, la sua intervista del 76 a Pansa sulla Nato, e parlo dei governi di unità nazionale e tutta la vasta elaborazione ed iniziativa della prima e della seconda metà degli anni 70,fino agli inizi degli anni 80 che segnarono, invece, un profondo cambio di linea da parte di Berlinguer, che suscitò forti discussioni interne, a partire proprio da Napolitano, con il famoso articolo del 21 agosto 81 su Togliatti. Tutto questo non può essere ignorato o sottovalutato. Non siamo vissuti in mondi diversi. Abbiamo attraversato la stessa Storia che, pur fra mille contraddizioni, aveva una direzione di marcia riformistica, pur dentro un involucro ideologico comunista. E’ del tutto vero che il crollo del muro di Berlino ha significato una condanna storica del comunismo reale in Europa, cosi come è del tutto vero che il fallimento del comunismo reale è consistito nel fallimento della promessa di liberazione ed emancipazione dell’umanità, ma è del tutto opinabile che la “figura di Togliatti…usciva di scena con quel fallimento” perché egli è morto 25 anni prima dell’89 e in quei 25 anni il PCI era profondamente cambiato, anche se non quanto sarebbe stato necessario.
Ma al di là di questo dibattito di natura retrospettiva che dovrebbe essere sviluppato in sede storica al riparo da ogni tentazione di semplificazione e di riscrittura della Storia, ci sono molti interrogativi che la fine del comunismo pone in Europa, sia sul piano europeo che nazionale e, con particolare riferimento, al destino della sinistra italiana.

La domanda che sorge immediata è: il rigetto del Togliattismo (concetto un po’ troppo vasto e forse indeterminato) è servito “per ritrovare, come partito, (fino al PD) la freschezza di una visione critica oltre il grave e pesante fardello che portiamo sulle spalle”?
E sul piano europeo “il crollo” ha “aperto un discorso nuovo che guarda con visione franca a una nuova Europa…con una nuova sinistra che costruisce i suoi nuovi ideali di tolleranza, di democrazia di pace.? ”. Dopo l’89 non c’è stata la fine della Storia, e lo scenario che si presenta oggi in Europa dimostra come quella conclusione che sembrava “naturale” ed irreversibile non lo era affatto, ma del tutto contingente e precaria.
Non meno precaria mi sembra la vita della sinistra italiana, o, per meglio dire, ciò che resta della sinistra storica. Espungere o rigettare in modo indiscriminato Togliatti e il nucleo ancora vitale della esperienza storica e politica del PCI , ha significato liquidare il patrimonio politico e storico della parte maggioritaria della sinistra italiana, recidere i legami con la Storia del Paese, essere naufraghi politici in un mare in tempesta. Una operazione che presenta tutti i limiti della cancel cultur. Dico questo senza alcuna nostalgia, nel senso che non ritengo che si possa replicare quella Storia, quanto, piuttosto, innovarla, raccogliendone l’eredità.
Togliatti non è stato solo un capo del comunismo mondiale e, dunque, storicamente corresponsabile di quella tragica Storia, ma, in Italia e, grazie anche alla formazione di “quel PCI”, è stato il più significativo costruttore dello Stato democratico e della sua base popolare. Una missione storica per questo Paese, perché colmava un vuoto che datava dal nostro Risorgimento, non risolto dalla “nazionalizzazione delle masse” su basi antidemocratiche e totalitarie operata dal fascismo. In una certa misura, dunque, possiamo dire che egli è stato, su questo terreno, il Cavour della sinistra italiana. Naturalmente, un contributo altrettanto decisivo è stato dato dalla DC, nelle sue espressioni più consapevoli ed avvedute, come Aldo Moro, già alla Costituente. E, non casualmente, questi due partiti popolari sono stati gli artefici principali del disegno costituzionale italiano, non trascurando, tuttavia, il ruolo importante delle forze laiche e socialiste. Disconoscere questi dati riducendo la Storia del PCI ad una variante dello stalinismo e del PCUS è operazione molto opinabile, benchè più volte tentata, anche nel fronte democratico, da correnti di pensiero azioniste e liberalsocialiste e da parte della sinistra radicale. Va detto, a questo proposito, che il PCI di Togliatti ed il gruppo dirigente togliattiano, nella sua interezza, e, prescindendo dalle specifiche collocazioni nel dibattito interno, sono stati, pur in presenza di elementi di persistenti ambiguità, il vero argine all’estremismo e al massimalismo nel dopoguerra e negli anni 70, grazie proprio all’insegnamento togliattiano che, sia pure in modo parziale e contraddittorio, ha delineato i primi contorni di un riformismo di matrice comunista in Italia. Basti pensare alle riflessioni su riformismo e comunismo svolte in occasione della nascita del primo centro sinistra e a tutta la elaborazione politica e culturale, soprattutto degli anni 70, cui diede impulso importante, appunto, la direzione di Enrico Berlinguer.

La riflessione sull’attuale Pd che è in qualche modo erede di questa esperienza non può prescindere da questi dati. Dice Sansonetti che il PD, punto di approdo di una traversata lungo tre decenni “si è liberato del passato”. E’ vero certamente, ma la domanda a cui bisogna rispondere è: e ora? che cosa è oggi il partito democratico dopo che ha reciso “tutti” i legami con il “passato”, in una discontinuità assoluta ed esplicita; di quale cultura politica si è dotato e, questa, ha un fondamento nella Storia d’Italia? Non è forse questo un limite che dobbiamo superare? Il programma del Lingotto del 2008 mi sembra ampiamente logorato nelle sue fondamenta. Ciò che è stato scritto, poi, nello scorso congresso non è significativo, in assenza di una seria riflessione, anche autocritica, sulle scelte fatte nell’ultimo trentennio sia in termini di proposte istituzionali, sia in politiche economiche, sia sui temi sensibili. Volendo sintetizzare al massimo, si può parlare genericamente di un profilo radicale e liberale con tratti sociali. In ogni caso, niente di comparabile con il profilo della sinistra storica e nemmeno comparabile con il popolarismo cattolico. Un qualcosa di estraneo o, al più, minoritario, nella Storia d’Italia, dal Risorgimento ad oggi e, dunque, dalle prospettive incerte. Su questo bisognerebbe riflettere. Non si può recriminare contro il populismo, l’antipolitica, la demagogia, se non si prende atto che queste tendenze sono state presenti anche nella nostra iniziativa e nelle nostre elaborazioni, e che aver reciso il legame con il nostro passato, anche nel suo nucleo vitale, ha comportato la demolizione dell’argine riformistico vero della sinistra, quella specificità che ne ha fatto una forza democratica e popolare sempre attenta a perseguire l’interesse nazionale.
Arturo Marzano

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L’Articolo riproposto da l’Unità lo scorso 19 agosto a cui fa riferimento Arturo Marzano lo trovate al link sotto. ( Verrebbe solo da chiedersi: se questo è il rapporto con la storia dei comunisti italiani che il quotidiano coltiva, qual’è il senso di questa testata oggi e della sua direzione? Un ulteriore strumento demolitorio di una storia democratica dietro la facciata orgogliosa per una semplice operazione di marketing editoriale? ) . La redazione.

L’articolo è consultabile al link:

https://www.unita.it/2023/08/19/larticolo-su-palmiro-togliatti-del-1989-che-fece-infuriare-il-pci/

la foto in evidenza è tratta dal sito de l’Unità

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