Quando superi una certa età, comici a pensare anche alla possibile scomparsa delle persone più care, degli amici più intimi. Ma non avevo mai pensato di sopravvivere a Elio Barba.
Elio era la vitalità in persona, una vitalità dirompente, irrefrenabile, a volte travolgente nonostante l’età, se si eccettua l’aumento graduale della sordità che rendeva complicati i contatti per telefono e divertenti i colloqui da vicino, trasformandoli in suoi soliloqui, cosa che aveva sempre praticato ma ora aveva almeno la scusa di non capire le domande e le interruzioni altrui.
Elio era un accanito parlatore, un gran dispensatore di parole, anzi era questa la quasi esclusiva modalità di interloquire con gli altri. Comunicava solo con l’oralità e con i plateali gesti che l’accompagnavano. Il suo parlare era un’esplosione di concetti, notizie, riflessioni, ricordi, parabole, tutti mischiati senza interruzioni, senza punti e virgole. Era torrenziale ma mai banale, trasformava la parlata in un flusso ininterrotto di coscienza. Se avesse avuto il dono della scrittura sarebbe stato un grande scrittore.
Ho cercato in questi giorni di dolore e di attesa di inquadrare Elio in una categoria umana tra le tante possibili. La sua originalità è la cosa che più colpiva tutti coloro con cui veniva in contatto. E quali erano i tratti distintivi di questa sua unicità? Elio apparteneva al tipo umano dei tellurici generosi, degli incorreggibili ottimisti, dei radicali esigenti, incalzanti e intransigenti.
In Elio sentivi il vulcano e il terremoto. Il suolo attorno a cui si muoveva era sempre agitato, precario, in rapido movimento. Il suo agitarsi perenne era dettato, però, dalla generosità. Non si muoveva per muoversi, ma per tentare di migliorare le cose del mondo e della vita degli altri offrendo tutto sé stesso ai limiti dell’azzardo. Non accettava le ingiustizie e le prepotenze, sentiva le disuguaglianze come un’offesa personale, si credeva in debito con il mondo, con la vita e con gli altri. La sua vitalità travolgente era alimentata da una generosità travolgente. Come se provare a combattere le ingiustizie fosse una impellente responsabilità personale piuttosto che un’esigenza generale. Al punto da immaginare che tutta la lotta per cambiare il mondo dipendesse da lui, anche il destino di ogni singola persona che incontrava tutti i giorni.
Era eccessivo? Sì, Elio lo era in questa sua inquietudine per gli altri, ma la generosità è l’eccesso per eccellenza. I veri generosi non conoscono il senso del limite e qualche volta finiscono per donare anche più di quello che hanno, a volte anche quello che non hanno. Se ciò di cui disponeva non era sufficiente per le impellenze di chi aveva bisogno, Elio ricorreva al club ristretto dei suoi amici utilizzando le loro professioni, le loro conoscenze, i loro contatti per aiutare chi a lui si era rivolto. Con Elio nelle difficoltà non ti sentivi mai solo.
La seconda caratteristica è strettamente legata alla prima. Elio era un incorreggibile ottimista, malgrado lasciasse intendere di non credere più alla possibilità di cambiare il mondo. Ma non si può essere generosi senza un po’ di ottimismo ottuso: pessimismo e generosità non vanno d’accordo.
Elio non si arrendeva mai anche quando constatava quotidianamente che le ingiustizie non diminuivano e le sofferenze umane crescevano, cercava sempre nuove strade che tenessero viva la speranza. E in attesa che il mondo migliorasse, cercava di migliorare la vita di qualcuno che incontrava, convinto che quello che si fa per uno solo, lo si fa per l’umanità intera. Certo, il mondo non lo si cambierà con qualche piccolo gesto quotidiano, ma senza persone come Elio il mondo sarebbe un posto ancora peggiore. Elio sentiva la rinuncia a lottare come una vigliaccheria.
C’erano molte persone a cui non stava simpatico, alcuni addirittura lo odiavano e lo lasciavano apertamente intendere. Ed Elio ricambiava altrettanto apertamente i sentimenti di ostilità e disistima. Divideva il mondo in due parti, era anche un incorreggibile manicheo. La divisione per lui non era tra bene e male, ma tra chi era degno di considerazione e di amicizia incondizionata e tra chi non meritava neanche l’onore di esser definito uomo o donna (in questo non faceva discriminazioni). Se Sciascia aveva usato 5 categorie per definire l’uomo, per Elio ne esistevano tre soltanto: buono, “cusariello” e un terzo appellativo che conoscono tutti quelli che l’hanno sentito parlare almeno una volta nella vita.
Non aveva timore o soggezione di nessuno e spesso gli piaceva avvicinare qualche persona in vista solo per dirgli che non gli piaceva quello che diceva o scriveva. Un giorno disse a un importante dirigente del Pci: quando ti ascolto mi sembra di sentire il trionfo dell’ovvio.
Qualche volta si passava da una classificazione all’altra delle tre categorie in poco tempo. Elio era molto esigente nei confronti delle persone care o che aveva “scoperto”. Riconosceva il talento con immediatezza e una volta che si era entrati, per suo giudizio, nell’élite ristretta di persone capaci, cominciava un addestramento quotidiano, una pedagogia civile e umana che spesso poteva stancare per il cumulo di aspettative in lui suscitate. Per entrare in questa esclusiva categoria bisognava avere caratteristiche umane, politiche, professionali e morali particolari. Elio non era affatto invidioso del talento altrui, anzi ne era ammirato; riteneva però che dovesse essere messo al servizio di nobili cause, non sopportava che venisse sprecato. Egli si realizzava anche tramite il talento altrui. Entrava nella vita degli altri facilmente, intensamente e qualche volta prepotentemente. Aveva un bisogno di vivere anche attraverso gli altri. Non gli bastava la sua vita, aveva una tale energia che non riusciva a scaricare in una sola vita.
Era in grado di entrare in sintonia con personaggi di rilievo nazionale. Sono stati suoi amici intimi Fausto Bertinotti, un leader politico che, nel bene e nel male, ha segnato la storia recente della sinistra italiana; Alberto Scandone, un raffinatissimo intellettuale che se non fosse morto in un incidente aereo a Palermo nel 1972 sarebbe diventato un protagonista assoluto della cultura italiana; Valentino Parlato, uno dei più grandi giornalisti del nostro paese; Michele Gallucci, uno dei più affermati e capaci luminari della medicina; Nanni Loy, uno dei più importanti registi del secondo dopoguerra. Che talento aveva Elio per entrare in empatia con tali personaggi, occupando un posto nella loro vita?
Elio riusciva ad essere così empatico perché era autentico, capiva il bisogno di rapporti umani intensi in persone che se ne dovevano privare a causa degli obblighi delle loro professioni. Nella vita di queste persone ha portato affetto, amicizia, lealtà, disponibilità in maniera disinteressata e se ne ha avuto qualcosa in cambio lo ha riversato sulle persone che ne avevano bisogno, come le tante che sono state operate dal prof. Gallucci senza pagare un euro.
Elio aveva cominciato la sua esperienza politica nel movimento giovanile socialista e subito era diventato amico dei più dotati di quella generazione. Si era opposto all’unificazione tra il Psi e il Partito socialdemocratico e si era candidato nel 1968 nelle liste del Pci ottenendo un discreto successo (10.000 voti). Era andato a lavorare poi all’Ora di Palermo, seguendo il suo amico Alberto Scandone, immergendosi immediatamente nelle battaglie che quel giornale faceva coraggiosamente in Sicilia e divenne amico del direttore Vittorio Nisticò. Poi era tornato a Salerno e Abdon Alinovi, segretario regionale del Pci, lo indicò come presidente dell’Alleanza Contadini, l’organizzazione di sinistra che provava a contrastare il dominio nelle campagne della Coldiretti. Elio non sapeva niente di quel mondo ma apprese in pochissimo tempo e organizzò una delle battaglie memorabili della storia sociale ed economica della Campania, la lotta per un prezzo stabile ed equo del pomodoro per la lavorazione industriale. E la vinse. È in quella lotta che tanti di noi ci formammo e venne fuori il gruppo dirigente dei comunisti salernitani che poi ebbero un ruolo importante anche in campi diversi dalla politica.
Per Elio la lotta per il prezzo del pomodoro fu l’occasione per dimostrare a tutti le sue qualità. Ne fece una personale epopea e in tanti glielo rimproveravano, ma aveva molte ragioni per essere fiero di quello che aveva fatto: era la prima volta che nelle campagne salernitane (e poi campane) si era organizzata una rivolta dei contadini che, diversamente dagli operai, non avevano mai dato vita a forme pubbliche e collettive di protesta.
Dopo quel successo Elio avrebbe potuto ottenere anche riconoscimenti politici ed elettorali più prestigiosi, ma aveva suscitato tanta invidia che ne pagò le conseguenze, anche per il suo carattere spigoloso e mai avvezzo al compromesso. Volle poi misurarsi con la direzione della prima fabbrica gestita nel sud dal movimento cooperativo, il Corepa, che aveva rilevato la ex Gambardella di Nocera Inferiore. Ci mise tanto entusiasmo e tanta abnegazione, ma le cose non andarono bene segnalando le difficoltà che le esperienze cooperative incontravano sotto il Garigliano.
Ha terminato la sua carriera politico-sindacale senza i riconoscimenti che gli erano dovuti ma non ne ha fatto un dramma. Il potere e i soldi non gli interessavano sul piano personale, ma solo come opportunità per aiutare gli altri. In tanti gli debbono la carriera politica, e in tanti sono stati ingenerosi nei suoi riguardi.
Elio è stato un amico generoso, un uomo esigente, un politico intransigente, un pedagogo incalzante. Ha lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi che abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo, di essere membri del suo club di amici, di confrontarsi e di litigare con lui. Era un uomo dalla schiena diritta. E come ogni uomo speciale era anche spesso in contraddizione con sé stesso. Ma, dice il poeta, “la contraddizione è un segno umano appena offeso da un assiduo amore per la vita”. Solo chi non vive intensamente riesce a non contraddirsi.
Quante volte si sarà chiesto: ne è valsa la pena? Domanda assillante negli ultimi tempi della sua vita e oggetto delle nostre conversazioni domenicali. E sapeva bene che la risposta a questa domanda era in fondo semplice: lui avrebbe fatto esattamente le stesse cose. La coerenza e la lealtà ai propri ideali per Elio erano la cosa fondamentale della vita pubblica. Uomo verticale, hombre vertical, avrebbe detto il poeta. Uomo tutto di un pezzo, con qualche ferita e qualche increspatura che la vita sempre riserva agli uomini resistenti.
Caro Elio, non sappiamo se esiste un’alta vita. Se esiste, sono sicuro che ti farai strada, intesserai rapporti e diventerai amico dei morti più capaci e proverai a cambiare l’altro mondo. L’unico consiglio: non incazzarti più, hai fatto quello che potevi. Grazie per aver vissuto appassionatamente.
Isaia Sales