Il vincolo-Piketty, chiamiamolo per brevità così – non ci può essere vittoria di una idea di società non razzista, non escludente e non ghettizzante se contemporaneamente non si mette al centro la lotta contro l’ingiustizia sociale su scala globale https://www.infinitimondi.eu/2023/07/24/lotta-al-razzismo-e-giustizia-sociale-inscindibili-parole-sante-di-thomas-piketty-mentre-il-governo-italiano-si-bea-della-sue-conferenze-mediterranee-di-gianfranco-nappi/ – si declina perfettamente anche da un altro versante:
è ben difficile che la lotta contro i cambiamenti climatici possa proseguire in modo vincente se, contemporaneamente, non si afferma un principio di giustizia sociale su scala globale.
Nel particolare come nel generale.
Ovvero, se la logica in se’ giusta delle carbon-tax, ovvero della penalizzazione fiscale dell’uso dei derivati fossili – per spostarsi, costruire una casa, impacchettare prodotti, muovere le cose…. – , non è accompagnata da una reale progressione nel contrasto dell’ingiustizia sociale, può avere l’effetto di tradursi in ‘costo aggiuntivo’ per redditi e condizioni sociali già segnate da precarietà e riduzione di quote di reddito nazionale assegnato a lavoro e pensioni, che porta a rifiuto della lotta ai cambiamenti climatici, spazio per tutti i negazionismi demagogici, e al rischio di predisporsi ad essere massa di manovra per tutti gli stabilizzatori degli attuali rapporti di potere.
E lo stesso vale in modo esponenziale per il cibo biologico e di qualità: in questo quadro della distribuzione della ricchezza esso corre il rischio di diventare status simbol di ricchezza e di benessere contro invece il cibo del popolo, che è quello dei discount con il particolare di non poco conto che proprio per gli effetti dei cambiamenti climatici e la crisi di tante produzioni agricole ( tra allagamenti, grandini, siccità e incendi, temperature fuori controllo….), quello stesso cibo che ‘ammala’ sempre meno lo si potrà avere ad un prezzo basso.
Ma lo stesso discorso vale su scala internazionale nei rapporti tra paesi e aree del mondo.
I paesi ricchi del mondo oggi rappresentano il 60% circa delle emissioni climalteranti. Se aggiungiamo la Cina siamo a circa l’80%. Insieme, 2miliardi e mezzo, abbondanti sugli 8 totali.
E gli altri poco meno di 6 miliardi di persone rappresentano, tutti insieme, il 20% di emissioni rimanenti.
E tra questi, tutta l’Africa, 1,5 miliardi di abitanti in crescita, che rappresentano il 3,6 di emissioni climalteranti sul totale.
Mentre noi, paesi ricchi, siamo qui a ‘combattere’ con le Cop, un passo avanti e mezzo indietro, recalcitranti, con quei problemi sociali di cui sopra, che pensiamo di fare?
Diciamo a quella parte del mondo, i due terzi, fermate il vostro sviluppo? Impossibile. O diciamo, sviluppatevi nell’unico modo possibile per noi: replicate i nostri modelli. Insostenibile per il pianeta.
Ed anche qui allora, nel generale come nel particolare, viene l’esigenza di mettere in discussione proprio l’attuale modo di produrre, consumare, distribuire la ricchezza, organizzare la vita in comunità.
E come pensi di riuscire, appunto, a vincere la partita, senza una radicale inversione sul terreno della giustizia sociale e quanto meno di una messa in discussione del modello ( neo-finanziario-estrattivo-sorvegliante….), capitalistico?
Ecco l’urgenza di un pensare in modo nuovo il mondo.
Se si tornasse a farlo in di più e soprattutto di più insieme, con un insieme che vada davvero oltre i confini delle nazioni, ci accorgeremmo che forse la svolta è più a portata di mano di quanto la bolla ideologica nella quale siamo immersi, similmente a quella amniotica di Matrix, voglia lasciar credere.
La lotta per la giustizia sociale è condizione necessaria quindi per quella per una società aperta e inclusiva in pace con la natura. Ma non sufficiente. Perché quell’apertura, quel nuovo modo di guardare da parte nostra alla natura e al nostro stesso esserne parte, presuppongono di essere nominati, visti, pensati, progettati. L’umanità ha oggi gli strumenti per rispondere alle domande sul perché, sul cosa e sul come produrre che tra i primi Enrico Berlinguer lanciò in un tempo ormai lontano. e quindi una visione non classica, non una mera lotta redistributiva ma appunto una inedita capacità di progettare un mondo nuovo di idee, per dirla con il nostro vecchio e sempre caro compagno Aldo Tortorella.
Pensare in modo nuovo è una urgenza vitale come ci sollecitano queste generazioni più giovani dei Friday: sappiamo ascoltarle.
Pensiamo a tutto questo mentre scorrono le immagini quotidiane di una guerra assurda che distrugge e assorbe risorse e attenzioni e che rimandano ad un bisogno di pace che consenta di rimettere al centro i temi del futuro dell’umanità, e mentre siamo scissi tra la devastazione della grandine al nord e il fuoco che assedia Palermo a Sud, un de te fabula narratur che è già presente inquietante e che reclama appunto azioni e pensieri nuovi urgenti. Ovunque, Anche in questa nostra Campania su cui torneremo.
Gianfranco Nappi