Abbiamo dedicato l’apertura di questo numero al tema della Pace e di quella che Antonio Cantaro ha definito come ‘costituente’ cioè tanto rilevante da determinare la nascita di nuovi equilibri e di elementi di nuovi ordini a livello internazionale: ordini che si annunciano come comunque regressivi proprio in quanto nati dalla logica della forza e non della politica. A quali condizioni è possibile una inversione di tendenza? E in che modo il movimento pacifista può segnare di se questo tempo così carico di logica e cultura oltrechè pratica di guerra? E in che modo un fronte largo si può saldare con tutte le principali sfide di fronte all’umanità, prime tra tutte quella dei cambiamenti climatici e della lotta all’ingiustizia sociale? E’ intorno a questi interrogativi che ruotano le riflessioni di Maria Luisa Boccia, Isidoro Davide Motellaro, Michele Mezza, Susanna Camusso e di Antonio Cantaro, autori in questi mesi di saggi importanti e tutti ospiti in Campania del primo ciclo di Incontri dedicato a PENSIERI E TRESTI URGENTI PER LA PACE promossi dal COSTITUENDO CENTRO DI FORMAZIONE DI CULTURA CRITICA PER INIZIATIVA DI INFINITIMONDI E DI UN PRIMO NUCLEO DI ASSOCIAZIONI CHE HANNO PROMOSSO I MOMENTI DI CONFRONTO: FUTURO PROSSIMO, COORDINAMENTO CAMPANO CONTRO LE CAMORRE, SUDD,AGORA’ DELLE DONNE, RINASCITA.
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MARIA LUISA BOCCIA
” La guerra si autoalimenta con inesorabile inerzia. Il confronto tra le parti avviene sull’entità dei costi inflitti al nemico più che sugli auspici di vittoria. Non si parla più di possibili negoziati, neppure di soluzioni militari, auspicate, ma ritenute dalla maggior parte degli osservatori incerte e comunque lontane. È sempre più evidente come la guerra sia destinata a durare; ed è difficile che possa concludersi come una guerra convenzionale. Va quindi seriamente considerato che la pace è la sola realistica alternativa al suicidio nucleare dell’umanità.
In questo scenario cupo la pace è sempre più lontana, e lottare per ottenerla appare sempre più una pretesa vana. Ma è proprio ora, di fronte alla voragine che – come ha scritto Francesco Strazzari, “l’impensabile diventa necessario” [1].
La prima esigenza è dare una rappresentazione della realtà differente da quella mediatica, talmente pervasiva da stigmatizzare come collusione con il nemico la sola possibilità di un’idea o un giudizio difforme. Parole che sentiamo risuonare costantemente quali nazione, popolo, democrazia, libertà, giustizia sono diventate “parole omicide”, sono talmente gonfie di sangue e di lacrime da essere screditate. Il lavoro sul linguaggio, per Simone Weil, è condizione essenziale per “preservare vite umane”. [2]
Siamo in guerra, violando la Costituzione
La prima parola da “pensare” è proprio “guerra”, sottraendola alla confusione tra fatti e valori che rende difficile comprendere le cause e i possibili esiti della guerra….“
[1] Francesco Strazzari L’impensabile ora diventa necessario, verso la voragine il manifesto 28 gennaio 2023
[2] Simone Weil Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra 1933-1943, Pratiche editrice, Milano 1998, p.58
ISIDORO DAVIDE MORTELLARO
” Viviamo costeggiando precipizi epocali. Lo scorso 24 gennaio il Consiglio di “Scienza e Sicurezza” del «Bollettino degli scienziati atomici» ha fissato le lancette del Doomsday Clock (l’«Orologio dell’Apocalisse») a 90 secondi dalla mezzanotte: il lasso di tempo più breve mai toccato fin dai tempi della sua creazione.
A concepire la pubblicazione nel 1945 furono Albert Einstein e il gruppo di fisici dell’Università di Chicago fino a poco tempo prima coinvolti nella invenzione della bomba atomica (Progetto Manhattan). Nel 1947, allo scoppio della «guerra fredda», il Bollettino aveva poi creato il Doomsday Clock. In pratica, un orologio virtuale, un espediente visivo capace di comunicazione immediata, per ammonire il mondo intero circa lo stato delle relazioni internazionali e il rischio di una eventuale guerra atomica: soglia estrema per l’umanità. Da allora, nel tempo, quelle lancette hanno segnalato con il loro andirivieni l’altalena di angoscia e speranza nelle varie crisi che hanno contrassegnato il lungo inverno della guerra fredda e l’accumularsi di nuove sfide globali: cambiamento climatico, sfide biologiche ecc.
Putin ha ora bloccato le lancette a 90 secondi dalla mezzanotte, a distanza di quasi un anno da quel 24 febbraio in cui ha precipitato il mondo in un nuovo, inedito conflitto. Da allora la cronaca quotidiana è punteggiata da minacciose evocazioni di soglie e rischi fatali, estremi. Quasi ogni giorno viene evocata, spalancata una faglia di estremo pericolo, soprattutto per l’ Europa, via via più gravida di impegni e coinvolgimenti guerreschi per tutto l’Occidente. Ci siamo avventurati ormai – e da tempo ne abbiamo piena coscienza – per un’epoca altra da quella illusoria nata in quel 9 novembre 1989 quando, col crollo del Muro, era stata annunciata la «fine della storia», l’avvento di un periodo di pace e neoliberistica prosperità.
La storia in realtà non ha cessato di galoppare. Soprattutto, si è incamminata per percorsi altri da quelli tracciati dall’unilateralismo a “stelle e strisce”, corazzato dall’incapacità europea a fuoruscire dal carapace atlantico forgiato nei decenni della “guerra fredda”. Di fronte all’aggressione russa e ad un Putin raggelato nella sua postura panslavista, l’Occidente non ha saputo far altro che replicare sul terreno bellico degli aiuti e delle forniture militari, amplificando rischi e incognite. L’inaspettata resistenza ucraina non ha trovato ausili e sbocchi altri da malriposti auspici di crolli dell’aggressore. Un Occidente immobile, impaziente di ritornare ad una regolazione univoca del mondo, finge di non accorgersi della faccia – o della maschera – con cui oggi si presenta al mondo: spesso irriconoscibile rispetto alle tante sue celebrazioni – anche quelle più accorte e documentate – o impresentabile. Svuotato d’ogni protagonismo popolare, appeso per fili esili ma resistenti ai fili manovrati da vecchie e nuove oligarchie, l’Occidente da tempo è assediato da angosce esistenziali, dall’incapacità a traguardare nuovi orizzonti. In pieno XXI secolo, siamo testimoni e attori di un mondo sconvolto fin dalle fondamenta. Altro che primato occidentale. Oggi i confini tra il vecchio e il nuovo sono scossi dal profondo. Da tempo l’Occidente non si presenta più come sogno...”.
MICHELE MEZZA
” In Ucraina sembra confermarsi la nota legge per cui la tecnologia non è nè di destra nè di sinistra, ma nemmeno neutra.
I codici digitali,e le culture applicative delle soluzioni adottate dalle due controparti del conflitto non sembrano gestibili in ogni contesto e compatibili con ogni sistema culturale e sociale.
Come abbiamo visto nelle istruzioni per l’uso , le articolazioni della società civile sono oggi elementi decisivi per ottimizzare procedure ed esperienze basate sul decentramento operativo e decisionale.
La resistenza ucraina è apparsa, soprattutto nella fase iniziale della guerra, più pronta e capace nell’ usufruire ed ottimizzare i sistemi digitali, per incrementare la propria forza sul terreno rispetto ad un apparato militare, quale quello russo, che sembra ancora troppo rigido e verticale per padroneggiare territorialmente le nuove opzioni tecnologiche.
Un esempio, apparentemente banale, ci è venuto dalla geolocalizzazione degli smartphone Apple che sono stati sottratti agli ucraini dai militari russi nelle zone attorno a Kiev, come la stessa Bucha nelle prime settimane dell’invasione, quando i russi puntavano alla conquista di Kiev (https://it.mashable.com/7374/apple-ucraini-rubati-russi-bielorussia ).
Dopo il ritiro dei reparti russi che hanno combattuto attorno alla capitale ucraina, molti cittadini a cui erano stati rubati, fra l’altro, anche i telefonini, hanno istintivamente attivato sui computer la funzione “dov’è” con cui la Apple permette di localizzare il proprio dispositivo.
Mentre i soldati che si erano impossessati dei telefonini non avevano pensato di disattivare la stessa funzione.
Il risultato è che improvvisamente sullo schermo dei cittadini di Kiev sono apparse tante lucine verdi, che localizzavano i telefonini rubati, come se fossero normali monopattini da noleggiare o auto di Uber da utilizzare.
La stragrande maggioranza di questi telefonini ora in possesso di soldati russi risultavano presenti nella regione di confine della Bielorussia, dove si erano ritirate le colonne di Mosca, dopo la mancata conquista di Kiev.
Nel pieno della guerra, per la prima volta, un’app civile, commerciale, la più banale e ordinaria, svela uno dei segreti considerati più delicati e importanti: l’individuazione degli acquartieramenti dei reparti di prima linea.
La variante svizzera: l’informazione è cybersecurity Ragionare sulla meccanica di una guerra è sempre un complicato esercizio etico, in cui inevitabilmente, l’analisi distaccata degli eventi fa affiorare una dose di fastidioso , ma non esorcizzabile, cinismo ,che non può non apparire stridente con la drammaticità dell’evento che si deve decifrare. “
ANTONIO CANTARO
” L’Orologio della Pace continua ancora, surreale e indisturbato, a suonare nel parco di Hiroshima ogni giorno alle 8:15, orario esatto in cui l’umanità ricevette il battesimo della bomba atomica. Nel frattempo l’orologio della guerra ucraina non smette di suonare un solo istante da quel giorno di fine febbraio 2022 in cui Vladimir Putin diede inizio alla sua “operazione militare speciale”.
Guerra dichiarata in nome della sicurezza e della pace. Come ripete simmetricamente da mesi anche l’odiato occidente quando ossessivamente postula che oggi serve la guerra per costruire la pace. E, invece, la marcia su Mosca del capo della Wagner ci ha ricordato un’altra verità. Che le guerre tra imperi e stati possono potenzialmente aprire la strada a conflitti persino più dolorosi e laceranti per i popoli. Guerre civili.
Guerre civili alimentate oggi dai quei processi di ibridazione e privatizzazione della sicurezza nazionale acutamente esaminati nello studio di Vincent Ligorio e Mario Ligorio, dall’inequivocabile titolo Dopo la marcia su Mosca, pubblicato nel fuoricollana.it. insieme ad un pregevole intervento su “Il Manifesto” di Andrea Borelli dall’altrettanto inequivocabile titolo Prigozhin e la ricomposizione del potere.
L’interruzione della marcia della Wagner su Mosca non cambia i termini del problema. La Federazione Russa è, comunque, entrata in una crisi dei suoi assetti di potere i cui esiti sono imprevedibili. E sarebbe irresponsabile sottovalutare i pericoli che deriverebbero dalla definitiva destabilizzazione o addirittura dalla guerra civile in un paese come quello. Non sono bastate le lezioni irakene e libiche?
Siccu chiama siccu,recita un antico detto siciliano. Secco chiama secco è scritto nel Bollettino del Ministero di agricoltura, industria e commercio dell’“anno di grazia” 1915 nel quale si riporta l’opinione di un contadino interrogato a proposito del deperimento progressivo delle piante infette. Quel contadino “pur attribuendo la malattia ad altre cause” avvertiva che, comunque, essa “si estende continuamente ai rami sempre più grossi”.Le cause della guerra ucraina, il grande rimosso.”
SUSANNA CAMUSSO
” L’Europa è stata per una lunga stagione durata più di cinquant’anni il luogo fisico, la testimonianza concreta di relazioni internazionali e forme cooperative che escludevano la guerra. È stato, questo, il motore di cambiamento di un mondo che aveva sempre pensato la guerra come risoluzione dei conflitti e l’aveva considerata un fatto assolutamente ordinario. Non è un caso che oggi si parli tanto di guerra. Accade perché la guerra è in Europa, e l’Europa è direttamente coinvolta. E’ mia convinzione che l’Europa non abbia però un’idea della pace. Prova un sentimento d’amore per l’essere stata in pace, nutre la convinzione che nulla possa rompere questo equilibrio, ma non ha un’idea di come si costruisce la pace. Ha nei fatti costruito una dimensione di accerchiamento senza una riflessione su quali equilibri diplomatici, economici, commerciali potessero rendere preferibile la pace alla guerra. Per me l’idea di pace sta nel costruire le basi per dimostrare come nella pace si stia meglio e si possano fare cose migliori che attraverso la guerra, vivendo in sicurezza e non sull’equilibrio degli armamenti. Questo mi pare il nodo anche oggi. Non ho dubbi sul fatto che bisogna lavorare per la pace e non si deve mai dare per scontata la pace. Ma ritengo che questo assunto comporti il ripensare gli insediamenti industriali, riconsiderare la produzione delle armi, ridefinire il quadro complessivo del commercio mondiale. Lavorare per la pace significa essere consapevoli di dovere e volere cambiare anche gli assetti economici. Ci sono altri interrogativi che meritano un approfondimento. Intanto, l’Europa, rispetto al resto del mondo, è afona o peggio? Avverto la sensazione che l’Europa sia andata chiudendosi nei suoi confini, recidendo relazioni col resto del mondo, ad Est come a Sud, o Oltreoceano. Sembrerebbe che l’Europa non sia mai uscita dal mondo disegnato dalla fine della Seconda guerra mondiale. E questo si collega col ragionamento sulla Nato: dopo l’89, che senso ha questa organizzazione? Dopo la caduta del muro, chi e perché non ha voluto che si creassero nuovi equilibri andando piuttosto verso un nuovo unipolarismo? In sintesi, come si fa a costruire un’idea di pace se l’Europa non ha metabolizzato l’89? In realtà la caduta del muro per una parte del mondo, soprattutto per l’ideologia neoliberista, ha rappresentato la vittoria definitiva sul comunismo ed è stata gestita in assenza di un altro modello. Anche su questo abbiamo forse ragionato poco.”
L’iniziativa con Susanna Camusso a Pomigliano d’Arco per il Lutto cittadino proclamato per la scomparsa del caro Marcello Colasurdo, musicista, cantautore, militante operaio, è stato aggiornato ai prossimi giorni.