Caro Andrea,

in questi anni abbiamo sentito forte la vicinanza de il Manifesto alla nostra esperienza di Infinitimondi. a dimostrazione di quanto  questo quotidiano continui  ad essere punto di riferimento di un universo ampio di  sinistra diffusa nel paese e nella società, e siamo grati per questo a Norma Rangeri, a Tommaso Di Francesco e a  tutta la Redazione.

I loro ‘saluti’  spingono nella direzione di una riflessione più di fondo così come i tuoi  pensieri da nuovo Direttore con il tuo Editoriale di avvio di oggi  e vanno a te affetto tutto napoletano, auguri e sostegno dal piccolo collettivo di Infinitimondi.

Non so se condividiamo le stesse idee sul tema della soggettività politica a sinistra, sulla sua insufficienza, o carenza o addirittura assenza.

Certo è che per chi lavora sul terreno delle idee non può non essere avvertito il bisogno di un fatto nuovo politico-culturale che muova in primo luogo dall’incedere della guerra che ha già spostato orientamenti, politiche e pratiche di Stati e governi in modo per certi versi drammatico verso il riarmo e verso una nuova confrontation globale insieme alle stesse drammatiche sofferenze e distruzioni in Ucraina.

Un buco nero che assorbe risorse e attenzione, che fa ballare sul burrone nucleare l’intera umanità, che fa della guerra e della sua cultura la politica del presente e che mette a lato, nasconde, declassa gli sforzi comuni nella lotta ai cambiamenti climatici, con la pandemia già dimenticata, mentre con sfrontatezza si segna un salto nella guerra contro i poveri di terra e di mare.

E in questo buco nero è inghiottita anche l’Europa e una idea di suo ruolo politico sulla scena globale.

Ma una esigenza simile muove anche dalla valutazione che l’equilibrio di governo di destra nel nostro paese appare suscettibile di consolidamento e di traduzione in un blocco politico e sociale di non breve periodo nella cornice di neoatlantismo ossequioso, a fronte di una opposizione che si perde nella ricerca di un campo largo che certo è meglio di un campo stretto ma comunque insufficiente se non esprime una inedita capacità di reinsediamento della politica e della sinistra nella società.

E qui si inserisce la novità rappresentata dalla elezione di Elly Schlein che se, come auspicabile, riuscirà a smuovere il PD dalle sabbie mobili neocentriste certo non si presenta come capace di assorbire l’orizzonte intero di una sinistra possibile e critica di quel capitalismo reale nel quale siamo immersi.

Infine, il panorama dell’informazione e della comunicazione investito dalla rottura digitale – da ultimo tutto il mondo che apre la realtà di ChatGPT…-  nei confronti della quale stenta  ad emergere un profilo conflittuale.

E’ allora nei confronti dell’insieme di questi elementi che mi chiedo se in questo passaggio non venga messo in discussione qualcosa anche di noi stessi, grandi o piccoli che si sia; del nostro ruolo, della nostra funzione.

Non parlo di ‘partito’, anche se voi siete, come rivendicate con orgoglio, una originale forma di giornale-partito: tema arduo e con soluzione probabilmente nelle mani di altre e nuove generazioni, forse già in campo del resto.

No. Mi chiedo invece se non siamo chiamati a provare a  mettere in campo, su un terreno che viene ‘prima’  – ma che ha una influenza diretta su quella stessa prospettiva –  iniziative nuove, coraggiose, che rilancino lo spazio informativo, culturale e partecipativo  di una sinistra che non ha voluto rinunciare e non rinuncia ad una ricerca critica e che anzi intende fornire ad essa  nuovi strumenti, nuove occasioni di scavo e di sedimentazione di idee, nuove opportunità di relazioni e di pratiche comuni soprattutto con riferimento al protagonismo delle giovani generazioni , del mondo del lavoro, di quello femminile e femminista.

E’ proprio  qui  che potrebbe tornare l’attualità di quella idea di Pietro Ingrao, lanciata, di fronte alla rottura dell’89 e dopo la sconfitta nella lotta sullo scioglimento del PCI, per un lavoro nuovamente fondativo sul terreno dell’analisi, della capacità progettuale e di elaborazione di un nuovo senso comune che lui individuava come frontiera essenziale di impegno per risalire la china ed aprire un nuovo spazio alla sinistra nella società.

A quell’idea lui diede il nome di Polo informativo-comunicativo. Un Polo che oggi potrebbe riferirsi ad un quotidiano e, perché no,  ad una web tv e ad una web radio, ad un grande archivio audiovisivo, a Centri di ricerca di antica generazione come il CRS e di nuova; a testate  storiche come  Critica Marxista e a più nuove come Alternative per il socialismo  o come alla storica e  rinata  Critica sociale; a Scuole di politica; a mille esperienze associative, di volontariato, di lotta alle disuguaglianze, di autoproduzione, di consumo critico, di gestione sociale di beni confiscati alla criminalità.

E non arrivo, dove però pure dovrebbe arrivare l’interrogazione,  fino al mondo delle grandi Associazioni di ‘massa’ e dei movimenti per i quali una figura come Luciana Castellina è di riferimento costante. Arci, Legambiente, Libera, Slow Food, Forum delle Diseguaglianze; e del Sindacato, con la CGIL in testa, chiamata ad una impegnativa fase di ridefinizione.

Sperimentare una messa in rete individuando la Rete come luogo, finalmente, di conflitto, che agisca anche attraverso un suo uso volto alla più ampia socializzazione di idee e di esperienze, di forme di elaborazione che restituiscano oggi la dimensione di un per certi versi impensabile in altro modo nuovo intellettuale collettivo.

Ovviamente, ciascuno continua nel proprio lavoro e impegno, non è in questione questo : quel che ciascuno fa è una risorsa preziosa e nessuno vi rinuncerebbe o accetterebbe di mettersi in nuove verticalizzazioni organizzativistiche. Più semplicemente ma anche più difficilmente  si tratterebbe invece di capire se, sul terreno delle idee e della comunicazione, si possa immaginare una pratica nuova e comune che non metta in discussione quel che c’è ma dia a tutti forza e strumenti  in più per produrre un altro immaginario possibile al tempo in cui le idee possono davvero muovere cose e persone, anche se in fondo poi è sempre stato così.

E allora caro Andrea, quella suggestione di un quotidiano comunista, ‘forma originale della politica’ per come l’hai definita oggi, che animi un pensiero critico, come ha scritto Norma Rangeri e che ambisca a porsi come snodo, come ha scritto Tommaso Di Francesco, di una Fondazione che raccolga tutta la pluralità e la diversità disponibile rappresenterebbe uno dei modi possibili per  raccogliere la sfida del tempo presente.

Perché non provarci, che abbiamo da perdere?

Perché non ci vediamo a Napoli per discuterne tutti insieme?

Buon lavoro a te, a Micaela Bongi , a Chiara Cruciati e a tutte e tutti voi.

Gianfranco Nappi           

 dal sito ilmanifesto.it                                                                                                                                        

                          

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