Sovrastato dalla pericolosa deriva della logica di guerra e della ricostituzione dei blocchi sul piano globale il sistema politico italiano, almeno nelle intenzioni dei suoi principali protagonisti, si sta muovendo in una logica -per certi versi – analoga a ciò che sta avvenendo a livello internazionale e ben differente da quella logica contraddistinta dal “bipolarismo temperato” che aveva caratterizzato gli anni a cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.

Il “bipolarismo temperato” era poi sfociato in una confusa “transizione” caratterizzata dalla crisi della globalizzazione, dalla fine della centralità dei partiti, da una “smodata” forma di alternanza segnata – dal punto di vista elettorale – da un eccesso di volatilità e dalla crescita esponenziale di un astensionismo da intendersi quale chiaro segno di fragilità strutturale del sistema stesso e dovuto dal trasformarsi delle dinamiche elettorali da “pigliatutti” a “scambio”.

Adesso stanno emergendo segnali di un principio di possibile parziale riconsolidamento del rapporto tra società e politica.

Un riconsolidamento da valutarsi come di tentativo di ricostituzione di blocchi sociali in rapporto a ridefinizioni di identità politiche: tutto sta avvenendo però in un quadro pericoloso di prevalenza di un avvitamento anti-costituzionale che legittimerebbe almeno una parte impegnata nella appena descritta operazione ” blocco sociale/identità politica”.

In questo senso vanno analizzati due recenti accadimenti: l’esito delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 e il mutamento di governo interno al PD (comunque ancora incompiuto e parziale).

Si è realizzata una situazione per la quale entrambe le forze che si considerano egemoni dei possibili schieramenti per ora di governo e di opposizione stanno tentando di formare un loro “blocco sociale” su cui appoggiare un’ipotesi di contrapposizione bipolare su temi fortemente radicalizzanti.

Una radicalizzazione come richiede oggi lo stato concreto delle cose in atto (uno stato di cose che sembra lasciare poco spazio a consociativismi più o meno “centristi” e/o di gestione condivisa di grandi contraddizioni che reclamano profili identitari e capacità di schieramento).

Cerchiamo di analizzare con ordine:

1) il governo a trazione FdI mostra sempre più la sua anima corporativa volta a dividere il paese secondo lo schema degli interessi specifici delle singole categorie. Uno schema ben riferito al profondo dei settori sociali del lavoro autonomo di più o meno grandi dimensioni, rivolto prevalentemente alla produzione di beni da esportazione e da remunerare attraverso l’evasione fiscale con una crescita del quadro di disuguaglianze all’interno e tra le diverse parti del paese. Tutto questo mette da parte problemi attuali come l’ambiente, la salute pubblica, la sicurezza, le migrazioni. Non a caso FdI si appoggia al gruppo di Visegrad proponendo un nazionalismo difensivo con argomenti utili per sottrarre consenso ai partner del centro – destra (si vedano i risultati elettorali al Nord con l’egemonia strappata alla Lega);

2) Dall’altra parte sembra prevalere uno schema di affidamento neo-capitalistico dei grandi temi dell’ecologia e della digitalizzazione (schema che accomuna la nuova dimensione PD e l’attuale gestione M5S). Un neo-capitalismo che si rivolge prioritariamente ai settori sociali capaci (in una qualche misura) di sostenere la battaglia per i diritti civili e quella per le grandi transizioni senza proporre una modificazione di fondo dei rapporti di classe e dei propri stili di vita. Una connessione che permette di definire il nesso tra “liberal” e “radical”: denominazioni diverse che discendono entrambe da una concezione liberale di tipo utilitarista.

Sarà il “digital divide”(che comprende i temi della cultura, della scuola e dell’università) la nuova frontiera della determinazione di classe ?: “digital divide” elemento di chiaro stampo individualistico utilizzato forse pensando che la “propria felicità” racchiusa nella capacità di utilizzo dell’AI possa concorrere a fare la felicità di tutti. Una capacità che richiede però una non facile estensione dei livelli di conoscenza. Beninteso entrambi gli schieramenti: quello del “Nazionalismo difensivo” e quello del “neo-capitalismo radicale” stanno evitando accuratamente di affrontare il tema della guerra nel senso del rapporto Europa/Nato, e sembrano entrambi (pur da differenti punti di vista) considerare il tema europeo soltanto come semplice fattore di opportunità redistributiva (PNRR, migranti, gestione della BCE da Draghi a Lagarde);

3) Questo quadro tiene ai margini dai propri blocchi sociali di riferimento le prime vittime dalla crescita delle disuguaglianze e di conseguenza restringe i margini della possibilità di incidere sulle dinamiche politiche (ripristinando anche, almeno in apparenza, la logica dell’amico/nemico). Da un punto di vista che vorremmo ostinarci di definire “di sinistra” rimane quindi tutto intero sul tappeto il tema di una possibilità di incidenza sul blocco “radical” in modo da proporre una riarticolazione inclusiva degli esclusi (a tutti i livelli).

In termini più chiari si tratta della questione della presenza socialista a livello di teoria e di rappresentanza. Con un avvertimento: una teoria socialista del XXI secolo non può sfuggire alla necessità di rovesciare il concetto lineare di progresso che ci ha accompagnato nel corso del secolo precedente (in particolare nei “30 gloriosi” seguiti alla fine della seconda guerra mondiale). Attorno al tema della pace come valore universale va costruita un’idea concreta di “senso del limite” che ci è già capitato di battezzare “socialismo della finitudine“.

4) A questo punto, se si accetta come principio una “necessità socialista” rimane da aprire una discussione sulla forma che potrebbe assumere nel piccolo del sistema politico italiano questa presenza di socialismo dell’uguaglianza e del limite .

Ritorna l’antico dilemma : una propria presenza identitaria raccolta organizzativamente in soggettività politica oppure parte di una grande schieramento evidentemente a egemonia “radical”, all’interno del quale dotarsi di una precisa rappresentazione di identità? Questo interrogativo porta alla necessità di un dibattito molto ampio nel quale toccare anche i temi istituzionali, della legge elettorale , della forma di governo, del sistema territoriale delle autonomie.

Una discussione difficile ma che è urgente e necessario affrontare con concretezza d’intenti.

Franco Astengo

Vuoi ricevere un avviso sulle novità del nostro sito web?
Iscriviti alla nostra newsletter!

Termini e Condizioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *