Partiamo da un dato: gli ascolti della finale del Festival Sanremo 2023 hanno raggiunto il 66% di share. L’affluenza alle elezioni regionali in Lazio e in Lombardia del 12 e 13 febbraio si sono fermate al 31%. I risultati erano forse scontati: le coalizioni di centro-destra hanno stravinto e le alleanze tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in Lombardia e tra Partito Democratico e Terzo Polo nel Lazio hanno fallito miseramente. Eppure, la vittima più illustre sembra essere, ancora una volta, la democrazia come dimostra tristemente il dato sull’astensione (60%) e il paragone impietoso con Sanremo.

Il dato è un segno della stanchezza e della disillusione che affliggono lo stato di salute della democrazia italiana. Eppure, la disillusione non è l’unica ragione dell’astensionismo. A mio parere, conta anche molto l’offerta politica: se partiti e candidati offrissero soluzioni convincenti a problemi che stanno a cuore alle persone, gli elettori tornerebbero alle urne per votarli, pur ricordando che il momento elettorale è solo una delle tante articolazioni in cui si esprime la democrazia partecipativa.

E in questo contesto, il Partito Democratico sembra navigare a vista, senza una vera e propria strategia né tantomeno leader capaci di offrire soluzioni ai problemi delle persone. Ma ciò che manca di più a sinistra sono proprio le idee (per non dire gli ideali) necessarie a risolvere tali problemi. In che cosa dovrebbe riconoscersi, oggi in Italia, un elettore che si definisce “di sinistra”?

Lo smarrimento dell’identità politica e il fallimento della linea strategica della sinistra negli ultimi trent’anni – a dispetto di autoscioglimenti, cambiamenti di nome e di simboli, dimissioni dei dirigenti nazionali – derivano, a mio parere, da un più generale appiattimento e snaturamento dei valori di sinistra, non tanto nella società quanto piuttosto nelle organizzazioni politiche che dovrebbero rappresentare quei principi.

L’omologazione dei valori dominanti, la supremazia del capitale che pervade ogni aspetto della vita, l’assenza di idee capaci di contrastare il pensiero capitalista neoliberista, hanno portato ad una generale disaffezione delle persone nei confronti della politica – intesa come partecipazione di tutti alla vita pubblica del Paese – in nome di un individualismo sfrenato che contrasta con i principi fondamentali del vivere insieme. E la sinistra ha certamente le sue colpe: il deserto delle proposte autenticamente politiche, l’incapacità dei leader di parlare alle persone, l’oblio dell’eredità della riflessione gramsciana hanno lasciato l’elettore di sinistra sgomento.

Ciò che accade oggi nella sinistra italiana deriva, dunque, da una crisi di valori più generale che si riflette nell’astensionismo alle elezioni o – peggio ancora – nel populismo implacabile al quale assistiamo quotidianamente. Se guardiamo poi ai cosiddetti partiti di sinistra, ebbene, questi sembrano considerarsi superiori al popolo, lontani dagli strati più deboli della società e dai loro bisogni, persi nei meandri dei palazzi del potere.

Anziché rivendicare e coltivare le radici ideali del progressismo riformatore e rappresentare le necessità e gli interessi degli strati popolari della società, la sinistra si è fatta casta, irraggiungibile per i più, chiusa nelle stanze dei bottoni, comunque non all’altezza dei compiti complessi dell’attuale panorama politico, ma soprattutto senza visione né ascendenze culturali o politiche.

Da qui, l’oblio definitivo dei valori di uguaglianza, emancipazione, pacifismo, giustizia sociale in nome di un interclassismo che privilegia gli interessi della classe medio-alta. Una vera e propria scomparsa dei valori di sinistra all’interno dei partiti progressisti che ha comportato la conseguente, inevitabile, perdita d’identità e lo smarrimento diffuso di un elettorato che, nonostante l’abbandono, continua a coltivare quei valori e quegli ideali.

Al contrario, la destra radicale italiana, dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale fino a Fratelli d’Italia, non ha mai smesso di rivendicare, in forme più o meno esplicite, la propria identità e la propria “parzialità” valoriale post-fascista. A questo, poi, si aggiunga il populismo sfrenato che ha fatto breccia proprio negli strati economicamente e culturalmente più deboli della società, non dotate degli strumenti culturali necessari per difendersi dalle false verità e dalle manipolazioni di turno.

Cosa fare allora? Forse il compito più urgente per la sinistra che verrà consiste nell’emanciparsi dagli schemi puramente retorici ed esclusivamente governisti e richiamarsi invece ai valori perenni della giustizia sociale, dell’eguaglianza e della pace, fornendo al contempo concrete strategie ed effettivi percorsi – praticamente realizzabili – che si richiamino agli ideali di democrazia partecipata.

Tra le priorità di questa auspicata nuova sinistra, rientrano certamente l’aumento di tutti i salari, la riduzione dell’orario di lavoro e del precariato, il contrasto ai vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia digitale, le politiche di welfare, l’abbandono scolastico, lo sfruttamento degli immigrati, il dramma delle morti sul lavoro, l’affermazione di nuovi diritti sociali, l’eterna promessa dello sviluppo del Mezzogiorno, lo sviluppo eco-sostenibile e il contrasto all’egemonia della finanza globale.

Ma soprattutto, per la sinistra è tempo di ripensare la scuola e l’università, uscendo dalla logica perversa in cui l’idea dominante sembra essere quella che queste istituzioni servano ai futuri diplomati e laureati esclusivamente a trovare il proprio posto di meri produttori all’interno dell’economia e non a formarsi come cittadini con una mente pensante, aperta e libera per affrontare i problemi della società ed essere uomini e donne del proprio tempo.

La strada maestra da intraprendere per la ricostruzione della sinistra, quindi, sembra essere quella antica delle lotte per il lavoro, l’istruzione e i diritti sociali, aggiornate all’economia 4.0. Servono sicuramente programmi e riferimenti alla cultura politica della sinistra autenticamente riformista, tornando a lottare per gli interessi popolari e a imporre severe regole al capitalismo in quanto a redistribuzione della ricchezza verso il basso. I temi per una sinistra ancorata a un riformismo delle radici aggiornate al nostro tempo ci sono tutti. Il punto è chiedersi se esiste una vera forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni del nostro tempo, contrastando il primato delle logiche del mercato.

Anche se, in fondo, l’importante è aver visto Sanremo.

Angelo Laudiero

L’immagine in evidenza è di Mariano Sommella ed è tratta da centoannipci.it

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