Se fino a qualche decennio fa le disuguaglianze apparivano nel senso comune intollerabili o quantomeno da mitigare e oggi sono considerate invece normali come se si trattasse di fenomeni naturali, siamo di fronte a una sconfitta che è culturale prima ancora che politica. Detta con altre parole, la crisi della sinistra viene dalla sua incapacità di immaginare un altro mondo possibile, un’altra società, un’altra formula di convivenza, produzione e distribuzione della ricchezza. L’evento che simbolicamente rappresenta lo spartiacque tra prima e dopo è la caduta del muro di Berlino. È come se insieme a quelle pietre fosse caduta anche l’ambizione che potesse esistere un sistema sociale diverso e migliore dal capitalismo.

Gli anni che sono seguiti hanno visto una rapida e vasta offensiva sul piano della privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici. Una dinamica estesa a livello globale che ha saccheggiato selvaggiamente il pianeta, mentre la quasi totalità dei media, degli intellettuali, dell’industria culturale ne magnificava le gesta e i protagonisti, garantendo un solidissimo supporto ideologico al processo in corso. Paradossalmente, mentre si liquidavano le ideologie, si affermava l’ideologia del mondo unidimensionale. La ricchezza, anche quella smodata, prossima addirittura all’inutilità per le sue dimensioni ipertrofiche, cessava di indignare ma diventava anzi un valore distintivo. I social hanno completato il processo, diventando in larga parte cassa di risonanza imitativa orizzontale di massa di un flusso valoriale che però è verticale e unidirezionale dall’alto verso il basso.

La storia della sinistra in Italia dopo la caduta del muro di Berlino può essere assunta a modello paradigmatico dell’incapacità, ma anche della non volontà, di pensarsi come alternativa non elettorale ma sistemica. Se persino l’elettore del PCI con meno strumenti culturali era agevolmente in grado di tratteggiare i contorni del mondo ideale che avrebbe voluto, la sinistra dopo il 1989 ha invece scelto il mercato. Nello stesso anno, Achille Occhetto lo definiva “insostituibile fattore propulsivo”. Le privatizzazioni diventano modernità da abbracciare entusiasticamente. Lo stato deve fare un passo indietro e limitarsi a fissare le regole lasciando poi fare al mercato. Il bagaglio secolare della sinistra viene liquidato come anacronistico. Non stupisce quindi che anche la questione delle disuguaglianze divenga superata, se si accetta un modello socioeconomico che si regge proprio sulle disuguaglianze.

C’è sempre la mano della sinistra nella precarizzazione del lavoro, perché le garanzie contrattuali, salariali e di diritti conquistate dal movimento operaio a partire dall’autunno caldo del 1969 diventano paradossalmente un legaccio, un impedimento al mercato. C’è la mano della sinistra nella revisione del Titolo V della Costituzione che voleva depotenziare la lega, ma di fatto “leghizza” tanto Pd del Nord e rappresenta oggi il pericolosissimo presupposto per l’attuazione dell’Autonomia differenziata. Ed è attraverso passaggi come questo che la sinistra ha smarrito anima e identità, diventando forza di governo a prescindere senza essere eletta e smettendo di rappresentare quei ceti popolari che ne costituiscono storicamente la ragion d’essere.

Case popolari? Ci pensa il mercato e così, soprattutto nelle grandi città, esplode l’emergenza abitativa. Reddito di Cittadinanza? Renzi voleva perfino abolirlo con un referendum, prima della Meloni. E se oggi la posizione del Pd appare diversa è più per la rincorsa alla quale lo costringe il Movimento 5 Stelle, che per convinzione. Se guardiamo invece in giro per il mondo, ci accorgiamo che la sinistra mostra segni di ripresa proprio dove ha ritrovato la lucidità di proposte di parte, contro le disuguaglianze, a favore dei ceti più fragili, dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. Insomma, dove ha saputo riannodare i fili con il suo patrimonio ideale storico, facendo ovviamente i conti con un mondo che è cambiato senza diventare migliore. Sarebbe opportuno accorgersene anche in Italia.

Sergio D’Angelo

L’ARTICOLO DI IERI DI GIANFRANCO NAPPI : https://www.infinitimondi.eu/2022/12/20/adda-passa-a-nuttata-ma-quann-passa-sta-nuttata-di-gianfranco-nappi/

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  1. Giustissimo. Condivisibile al 100 %.

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