Il Decreto del Governo per l’invio di armi alla Ucraina merita alcune riflessioni. Il precedente decreto Draghi recava: Disposizioni urgenti sulla crisi Ucraina; quello attuale: Disposizioni urgenti per la proroga alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità Governative Ucraine. Lì le armi erano un punto dell’intervento, qui sono lo scopo del provvedimento. Anche lo strumento legislativo adottato merita una riflessione. Un decreto del Governo deve rispondere ai requisiti di necessità ed urgenza che lo rendano legittimo in presenza di un evento imprevisto. Nel caso del Decreto Draghi tali requisiti sussistevano di fatto. E’ ancora così oggi a fronte di una guerra che si trascina da dieci mesi? La stessa previsione di invio di armi per tutto il 2023 sembra contraddire la volontà di giungere ad una rapida tregua. C’è, poi, una considerazione più di fondo. Sia questo decreto che quello precedente sono stati approvati in deroga alla legge 185/90 che all’art.6/a vieta “l’esportazione di materiali di armamento..” verso Paesi in stato di conflitto armato, al di fuori dell’area comunitaria. E’ del tutto evidente che il diritto alla difesa dell’Ucraina rientra pienamente nell’art.51 della carta dell’ONU, ma ciò non toglie che la deroga alla legge 185 è molto pesante, soprattutto se prolungata nel tempo. Anche alla luce dell’art.11 della Costituzione. Insomma, anche se ci limitassimo a considerare il solo aspetto giuridico della guerra, dovremmo concludere che è insostenibile una durata lunga del conflitto il cui fondamento normativo, per quanto ci riguarda, è esposto al giudizio di legittimità da parte della Corte Costituzionale. Vero è che il Presidente Amato si è espresso in modo favorevole alla decretazione, ma altri esperti come Ainis ed Azzarita hanno mostrato un diverso avviso. La via diplomatica va dunque perseguita con convinzione dal nostro Governo e dalla UE, a partire dai toni, che, talvolta, sembrano non adeguati. Colpisce infatti, che, sempre più frequentemente, i vertici delle Forze Armate dimostrino più cautela dei gruppi dirigenti politici. E’ stato il Capo di Stato maggiore della Difesa Cavo Dragone, il 4 novembre scorso a dire al Corriere che” non ci potrà essere una soluzione militare al conflitto…D’altra parte i territori presi dai Russi non possono essere riconquistati”. Non diversa è stata la valutazione del Capo delle forze armate USA Mark Milley che evidenziò “un rischio 1915”. Diversamente, i vertici politici Ucraini sostengono che”il cambio di passo (diplomatico) potrà avvenire solo quando la Russia abbandonerà le terre che ha invaso”. Sono evidentemente punti di vista assai diversi. Su quale delle due linee che attraversano i governi europei e mondiali si muove il governo italiano e la UE?.
L’Ucraina resiste con grande tenacia alla invasione russa. Il nazionalismo ucraino che ha una indiscussa egemonia in questo momento,per ovvie ragioni,sarà poi, una volta finita la guerra,in grado di fare dell’Ucraina un fattore di equilibrio per l’Europa e per il mondo? In questo tragico scenario non possiamo non tenere conto delle nostre opinioni pubbliche di cui si è visto un segno con la manifestazione di Napoli e di Roma. Le conseguenze della guerra sulle nostre popolazioni, a partire dall’Ucraina, non si devono sottovalutare né considerare il disagio come la espressione di un animo cinico ed indifferente. La preoccupazione per il futuro può diventare rapidamente un fattore di disgregazione della tenuta sociale e democratica del Paese. Nei giorni scorsi il Ministro dell’economia francese La Maire ha detto al Corriere che “Il vero rischio per l’Europa è il declino industriale…il costo dell’energia pesa per il 40% dei costi di produzione e che il prezzo è quintuplicato in Francia”. Questo è ancora più vero in Italia il cui fabbisogno era coperto per più del 40% dal gas russo. Per tutte queste ragioni non c’è alternativa al negoziato; una nuova cortina di ferro in Europa, un Muro spostato più ad est di Berlino sarebbe un incubo da ogni punto di vista. Si è molto criticata la Merkel per la sua politica verso la Russia. Ma quell’approccio fondato sulla fornitura energetica non era frutto di improvvisazione, bensì il risultato di una scelta storica e politica consapevole fra Germania e URSS-Russia, frutto della storia post bellica. Anche grazie a questo ci fu il consenso di Gorbacev alla caduta del Muro e alla riunificazione tedesca. Non bisogna dimenticarlo.
Se c’è un limite nella attuale politica della Nato, esso è nella mancanza di valutazione adeguata di questa storia postbellica che portò anche il nostro Paese a costruire la Fiat a Togliattigrad nel 66,malgrado gli interventi militari URSS nel ‘53 a Berlino,nel ‘56 in Ungheria e la crisi di Cuba nel ‘62. Questa consapevolezza dovrebbe tornare ad ispirare le classi dirigenti e di Governo dell’Europa occidentale e degli stessi USA. I processi di costruzione della democrazia nei Paesi in cui questa manca non possono essere imposti dall’esterno perché in questo modo si alimenterebbe una continua tensione internazionale che alla fine soffocherebbe e vanificherebbe anche le spinte democratiche che in essi sono presenti. C’è un limite che non va oltrepassato nei rapporti fra Stati Sovrani, non solo, ovviamente la violazione armata dei confini nazionali, ma anche l’ingerenza, al di là dei normali rapporti diplomatici, nella vita di uno Stato sovrano. Nemmeno quando questa sia motivata da nobili principi e motivazioni all’insegna di un interventismo-idealismo democratico. Ce lo insegna il caso Libia, il caso Siria ma, ancora prima, la “guerra umanitaria” nei Balcani. La via diplomatica è la via maestra, e l’obiettivo da perseguire è una Conferenza Internazionale per la sicurezza in Europa. Non si tratta di fare una nuova Yalta, è vero, ma non si può nemmeno ignorare la Storia del secondo dopoguerra perché solo tenendone conto si può anche trovare la via di uscita dal conflitto in corso.
Arturo Marzano