La direzione del PD non ha avviato un vero dibattito intorno ai nodi politici e di fondo che si sono toccati in questi anni. Il dibattito sul futuro del PD e della sinistra italiana deve riguardare non solo gli iscritti o ristretti gruppi dirigenti, ma l’intero Paese perché la questione riveste un Interesse Nazionale. Da tempo, su alcuni aspetti della vita e della funzione della sinistra ci si interroga da più parti e non solo in Italia. Il tema della sinistra che non interpreta più le esigenze dei ceti popolari non è solo un tema nazionale ma riguarda l’intero occidente europeo e USA. Il caso della Svezia, da ultimo, è da questo punto di vista clamoroso. Lì dopo un secolo, la socialdemocrazia ha ceduto il passo alla destra moderata, convergente con le forze più radicali, creando un precedente in Europa che può influenzare il gruppo dirigente del PPE. Io non credo che il vero problema sia nel fatto che il PD confonda riformismo con moderatismo. Ricordo, tra l’altro, che Letta ha sempre messo l’accento sulla esigenza di essere radicali nei comportamenti, progressisti nei valori, riformisti nel metodo. Dunque non è questo il punto. Nè credo che il PD abbia rinunciato a combattere le disuguaglianze, semmai la domanda è stata ed è sul come farlo.
E’ vero, però, che il PD è percepito come un partito di sistema e non è riuscito a fare ciò che Aldo Moro predicava come cura per la Dc ”essere opposizione a se stessa” .Però bisogna anche capire che il Paese non ha alcun bisogno di una forza antisistema, i cui danni sono stati riconosciuti dagli stessi protagonisti. Enrico Berlinguer in una importante assemblea operaia a Torino il 27 febbraio del 1978 disse, addirittura, che il “PCI doveva essere un partito conservatore e rivoluzionario” affermazione che suscitò in molti di noi stupore. Ma egli voleva semplicemente dire che una forza rivoluzionaria deve sapere individuare le cose che vanno conservate anche nel quadro di un mutamento profondo di una società. Non è dunque la parola conservazione che ci deve spaventare, nè temere di essere una forza che garantisce la stabilità del Paese.
A mio modesto avviso il limite di fondo del PD, oltre a quelli che riguardano la sua vita interna, correnti, stile, formazione dei dirigenti ecc. non è tanto il fatto che sia un partito moderato e non riformista, ma che ha operato una rottura esplicita, ricercata ed esibita con il popolarismo cattolico della Dc e con la cultura popolare del PCI. Questo fu il Manifesto del Lingotto delineato nel 2007.L’asse culturale che venne proposto era un mix indefinibile di pensiero democratico americano, lib-lab inglese, radicalismo italiano(Pannella),e anche subculture di varie provenienza, in uno, con un pensiero economico ispirato profondamente alla tesi elaborata da Giavazzi-Alesina nel saggio (Il liberismo è di sinistra del 2007). Questo indirizzo politico culturale, tuttavia, precede anche il Lingotto. Non è il portato degli ultimi anni, ma è il frutto di tutta una storia che va avanti da oltre un trentennio e che la vulgata ha definito “nuovismo”. Ricordiamo il fronte-partito referendario Segni, Occhetto, Fini, Pannella, Arturo Parisi ecc. la ricerca, forse anche legittima dopo il crollo del Muro, di nuove strade, la Fine della Storia ecc.
Oggi tutto ciò, anche alla luce di quanto avviene in Europa a partire dalla guerra in Ucraina, su cui pure bisognerebbe avviare una seria riflessione, è un cumulo di macerie. Ma da lì bisogna partire se si vuole rifondare una sinistra non massimalista, che sia insieme riformista e popolare e, sottolineo popolare. Questa analisi è tanto fondata che lo stesso Prodi nel suo saggio “Il piano inclinato” del 2017, ammetteva che ”abbiamo affrontato la globalizzazione con strumenti inadatti e senza una visione di lungo respiro…”.Giuliano Amato, a sua volta, in una intervista ad Aldo Cazzullo, sul Corriere, il 13 giugno 2017, parlò autocriticamente di “Fallimento di proporzioni storiche” a proposito delle politiche sviluppate dalla sinistra nell’azione di governo e nella stessa impostazione culturale. Ecco perché bisogna ripartire dalle fondamenta mettendo in discussione un trentennio di elaborazione politica e di politiche realizzate. Cosa è stato ed è il PD? Forse la fotografia più calzante ci è stata fornita da Filippo Andreatta il quale sempre a Cazzullo il 15 giugno 2021 disse che il PD doveva essere” Una Unione delle Minoranze”. IL PD, in realtà, è stato proprio questo. Sia nella composizione dei gruppi dirigenti, sia nelle tematiche che hanno costituito il suo prevalente impegno politico e parlamentare, tematiche che poco interesse suscitano nel mondo del lavoro e in larghi strati popolari. Insomma è parso più un partito, a tratti, radicale, che un partito popolare, quale è stato, invece, la Dc o il PCI. Bisognava, certo, innovare le tradizioni di provenienza ma non recidere i tratti più significativi di quelle culture politiche fino ad assumere i caratteri di una forza che è un inconoscibile, estraneo alla Storia del nostro Paese dall’Unità di Italia ad oggi.
Possiamo cambiare e assumere i tratti di un partito moderno democratico, popolare e non demagogico che si ispiri al socialismo riformista e non massimalista? E’ cosa non semplice. La discussione è avviata e l’operazione va tentata; ma essa non può riguardare, in modo prioritario ed esclusivo, la scelta delle alleanze su cui dilaniarsi, ma deve riguardare un NUOVO PROGRAMMA FONDAMENTALE per costruire un partito, in cui restino e coesistano forze cattoliche, socialiste ed ex PCI, ecc. e che ambisca almeno al 30% di consensi. Un programma tutto da elaborare perchè il punto di approdo del Lingotto è stato demolito in più occasioni dall’elettorato italiano, incluso questa ultima. Questo dovrebbe essere il nostro congresso.
Arturo Marzano