Stabat rosa pristina nomine.
Così oggi sta la sinistra dopo il 25 settembre a risultato elettorale chiaro e netto: la destra sociale e politica ha vinto le elezioni da lei anticipate!
Ma si tratta di una sconfitta annunciata dopo un ventennio in cui si è svolto un duro confronto tra il centro destra e il centro sinistra, durante il quale la sinistra ha optato per le coordinate sociali del neoliberismo globalista, dell’individualismo proprietario interclassista, assumendo tout court il fallimento dell’esperienza sovietica come limes tra democrazia e barbarie.
Chi scrive ha contestato da sempre l’esperienza sovietica perché foriera di un autoritarismo burocratico che riduceva le libertà a mero simbolo e non a sostanziale terreno su cui cercare un nuovo mondo socialista, ha sempre cercato una strada diversa dall’omologazione ai due imperi, ha da sempre visto nella ricerca gramsciana una politica di liberazione dalle forze coercitive del capitale, che come analizzava Marx, alienavano l’umanità e fomentavano rivoluzioni passive che legano in lacciuoli ideologici le forze del lavoro espropriate della propria ricchezza.
Oggi pare che il problema sia cambiare nome, trovare leader in sintonia con il nuovo che avanza, il tutto per una rivincita sulla destra continuando a ignorare i temi fondamentali che hanno portato la sinistra a rischiare la sua stessa esistenza.
Riporto un passaggio del commento di Michele Mezza sull’ analisi del voto:
“Insomma, abbiamo subito una sconfitta marxista, legata ai rapporti di produzione, a un cambio di mulino, avrebbe detto il grande vecchio di Treviri, e non alla psicologia di qualche candidato fragile. Una sconfitta che inizia nel 1989, quando con il Muro di Berlino crolla ogni possibile narrazione di una sinistra che ha voluto, o potuto, al massimo cambiare indirizzo e nominativo, ma certo non cultura, radicamento e identità. Siamo rimasti quelli delle feste del’ “Unità”, con il macabro paradosso di celebrarle senza “l’Unità”. E nel frattempo si automatizzava la vita, la produzione diventava un algoritmo, il consumo una profilazione, la politica un social.”
Aggiungo un mio ricordo di qualche decennio fa: verso la fine degli anni ottanta si cominciò a registrare un calo della partecipazione popolare al voto e nel Pci e nella sinistra si formò una corrente di pensiero che assumeva questo fenomeno come un positivo allineamento alle democrazie occidentali, Stati Uniti, Inghilterra, che nella scarsa affluenza al voto vedevano una positiva tendenza all’affermazione di un modello di governabilità efficiente: insomma meglio pochi e decisi che l’universo confuso del “popolo”, la rivoluzione passiva veniva assunta come via al dispiegarsi del neo liberismo economico,
Il voto settembrino ha reso la sinistra, come il Re, nuda!
Si è mostrato, come del resto si registra in tutta l’Europa e l’Occidente, la rottura del patto tra capitale e lavoro che ha retto, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni 90 del secolo scorso, il sistema “social democratico” dei Paesi occidentali.
La parte del mondo produttivo, formato dal capitale, si è liberata della sua funzione sociale con la frammentazione dei cicli produttivi, l’uso, univoco di parte, dello sviluppo tecnologico, l’affermazione che il lavoro non deve essere retribuito per il suo valore ma come ricerca di reddito da contrattare individualmente, come se si stesse in una Borsa in cui la volatilità del lavoro viene assunta come valore dei titoli “future” o altri strumenti finanziari.
Il mondo si è trasformato in occasioni di decentramento dei cicli produttivi dalla città ricca alle periferie orientali o sub continentali, si sono così determinati nuovi rapporti di forza nel pianeta: chi detiene ricchezza, chi assume la libertà come affermazione individuale dei suoi bisogni e utilizza le diseguaglianze come terreno su cui sviluppare egemonia, costruisce un blocco sociale piramidale in cui sono azzerate tutte le possibili ascese sociali. Le “Cose materiali” sono state sostituite dalle “Non cose “di cui si può disporre liberamente cedendo il proprio io al governo di algoritmi finalizzati al controllo, quello sì materiale, delle coscienze ma non si può contrattare l’uso de “il mulino”, sempre di marxiana memoria, con la sua funzione: o si accetta o si passa tra gli ultimi.
E’ il modello neo liberista che afferma se stesso e la sua potenza universale, che costruisce nemici a suo uso, che porta l’umanità sull’orlo del baratro nucleare; ed è talmente pervasivo che ha modellato i suoi nemici.
L’autocrate Russo, risultato della dissoluzione del modello sovietico che non aveva registrato l’esaurirsi della sua spinta originale, usa gli stessi mezzi in una concorrenza strutturalmente diseguale e perciò foriera di possibili drammi per il Mondo.
In questo scenario si sta avviando la fine della funzione della sinistra nel mondo occidentale.
Eppure la rosa esisteva anche prima che qualcuno le desse un nome!
In Italia abbiamo avuto una sinistra che, sia pur con osservanze canoniche verso l’Urss, ha perseguito uno sviluppo originale, ha edificato, assieme alle forze cattoliche e socialiste la Repubblica, rifuggendo dal proporre modelli esterni ma riportando lo spirito gramsciano della solidarietà dello sviluppo economico come volano del progresso civile, come tema ispiratore, assieme agli altri, della Carta costituzionale.
Oggi ci scopriamo insediati nei centri storici, scopriamo che le forze del lavoro votano tra destra e populismi, che la galassia astensionista pesa sugli assetti sociali senza capire che l’evento fattuale di quella galassia è stato il governo senza qualità che la sinistra italiana ha praticato nell’ultimo ventennio, scopriamo che il populismo “progressista” del Conte grillino, che pure ha perso sei milioni di voti, può essere l’alternativa sistemica fondata sulla rabbia sociale all’assistenza come patto fondativo di una società che estrae ricchezza negando il progresso tecnologico, scopriamo di non avere più risorse propositive per invertire un ciclo economico, e continuiamo a dividerci su nomi, generi di segretari o in disquisizioni di pura, vecchia ideologia nostalgica.
Credo che oggi bisogna cambiare pelle alla sinistra, vedere la trave che per decenni ha offuscato la vista: in questo ventennio la rivoluzione passiva ha smantellato gli schieramenti sociali fondati sul keynesismo che avevano stabilito un equilibrio interclassista tra grande impresa, settori operai e media borghesia, in cui la politica aveva le leve del comando. Si sono liberati così gli esclusi da quel patto: la piccola e media impresa ed ampi strati sociali non tutelati vivacemente critici delle forme in cui le politiche sociali hanno trovato attuazione.
A fronte di questi processi la sinistra e il mondo sindacale hanno perseguito la strada della responsabilità istituzionale, la prima, o la lotta per i diritti, il secondo, slegata dalla questione dell’organizzazione del lavoro e la sua gestione, si è così governato “senza qualità” supportando i processi di ristrutturazione e separandosi dai protagonisti sia lavoratori che imprenditori, e in mancanza di politiche economiche diverse dal neo liberismo, il mondo sindacale ha centrato tutto sui diritti interni alla fabbrica tradizionale, lasciando fuori dal suo orizzonte le nuove micro aziende, le fabbriche immateriali, i lavoratori a partita iva, e gli ultimi che non possono accedere al mercato del lavoro neo liberista.
Su questo terreno si è sviluppata l’iniziativa populista, dapprima con i 5stelle che si sono ritrovati, poco dopo il loro successo elettorale, in compagnia della Lega e senza una politica se non il “vaffa” come strumento che ha raccolto da tutte le parti gli scontenti e i rabbiosi, vero è che hanno proposto e realizzato una misura sociale come il reddito di cittadinanza, strumento oggi inamovibile, universalizzandolo come lotta alle diseguaglianze, ma che senza struttura applicativa, è in breve diventato strumento per sacche predatorie, che ne hanno offuscato il valore strutturale di legame sociale per superare diseguaglianze; la destra populista sceglie la strada dell’eversione di massa combinando l’antistatalismo predatorio del ceto imprenditoriale delle micro piccole imprese con l’assistenzialismo clientelare verso gli emarginati periferici legandoli fideisticamente e senza leggi strutturanti alla misura economica, un “meta verso” di noi altri.
Nel settembre di questo anno il Paese ha preso coscienza che si trova in un altro mondo; un mondo di ceti sociali competitivi che, grazie alla legge elettorale voluta dalla sinistra e alla riduzione “populista” del numero dei deputati e senatori, ha una maggioranza istituzionale di destra e una maggioranza sociale divisa, confusa, disillusa dalla mancanza di un’alternativa strutturale all’attuale stato delle cose che pesa sulle donne e gli uomini che ogni giorno affrontano la vita individualmente.
La grande differenza del Pci negli anni del dopoguerra con i partiti comunisti di tutta Europa fu l’intuizione di costruire una Repubblica Italiana fondata sulla concretezza delle cose, portando nel cuore istituzionale la rappresentanza di tutto il popolo senza ideologismi ma aprendo la strada a un’evoluzione democratica di progresso.
Differenza che oggi la sinistra non ha, non si tratta di recuperare il passato si tratta di leggere gli assetti sociali così come si sono determinati in questi decenni, si tratta di proporre politiche che centrino il tema della produzione e della distribuzione della ricchezza in funzione del superamento delle diseguaglianze, si tratta di proporre un modo di stare nell’Occidente non subalterno alla logica del sovranismo occidentale, si tratta di costruire, innanzitutto all’interno delle proprie organizzazioni regole di democrazia partecipata che superino le illusioni fraudolente delle piattaforme, e che eliminino l’idea che i capicorrente sono gli unici decisori della costituzione dei gruppi dirigenti.
Un campo largo sociale lo si può costruire se si dà voce a chi è protagonista della vita di ogni giorno e si sente escluso dalle “caste”, se con il confronto si esce dall’autoreferenzialità, se si pone al centro della ricerca la libertà collettiva di lavorare per il progresso sociale e istituzionale.
Si perde tempo se si richiedono abiure, giustizialismi verso gruppi dirigenti, se si inseguono chimere rinunziando a lavorare per un orizzonte nuovo.
Oggi è tempo di affrontare le questioni con radicalità e serietà, due temi proporrei all’attenzione del variegato mondo della sinistra:
-rappresentanza elettorale: tutti dicono che questa legge è ingiusta, la sinistra può lavorare a una proposta di una legge alternativa utilizzando lo strumento referendario, non tanto per senso di rivalsa, ma come occasione per far parlare i cittadini, per confrontarsi tra elettori e non tra gruppi dirigenti auto conservativi?
-crisi energetica: in questi mesi il peso dei rincari sarà dirimente, lasciamo che ognuno rivendichi il proprio sussidio per pagare la bolletta o si sviluppiamo una iniziativa politica che proponga una revisione della tariffazione per sottrarla ai maxi profitti, che rispetti i livelli di reddito, e i cui utili siano investiti nella tanto agognata riconversione energetica?
Insomma la Rosa è sempre stata lì con i suoi colori, i suoi struggenti profumi, si è riprodotta naturalmente cambiando nel tempo sempre restando “la Rosa”, non ha mai avuto bisogno di cambiare nome. Oggi riprendiamo a coltivare Rose.
Massimo Anselmo

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