di Antonio Avilio

Le elezioni del 25 settembre segneranno, è stato già detto e ripetuto, uno spartiacque ma forse sarebbe il caso di analizzarne a fondo la portata ed il valore di tale svolta. Non voglio in questa sede insistere sul rilievo per il Paese che un passaggio del genere segnerà se, come si prevede, la destra a guida nazionalista vincerà. È ovvio che di questo ne penso tutto il male possibile, ma vorrei concentrarmi ad analizzare quello che in campo ora c’è soprattutto per quel mondo difficile da individuare, pieno di aggettivi, diviso e mutilato ma presente e resistente come quella ginestra di Leopardi dinnanzi alla lava del “Monte Vesevo”: la sinistra.

La campagna elettorale di tutto ciò che non sia destra, oggi, si caratterizza per la famosa chiamata al ‘voto utile”, al pericolo fascista e reazionario. Sia chiaro: ritengo che un pericolo del genere esista (non nella formalità delle leggi ma nella sostanza della vita democratica) eppure, prima di fare ciò, credo che tutti noi dovremmo chiederci come sia successo che la grande questione sociale, le sue scomposizioni, i suoi drammi siano andati ipotecati non solo dal grande partito dell’astensione, ma soprattutto dalla destra nazionalista. Come è accaduto che il conflitto sociale abbia fatto sì che i poveri, i diseredati o non votino o votino quelle forze che nelle loro proposte non menzionano mai la parola uguaglianza, mai la parola giustizia sociale? Manca, nel ragionamento della sinistra e del centro sinistra qualsiasi riflessione propriamente “di classe” che si interroghi sulla portata dell’astensione proprio nelle fasce più deboli, molto più elevata che in quelle medie e alte, così come della stratificazione del voto per cui il “suo popolo” guarda a chi parla di Flat tax e di autonomia differenziata. Le domande ed i dati sono sopraffatti da una vuota quanto retorica corsa “al programma”, elenco della spesa delle proposte più o meno realizzabili, riducendo la presenza politica ad un presentazione di “riforme” sganciate, tuttavia, da un logos generale, da un inquadramento complessivo che analizzi il mondo in cui ci si trova e le forze in campo che muovono, schiacciano o sono schiacciate da questo tempo. È questa la debolezza che si paga non solo in questa elezione ma nella diminuzione degli iscritti alle organizzazioni politiche e sindacali e nella progressiva disintermediazione dei corpi sociali e collettivi, e di tutto quanto viene bollato come “crisi della democrazia”.

La sinistra ha una sua visione della democrazia? La sinistra ha un criterio per interpretare la strada della democrazia? E che idea ha, oggi, della società? Ovviamente tutto questo manca non solo perché una parte del nostro mondo ha bevuto e si è ubriacata alla fonte del neoliberismo, ma anche perché non si è riusciti, nemmeno per chi era dall’altra parte, a fondare un sistema, a riscoprire un’ ideologia (non è una brutta parola). L’andazzo di questa campagna elettorale non è che la punta di un iceberg di una parabola discendente, ma che aveva già mostrato il suo vuoto nelle elezioni passate, e non solo nazionali (in Campania, nel 2020, di che cosa si è parlato?). Bhe, e allora? E allora la risposta è incominciare a studiare, ripensando in primis il grande tema del lavoro, non solo nelle sue forme nuove ma anche la sua soggettività, la sua rappresentanza, ricostruire un logos del lavoro, fondare un logos delle forze produttive, non limitarsi a semplici proposte svincolate da una riflessione generale. Ha dignità il lavoro? Come si declina, se ammettiamo che ce l’abbia, la dignità nell’oggi? E soprattutto: che cos’ è, oggi, la dignità del lavoro e del lavoratore? E che rapporto c’è tra qualità democratica e qualità del lavoro? Rifondare un discorso sul lavoro implica, necessariamente, fondarne uno sulla qualità della vita umana e quindi sull’ambiente, che può rivelarsi il vero campo di elaborazione di un’alternativa sistemica, è lì che si intrecciano i nodi del sociale, dell’economico e della democrazia. perché è lì che si misura la vita e, quindi per riflesso, la politica. è, potremmo dire, la sovrastruttura di qualsiasi ragionamento, la calamita che attrarrà qualsiasi cosa e con la quale fare i conti. cercare il logos del nuovo mondo, implica, quindi costruirne uno ecologicamente integrato e totale. Ma per fare questo c’è bisogno di apertura e di incanto, lo stesso incanto del poeta dinnanzi al piccolo fiore della ginestra di cui sopra. Incanto perché esso è il motore che spinge a guarda ancora al futuro. Non siamo soli: il magistero della chiesa cattolica sotto questo pontefice, i movimenti sud-americani che hanno preso il potere in Bolivia e Colombia, la forza propulsiva del rivalsa della sinistra francese, l’esistenza, oggi più forte di prima, di una piattaforma nuova e identitaria di sinistra negli Stati Uniti con Ocasio Cortez e Sanders, oltre ai collettivi sparsi nella nostra bella penisola giovani e dinamici, dimostrano che la voglia di ripensare questo mondo esiste, bisogna solo provare ad entrare in contatto con loro, uscendo fuori dal proprio recinto quotidiano. Per fortuna il sole sorgerà ancora il 26 settembre, nonostante le nuvole che arriveranno, ma prima di farle sparire servirà uno sforzo inedito e non trascurabile, magari prefissandosi lo scopo, come su queste pagine ha scritto Gianfranco Nappi, di una vera e propria Bad Godesberg del neoliberismo, per fondare un pensiero. Saperlo ora per prepararsi subito.

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