di Angelo Laudiero
2 agosto 1980. Ore 10.25. Stazione di Bologna. Un normale sabato di inizio ferie. All’improvviso l’inferno. Una deflagrazione sventra l’ala ovest dello snodo ferroviario più grande d’Italia. Poi, per un lungo, interminabile istante, soltanto silenzio, detriti e macerie. È la strage più efferata della storia italiana dal dopoguerra ad oggi. Il bilancio tragico conterà più di duecento feriti e 85 morti, l’ultimo dei quali estratto alle 2 di notte. Le prime voci parlano di uno scoppio accidentale, una caldaia che sarebbe esplosa nella sala d’aspetto di seconda classe, sopra la quale si trovano gli uffici dell’azienda che gestisce i servizi di ristorazione dello stabile, la Cigar. Ma subito si fa largo l’ipotesi dell’attentato, della bomba innescata da menti criminali e raffinatissime, presumibilmente di matrice fascista.
Da allora sono passati quarant’anni. La verità è emersa solo in parte nei tre processi celebrati finora, ma ha confermato i sospetti del primo momento: secondo la magistratura, si è trattato di strage fascista.
Il 9 marzo 1987, infatti, inizia il primo processo la cui sentenza arriverà solo nel luglio del 1988: vengono condannati all’ergastolo per il delitto di strage Massimiliano Fachini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Sergio Picciafuoco. Assolti, invece, Roberto Rinani e Paolo Signorelli.
La sentenza delinea uno scenario piuttosto chiaro: la tradizionale strategia della tensione con intenti golpisti si è sostituita ad “una sorda e strisciante occupazione delle istituzioni dall’interno, con il conseguente progressivo svuotamento dei contenuti sostanziali dell’ordinamento e l’asfissia della costituzione materiale, destinata a essere minata nelle sue fondamenta di democrazia pluralista” (Leonardo Grassi, La strage alla stazione in quaranta brevi capitoli, Clueb, 2020).
Il processo di appello (iniziato il 25 ottobre 1989 e con sentenza il 18 luglio 1990) smentisce il verdetto e assolve tutti gli imputati. È la Cassazione a intervenire il 12 febbraio 1992, dichiarando il rifacimento del processo, in quanto la sentenza viene definita “priva di fondamento”. Il secondo processo d’appello inizia l’11 ottobre 1993. La sentenza questa volta conferma l’ergastolo per Fioravanti, Mambro e Picciafuoco, ma assolve Fachini. Nello stesso processo vengono condannati per calunnia aggravata al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage Giuseppe Belmonte, Licio Gelli, Pietro Musumeci e Francesco Pazienza.
Il 23 novembre 1995, la Corte di Cassazione condanna in via definitiva all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, i neofascisti dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, ordinando un nuovo processo per Sergio Picciafuoco che verrà poi assolto il 18 giugno 1996 dalla Corte d’appello di Firenze.
Nella stessa sentenza, la Cassazione individua la loggia massonica P2 (i cui elenchi erano stati scoperti nel 1981) come complice nei depistaggi delle indagini attraverso il Sismi e condanna Licio Gelli, ex capo della P2, gli ufficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza (collaboratore del Sismi).
Il secondo processo, durato ben dieci anni, dal 1997 al 2007, riguarda l’ultimo imputato condannato come esecutore materiale: Luigi Ciavardini. Dopo essere stato assolto dall’accusa di strage e condannato per banda armata, Ciavardini viene condannato a 30 anni in appello, sentenza confermata dalla Cassazione l’11 aprile 2007. Nonostante la condanna, anche Ciavardini, come Fioravanti e Mambro prima di lui, continua a dichiararsi innocente.
Infine, nel 2017 viene rinviato a giudizio anche Gilberto Cavallini, altro ex NAR, con l’accusa di concorso in strage per aver offerto supporto e copertura ai terroristi. Cavallini viene ritenuto colpevole di concorso in strage con sentenza del 9 gennaio 2020 e per questo condannato all’ergastolo.
Durante la fase istruttoria emergono possibili elementi di contatto fra i NAR e servizi segreti italiani, come i numeri di telefono annotati da Cavallini riconducibili a una struttura del Sisde, e la presenza di due covi dei NAR in via Gradoli a Roma, dove durante il rapimento Moro erano basate le Brigate Rosse di Moretti: in entrambi i casi, gli stabili erano di proprietà di agenzie immobiliari collegate al Sisde.
L’11 febbraio 2020 la Procura di Bologna chiude la nuova inchiesta sulla strage contro i presunti mandanti e finanziatori, notificando quattro avvisi di conclusione dell’indagine: Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore, avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi e con gli ex NAR già condannati. Il 27 novembre 2020 si è aperto a Bologna il nuovo processo nei confronti di tali mandanti, finanziatori e organizzatori dell’attentato che nel frattempo, però, sono tutti deceduti. È stata inoltrata anche la richiesta di giudizio per l’ex generale del Sisde Quintino Spella e per l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, per depistaggio, oltre che per Domenico Catracchia, amministratore di condominio degli immobili di via Gradoli a Roma per false informazioni al PM al fine di sviare le indagini.
Dall’iter processuale, quindi, sembra emergere il ruolo di Licio Gelli non solo come semplice comprimario ma protagonista di primo piano in qualità di mandante e finanziatore della strage. Gelli avrebbe depistato le indagini perché lui stesso avrebbe pianificato l’attentato, d’intesa con Ortolani, il cervello finanziario della P2. I soldi della loggia massonica sarebbero serviti per finanziare i terroristi neri e comprare la complicità di apparati dello Stato, militari, civili, politici di estrema destra e servizi segreti.
Sono passati più otto lustri da quel terribile 2 agosto ma la ferita è ancora aperta nella coscienza del Paese e la cicatrice stenta a rimarginarsi, per via delle tante vite spezzate, per le sofferenze delle famiglie e per le menzogne e i depistaggi emersi in questi anni. Il lavoro costante svolto nelle indagini dalla magistratura riaccende adesso le speranze di ottenere una completa verità, reclamata a gran voce dell’Associazione dei familiari delle vittime e da una larga parte di Paese che crede ancora nella giustizia.
È proprio grazie al coraggio, alla tenacia e alla determinazione dei familiari delle vittime che la strage continua ad essere sotto i riflettori dell’opinione pubblica e sotto la lente d’ingrandimento della magistratura cui si chiede di portare a termine un processo che accerti una verità attesa più di quarant’anni.
Una verità inquietante che getta ancora una volta una serie di ombre sulla strage di Bologna, inevitabilmente legata a una stagione di misteri, delitti e attentati avvolti ancora da troppi misteri irrisolti. Troppe ancora le domande senza risposta. Troppi ancora i coni d’ombra e i chiaroscuri. Soltanto la piena verità potrà rendere giustizia alle vittime di questo Paese e a tutti coloro che credono nella democrazia e si battono per essa.
2022-08-02
Importante riepilogo storico che evidenzia anche le troppe ombre che hanno allontanato dalla verità….forse bisogna sostare più volte, senza fretta di chi sta in viaggio, e osservare con singolare attenzione i simboli della strage terroristica che lì dominano ancora.