Note sul ddl regionale per la semplificazione edilizia, la rigenerazione urbana e la riqualificazione del patrimonio edilizio


Il testo è piuttosto breve: il ddl conta soltanto cinque articoli, l’ultimo dei quali tratta in poche righe dell’entrata in vigore del provvedimento. Il primo articolo definisce piuttosto sveltamente le finalità ed il secondo riporta le procedure semplificate per gli interventi edilizi assistiti da specifiche provvidenze negli ultimi anni. Il terzo e il quarto articolo contengono le disposizioni cruciali del testo, sotto forma di emendamenti alla vigente legge urbanistica regionale 16/2004, il terzo, e di elenco dei contenuti innovativamente ammessi per gli interventi di rigenerazione urbana, il quarto.
Nel primo articolo il contrasto al consumo di suolo viene esclusivamente citato come mera giustificazione della densificazione edilizia nelle aree già costruite, la quale costituisce il vero obiettivo del provvedimento, che si presenta come una istituzionalizzazione perenne della licenziosità edificatoria del “piano casa”.
Vanno dunque esaminati in dettaglio il terzo ed il quarto articolo.
Conviene iniziare dal quarto, che, in sostanza, identifica la riqualificazione delle aree urbane degradate (ma si scopre presto che il degrado non è un requisito essenziale) con puri e semplici interventi edilizi su tutti gli immobili esistenti, la cui incentivazione è a sua volta riduttivamente individuata in un incremento volumetrico. Un incremento cospicuo, nella misura del 20 % in caso di ristrutturazione del fabbricato o addirittura del 35 % in caso di sua sostituzione. L’alternativa è a disposizione discrezionale della proprietà.
Gli interventi sono eseguibili in regime di intervento diretto, con la possibilità di cedere aree per standard, poiché viene ad aumentare il carico urbanistico o, più correntemente, di provvedere mediante monetizzazione.
Quando gli interventi configurano una ristrutturazione urbanistica, essi sono attuati mediante un permesso di costruire convenzionato anziché mediante il consolidato piano urbanistico attuativo (cosa che impedisce la presentazione di osservazioni e la partecipazione consultiva dei soggetti sociali interessati).


Il testo elenca gli ambiti e i casi, in gran parte scontati, in cui vanno escluse le incentivazioni volumetriche. I comuni hanno la possibilità (invero la sola a loro disposizione in rapporto alla materia del ddl) di individuare con delibera di consiglio comunale altri ambiti di esclusione.
Per immobili dismessi di qualunque tipologia e destinazione sono ammessi interventi di ristrutturazione/sostituzione con un incremento di volume del 20 %. L’intera volumetria può essere delocalizzata “laddove vi sia la disponibilità di una area alternativa”. Vale a dire che se il proprietario dell’immobile possiede un suolo, dovunque collocato e comunque urbanisticamente disciplinato (vale a dire anche in una zona agricola), vi può ricostruire il volume dismesso con la sua maggiorazione, dal momento che “gli interventi previsti dal presente articolo non costituiscono variante allo strumento urbanistico comunale”. Con buona pace del contrasto al consumo di suolo !
Tornando al terzo articolo, esso propone numerose integrazioni o modifiche alla vigente legge urbanistica regionale 16/2004 necessarie per consentire gli interventi ammissibili secondo l’articolo 4. Abbondano le raccomandazioni, peraltro tutte genericamente qualitative e largamente interpretabili, per il perseguimento di finalità ambientali, funzionali, sociali. Ma ci sono anche contenuti non banali presenti solo in questo articolo.
Ad esempio, l’incentivazione volumetrica addirittura del 50% per la ricostruzione in ambiti individuati dal piano urbanistico comunale di edifici posti in aree ad alto rischio idrogeologico. O l’introduzione di deroghe al decreto interministeriale 1444/1968. O la redazione da parte dell’amministrazione comunale, ma – si badi – “anche su iniziativa privata”, di un “piano programmatico”, “strumento con natura urbanistica, finanziaria e gestionale, [che] attua le azioni” connesse con finanziamenti del PNRR o di programmi strategici regionali, il quale può anche modificare lo strumento urbanistico vigente ! In tal caso basta che “l’approvazione o la ratifica sia di competenza del Consiglio Comunale”. In altri termini, il piano urbanistico comunale può essere stravolto con una semplice delibera consiliare senza alcun controllo o parere neppure degli enti pubblici sovraordinati.
Insomma, il ddl contiene un grave indebolimento del governo pianificato del territorio. In particolare, non sarà più possibile definire il consueto dimensionamento dello strumento urbanistico comunale proporzionando il numero dei nuovi alloggi al fabbisogno desunto dalla stima previsionale del numero di nuclei familiari. Si avranno comunque nuovi alloggi, frutto delle decisioni autonome della proprietà edilizia (in particolare della grande proprietà) di ampliare o sostituire i propri fabbricati, quando ne riterrà la convenienza. E la monetizzazione degli standard, che diverrà procedura consueta anziché eccezionale, non produrrà l’aumento di attrezzature e servizi pubblici proporzionato agli incrementi volumetrici, sicché le dotazioni collettive resteranno sottodimensionate, peggiorando le condizioni di vita dei cittadini.
La densificazione edilizia aumenterà la congestione delle zone più appetibili e produrrà una crescita dei costi degli affitti e delle vendite, anche per tali effetti comprimendo i diritti della cittadinanza a fronte di cospicui incrementi delle rendite urbane percepite dalla grande proprietà immobiliare.
Un tipico meccanismo economico che avvantaggia una precisa minoranza sociale determinando serio disagio e gravi svantaggi per la collettività.

Alessandro Dal Piaz

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