di Gianfranco Nappi

In Totò terzo uomo, uno dei film forse , e immeritatamente, meno visti del grande napoletano, il refrain del protagonista in tutta pellicola, per progetti arzigogolati e perfetti sulla carta ma destinati a infrangersi nella realtà è uno sconsolato…tutto calcolato, tutto previsto…

E così ieri, tutto calcolato, tutto previsto…un disastro.

Ora, intendiamoci. La situazione di per se’ non è difficile: è difficilissima. improba.

Viviamo un tempo di tempesta nel quale non è facile la navigazione per nessuno.

C’è tutto un ordine che viene meno; c’è tutto un mondo che non ha trovato ancora un suo assetto. O meglio, la rivoluzione ( passiva ) neocapitalistica dell’ultimo trentennio ha costruito un mondo a sua immagine forzando, svuotando, mettendo in crisi gli assetti democratici; alimentando nuovi nazionalismi conflittuali, di cui si intravede la portata tragica solo in minima parte; radicando ingiustizie sociali insopportabili e scaricando in modo quasi ultimativo sull’ambiente, sulla natura, le conseguenze della sua ossessiva spinta di mercato e di profitto, ora impegnata nella devastante opera di colonizzazione della vita intera.

La crisi dell’Italia è qui dentro. E, fatto che accentua questa crisi in modo peculiare da noi, è l’emergere di un vuoto, l’affermarsi di una macroscopica assenza: quella di una sinistra politica ormai inesistente in Italia come soggetto popolare.

In buona sostanza è la crisi di una risposta a questi processi mondiali. L’idea che si potessero affrontare con un quadro di politiche deboli, remissive, accomodanti. Solo tattica e niente strategia. Con l’idea della insostenibilità e inattualità del conflitto . Con la scelta della via istituzional-governativa come unica legittimante, e desiderata. Con la scelta della rinuncia in definitiva ad una ricerca di nuovi paradigmi costitutivi della società.

Cioè, proprio nel momento in cui emerge tutta la insostenibilità di sistema di questo capitalismo ultima versione, nei confronti dei suoi guasti ci si ritrova privi di uno strumento di lotta, di mobilitazione, di resistenza attiva, di paziente costruzione alternativa.

Questa crisi lascia vedere sullo sfondo più sbocchi regressivi, tutti presenti nella dinamica politica italiana.

Il primo è l’affermazione delle spinte neo-nazionalistiche e la mobilitazione di ampi settori popolari, lasciati esposti alla crisi economico-sociale, agli effetti della pandemia e, ora, perfino della guerra, intorno alla narrazione identitaria e di tutte le paure, alimentate e ingovernabili , che si scaricano su ‘gli altri’.

Il secondo è quello tecnocratico, nel quale sostanzialmente la politica e i partiti decidono di giocare esplicitamente di rimessa, lasciando a queste forze, intimamente connesse con il ceto dominante globale , la guida del processo.

Il voto del 2018 segnò l’esplosione nel nostro paese del primo scenario, con l’accordo raggiunto sul filo di lana tra i due vincitori delle elezioni: Movimento 5S e Lega. Ma quel voto segnò anche la fine politica del progetto del PD che uscì mortificato dalle urne. E nulla fece per misurarsi con questa verità.

Di fronte alla durezza della crisi e all’acutizzarsi di una tensione tra Lega e Movimento 5Stelle condensata nell’entrata in crisi del Governo Conte 1 , in modo faticoso e assolutamente precario, prende corpo l’alleanza tra PD e 5Stelle con il Conte II.

Questa maggioranza, avrebbe potuto rappresentare l’alveo nel quale far crescere elementi di una condivisione di alcuni obiettivi fondamentali. Al suo interno agiva certo l’instabilità dei 5Stelle ma agiva anche in modo netto il freno del PD, la sua incertezza, la sua incapacità a vedere come i limiti evidenti della situazione avrebbero richiesto un di più di capacità di visione e direzione politica alta da parte di quel partito; di costruzione di nuova cultura politica. Solo a queste condizioni quel rapporto avrebbe potuto evolvere da coabitazione necessitata a consapevole alleanza politica. Le prove non sono mancate per andare in questa direzione. A cominciare dalla pandemia. Ma a dire il vero, questa strada nei fatti non è stata praticata. E’ stata evocata ma non perseguita da Nicola Zingaretti, che infatti repentinamente molla inspiegabilmente.

Per come sono andate poi le cose è emerso che questo tentativo poteva essere provato se alimentato da una forte convinzione. Questa comune maturazione avrebbe potuto determinarsi.

E invece, Renzi, rotto nel frattempo con il PD, agendo a ridosso del e dentro il PD, determinò la fine di quella esperienza di governo: l’unica, insisto, nelle condizioni date e con tutte le sue contraddizioni, che avrebbe potuto presentare alcune caratteristiche di coalizione politica.

E così è emersa con prepotenza il secondo sbocco: quello conclamatamente tecnocratico, Al livello più alto. Mario Draghi. Dopo Azelio Ciampi. Dopo Mario Monti. Come a dire che questa è stata in questi anni una presenza costante in fondo. Già operante attivamente nella crisi dei partiti.

Di fronte all’ondata montante di malessere sociale e di disorientamento diffuso e di fronte all’emergere di nuove contraddizioni e problemi, la guerra in primis con le sue conseguenze generali, l’avvicinarsi del tempo del voto ed anche una difficoltà del Presidente del Consiglio di assumere una capacità di intervento indirizzata compiutamente nei confronti della questione sociale ha generato due effetti simmetrici: il Movimento 5S ha accentuato gli elementi di sua crisi pagando, sull’altare del più rigido atlantismo, anche una rottura ampia; a destra invece si è passati dal senso di responsabilità nazionale al bisogno, visti i sondaggi, di accelerare l’opportunità del voto; di inseguire la Meloni nella deriva più estrema per non lasciarle campo totalmente libero. L’occasione era troppo grande. Tanto più che in questo modo, dentro una rottura generale anticipata, si azzerava quasi del tutto l’idea del cosiddetto campo largo e il rapporto tra PD e 5 Stelle.

E così siamo alla crisi. E al PD che ha giocato tutte le sue carte su Mario Draghi. Ed è rimasto praticamente solo, al netto della compagnia, che ti raccomando, di Renzi e Calenda.

Cosa gli rimane? Proporrà una coalizione CENTRO-CENTRO con guida Mario Draghi?

E così, nello scenario, quella che manca è ogni ipotesi politicamente di sinistra. E il tempo per qualsiasi cosa sembra del tutto bruciato.

E se di fronte al tempo di tempesta ( e di fuoco ) che stiamo vivendo; di fronte al rischio esistente non di una sconfitta elettorale ma di una rotta politica e sociale nascesse un appello rivolto al popolo della sinistra che dicesse a questo popolo: si, abbiamo accumulato tanti errori e limiti, ma di fronte a quel po’ po’ che è in gioco, tra pace e guerra, salute e ambiente, ingiustizia sociale e lavoro, non vi promettiamo di dare vita ad una forza nuova di sinistra dalla sera alla mattina ma , più semplicemente e più limitatamente, ad una Coalizione elettorale di Sinistra Politica, Sociale e Culturale; con alcuni punti netti di programma e su quelli ci impegniamo in Parlamento e nel Paese a sostenerli e a batterci; schierati sempre per la democrazia ma senza lasciarsi coinvolgere da impegni di governo ?

E se questo Appello fosse rivolto a nuclei politici, movimenti, associazioni, volontariato, realtà sociali e sindacali, movimenti ambientalisti e femministi, associazionismo cattolico di frontiera, per una Coalizione che rappresenti in primo luogo un impegno di lotta?

Certo, non tutti aderirebbero, non tutti si sentirebbero pronti, non tutti si sentirebbero scossi dal loro anche giusto torpore.

Il tempo non c’è. E vero.

Ci sono personalità tanto autorevoli, tanto diverse e tanto capaci di dialogare e rappresentare un riferimento di garanzia per un percorso del genere nel nostro paese, in quel che rimane nella sinistra politica e in quella sindacale, sociale, culturale, associazionistica? Ce ne sono , e non poche.

Ma che c’è da perdere a provarci? Che c’è da perdere a farsi prendere, se non ora quando, da un eroico furore per la democrazia, per la pace, contro l’ingiustizia sociale, per l’ambiente e la vita? Che c’è da perdere a provare a gettare un seme di speranza nel terreno e provare a farlo germogliare?

Se è vero che ben difficilmente questo voto lascerà le cosa grosso modo come erano prima. Se è vero che incombe una accelerazione della crisi verso una deriva nazionalistica ed esplicitamente di destra.

Il seme, oltreché per l’incerto presente, servirebbe molto per l’ancor più incerto futuro. Per riprendere un cammino. di cui si avverte tutta la necessità. E un cammino che ripensi ad una politica in grande, rifondata nella società e capace nuovamente di rappresentare strumento di lotta e di liberazione per le masse popolari, di un conflitto che veda come giustizia sociale e giustizia ambientale sono insieme e insieme reclamano un radicale mutamento di paradigma.

E se no…con rispetto parlando….sceglieremo tra uno un po’ più di sinistra nel PD, magari Articolounista…, cedendo al richiamo inutile del voto utile, o l’Anguria o la Bandana sbiadita o, drammaticamente, temo, molti che rimarranno a casa.

Tutto calcolato, tutto previsto…

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3 commenti

  1. Credo e condivido che la situazione si drammatica. Ma credo che próprio per questo sianecessario che figure dela sinistra credibili come Landinisi metano in bioco. E diano finalmente con coraggio Il loro contributo. Diversamente anche Il loro futuro né verrebbe travolto. Se non combati hai gia perso

  2. Credo econdividoche lá situacional sia dramática próprio per questo é necessário chef figure dela sinistra credibili come Landini si metano in bioco e diano finalmente con coraggio il loro contributo . Diversamente anche il loro futuro ne verrebbe travolto. Se non combatti hai già perso.

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