di Gianfranco Nappi

Provo insofferenza per ogni confronto politico che non muova dalla questione principale oggi aperta per l’Italia, per l’Europa, e, si può ben dire, per il mondo: la questione della Pace da guadagnare nei confronti di una Guerra che non accenna a fermarsi.

E’ rispetto a come ci si colloca nei confronti di questo dato cruciale che si deve giudicare una posizione politica, un partito, una possibile alleanza : se si prescinde da questo, quel che rimane è tutt’al più chiacchiera politicista destinata a non incidere nella realtà.

Campo largo, campo stretto. Questo sì e questo no…che senso ha se tutto ciò non si misura con la questione più grande della vita e del suo opposto, simboleggiata insieme da guerra-clima-pandemia?

Dimmi cosa fai su questo terreno e ti dirò cosa sei veramente.

Cominciamo dal tema della guerra.

Nella sua fase di ascesa e di espansione la globalizzazione neoliberista aveva bisogno di integrare quanti più è possibile: ogni area del mondo diventava una potenziale area da integrare nel mercato unico in formazione. Mercato unico delle filiere produttive e dei consumi.

L’idea emersa dopo l’89 era che in buona sostanza si potesse operare una sorta di reductio ad unum su scala globale e regolare i conti geopolitici con tutti da parte di un Occidente che si sentiva vittorioso.

Quel che non era previsto ( forse ) era che un capitalismo senza freni in trenta anni ha svuotato e messo in crisi anche quella stessa democrazia liberale in nome della quale si professava l’azione.

Quel che non era previsto ( forse ), era che dentro questo processo emergessero attori che non accettavano poi di rimanere al posto che il disegno di partenza gli assegnava ( passivo oggetto di investimenti esteri , pezzo di un più ampio mercato di consumo e pezzo di un più generale sistema di indebitamento forzato ). Alcuni paesi hanno individuato l’occasione per compiere un vero e proprio salto nelle loro condizioni di sviluppo, la Cina; altri hanno invece alimentato una rinnovata aspirazione di potenza a partire dal bisogno di quello sviluppo globale di fonti energetiche, la Russia con il suo gas e il suo petrolio. Altri paesi invece hanno visto risorgere pulsioni nazionalistiche e identitarie nei confronti di uno sviluppo che ha sradicato e travolto certezze di rapporti e di legami, nelle società come nei rapporti tra gli stati.

Nella globalizzazione si è aperta così una tensione, una competizione tra poli e centri diversi.

Come governarlo un mondo che si voleva unificato e che si scopriva multicentrico e multipolare? Come Europa e Usa hanno immaginato se stessi nel nuovo contesto e come hanno immaginato questo nuovo mondo? Di nuovo, e in modo ancora più forte, come Occidente o, invece, come opportunità di tessere un inedito scenario inclusivo per un governo del mondo ( credo sia stato Enrico Berlinguer ad usare per primo questa espressione), capace di misurarsi con tutte le più grandi emergenze che poi infatti sarebbero esplose l’una dopo l’altra?

Tra incertezze, stop and go, un farsi dell’Europa certamente nuovo ma immediatamente vincolato alla dimensione finanziaria predominante; una America che non ha colto le sue opportunità democratiche e ha lasciato campo libero devastante a quelle repubblicane , nei fatti è andata avanti, progressivamente, una strada sempre più forte di competizione indotta dalla logica di mercato, unificato ma non pacificato.

E’ questo contesto – di nuova confrontation, in un complesso meccanismo di azioni e reazioni, di paure e sospetti, di bisogni neoidentitari – che si riafferma l’idea che il riarmo è decisivo, che la via militare è quella più politica, che la Nato si pensa come presidio globale degli interessi di un Occidente nuovamente minacciato alimentandosi con/e alimentando a sua volta aspirazioni da potenza globale, il caso della Russia, o regionale, la Turchia.

E al di fuori di questa realtà che è cresciuta sotto i nostri occhi, non riesci a spiegarti l’assurda guerra che colpevolmente la Russia ha scatenato con l’invasione dell’Ucraina ed è dalla incapacità di far crescere una visione capace di rispondere a questo livello dei problemi delle relazioni globali che nasce l’assenza di una vera spinta per farla finire questa guerra, per costruire il tavolo della pace.

Ecco perchè essa, pur essendo chiaro che ha raggiunto una situazione di equilibrio che nessuno dei due soggetti in guerra ( quello che ha attaccato e quello che si difende), può ribaltare, al netto di una escalation nucleare di cui infatti sottotraccia si comincia drammaticamente a parlare, va avanti.

Davvero paradosso di una Storia che con l’89 si voleva finita, conclusa con la fine del Conflitto, con la sconfitta cioè dell’idea che fosse possibile immaginare un modello sociale diverso da quello capitalistico, si ritrovi invece oggi di nuovo non solo non conclusa ma addirittura ferita profondamente dalla Guerra che torna ( senza mai essersene davvero andata in questi trenta anni….), come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, qui, nel cuore dell’Europa.

E proprio qui, di nuovo, risorge il tempo di Occidente e Oriente che si contrappongono, che non possono che contrapporsi, che è giusto che si contrappongano, come cantano i corifei di questo neoatlantismo di accatto dalle colonne dei principali quotidiani italiani.

La guerra è come una ferita infetta che tutto avvelena. E’ come un cancro che rilascia le sue metastasi. E’ una regressione. E’ una tenebra.

La guerra cancella tutte le altre priorità: dal cambiamento climatico al diritto alla salute; dagli impatti sociali della crisi che si porta appresso alla ulteriore frantumazione della società.

E, in questo caso, è sempre più evidente che Usa, e Inghilterra di conserva, stanno giocando la carta di una messa in ordine del mondo, un ordine di parte, un ordine esclusivo, nel senso appunto che esclude da se’, dalle proprie ragioni oltre la metà e lo consegna ad una prospettiva di dipendenza da altre potenze globali.

E’ difficile prevedere che su questa linea neoatlantista si preannunciano nuove tensioni, nuovi conflitti, nuove lacerazioni? E come, su questa faglia profonda in formazione, immaginare poi uno sforzo comune per l’ambiente, la vita?

Quel che risulta chiaro è che dentro questo tornante un altra vittima è proprio l’Europa: l’Europa come potenziale potenza globale di pace e di sviluppo comune, come capacità di un pensiero tanto alto da poter parlare in modo positivo a tutti gli altri pensieri del mondo. Ma se l’Europa non è questo e diventa mera appendice degli USA, la sua crisi non solo non si supera ma non si nasconde neanche più: semplicemente esplode in modo incontrollabile.

Ecco perchè decisivo è l’impegno per fermare la guerra. Oggi. Esercitare il massimo di pressione a tutti i livelli, in tutte le sedi, in tutti i momenti per determinare quel clima che oggi manca e giungere ad un tavolo di trattativa sotto un’egida internazionale.

Questo avrebbe potuto essere il ruolo proprio dell’Europa. Potrebbe e dovrebbe esserlo ancora. Ma non lo è.

E non lo è da parte dell’Italia che anzi si sta dimostrando come uno dei pilastri di questo neoatlantismo insorgente, così come lo è stata in questi anni, in buona sostanza, di questa Europa da primato della finanza. Come è svanito presto l’afflato del Recovery Plan….

Il Governo italiano con Draghi è uno dei punti di massima tenuta di questa strategia e visione.

Uno dei massimi fattori di stabilizzazione.

E, nella sua compagine, il PD si è trasformato ( se il termine è corretto ), nel guardiano di questo nuovo ordine in costruzione.

Che tristezza per quelli, seppir sempre più di rado, si dicono eredi di Enrico Berlinguer e Aldo Moro…Almeno, per piacere, non citateli più. Ne avete perso il diritto!

Si, le alleanze, il campo largo, il voto utile…

Ma qui e ora, tu PD, cosa dici, cosa fai, cosa sei rispetto alla Guerra?

Eppure avresti una grande opportunità, nella lealtà del tuo impegno di governo, di concorrere a delineare un campo alternativo di idee, di visioni, di progetto per la società italiana. Nessuno ti chiederebbe di affermarlo ora, in un governo di unità nazionale e di fronte alla impossibilità/incapacità della politica affidato alla tecnocrazia che si fa politica. Ma di farlo vedere oggi si. Di indicarlo fosse solo come terreno di ricerca, sì.

E invece no. Non ti poni neanche il problema. Anzi, stai accompagnando lo stesso travaglio dei 5 Stelle verso un esito dissolutorio che si ritorcerà in primo luogo contro di te.

Ha proprio ragione il mio vecchio amico Nichi Vendola quando descrive di recente a proposito della deriva della sinistra prevalente ….l’eutanasia del principio-speranza nella vita pubblica, l’abolizione della idea conflittuale di alternativa, l’espulsione del dolore del lavoro dalla politica. Davvero ci siamo persi.

E allora ripartire da qui e dalla lotta per la pace è l’unico modo per ritrovarsi.

Chi lo riavvia questo cammino nuovo?

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