di Gianfranco Nappi

Come hanno ben colto diversi commentatori il fallimento del voto referendario di domenica è non solo la sconfitta di un uso distorto di uno strumento pensato come occasione di democrazia diretta, ed invece in questo caso agito , dalla Lega in primo luogo, come strumento di regolazione dei conti con una magistratura ( la cui crisi permane in ogni caso e che questo referendum non avrebbe risolto ), ma anche espressione di una crisi strutturale della democrazia che sembra procedere senza freni.

Ha poco da festeggiare in questo senso il PD con il suo primato elettorale: è un primato che si afferma sostanzialmente in un vuoto di partecipazione crescente anche in questo caso, in un quadro di alleanze che vede il centro tanto affollato quanto sguarnito il fronte di sinistra dello schieramento, fattore che alimenta ulteriormente un astensionismo strutturale.

Il centrodestra, a trazione Fratelli d’Italia, quindi nella sua versione più negativa, perde solo laddove non riesce a trovare la sua unità e la parabola calante della Lega e di Salvini viene recuperata in buona misura da FDI. Al momento questa coalizione si presenta come quella con maggiori possibilità di successo alle prossime politiche.

E già in questo c’è una ragione di fondo che dovrebbe spingere i vertici del residuo centrosinistra a cambiare passo in una proposta politica che appare debole, stinta, non in condizione di mobilitare nuove forze dalla società nè di contrastare la crisi del M5S che per quanto prevedibile sul terreno amministrativo si è riproposta in una dimensione tale da non poter non influire anche in vista del prossimo voto politico.

Tutta la discussione appare prigioniera di un formulario politico estraneo ai problemi del paese e quindi incapace di far compiere alla situazione il necessario salto di qualità.

A cosa si riduce questo che è diventato, come dice il Manifesto, un campo stretto? Chi si sceglierà? Il M5S in crisi o i reparti neocentristi di Renzi-Calenda-+Europa? Reparti neocentristi che in questo momento sembrano i più convinti assertori di una politica dura sul piano sociale e ultratlantista su quello internazionale? Riusciranno a trovare un precario equilibrio comune? E fondato su cosa?

Se dovesse rimanere questo il terreno della discussione dei prossimi mesi, tanto più in presenza di un aggravamento delle condizioni sociali del paese, di effetti ancora non prevedibili di una guerra per la quale non è in campo una azione di pace, dell’irrompere possibile sulla scena di nuovi protagonisti elettorali, anche dalla crisi del M5S, gli esiti mi sembrano abbastanza segnati.

E questo invece sarebbe il momento per rovesciare l’ordine delle priorità e dell’agenda politica: la pace al primo posto di fronte ad una guerra che ha esaurito ogni possibilità di raggiungere diversi equilibri sul campo – al netto di drammatiche evoluzioni nucleari – , e che però continua in assenza di ogni spinta potente corale in direzione della pace; il lavoro, con i suoi diritti e con i suoi redditi al centro con una nuova politica di redistribuzione della ricchezza ed una idea innovativa sul suo stesso formarsi che intorno alla lotta ai cambiamenti climatici muti nel profondo le ragioni di una relazione Nord Sud ancora oggi fondata sulla rapina e di una organizzazione della società che con il naturale distrugge ogni giorno le ragioni dell’umano; un percorso di ascolto, sollecitazione, organizzazione delle forze migliori della società per costruire un orizzonte di cambiamento partecipato, di protagonismo diffuso, di risposta alle tante spinte di nuove soggettività che oggi si vedono invece relegate ai margini.

La crisi morde. E’ difficile immaginare che una società dolente, smarrita, impaurita possa cercare anche sbocchi disperati? Ovvero prestarsi agli avventurismi più estremi o alla creazione di sempre nuovi nemici su cui scaricare ogni paura? Non è forse già accaduto?

E allora, ritrovi la politica la forza di una nuova visione. La ritrovi a sinistra quando è ben evidente che dentro il perimetro attuale di questi partiti, per come essi sono, per come essi si pensano e agiscono, la risposta non si da’ perchè non se ne da’ perfino la sola ricerca.

Questo tempo, a vederlo bene, richiede davvero un capovolgimento di ordini, di priorità di fronte al pericolo di una democrazia travolta mentre già essa è oggi svuotata: intanto di funzione di rappresentanza.

Questo sarebbe il tempo di ideali antichi alla cui affermazione dedicarsi con passione, tenacia e creatività: nuovo internazionalismo e nuovo socialismo appaiono parole non usurate ma espressione di un bisogno radicale di libertà e di futuro.

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