La guerra, con il suo tempo e il suo spazio, lascia tempo e spazio a questa Europa e ad un suo Rinascimento immaginati dal mio vecchio amico e compagno Gianni Cuperlo in questo suo ricco, colto e intrigante libro? Un libro che racchiude in 33 agili e intensi quadri, percorsi, riferimenti letterari e filosofici, esperienze, drammi lungo i quali l’idea di Europa si è fatta strada , faticosamente ed anche contraddittoriamente, nell’arco di lunghi secoli. Per altro verso, ha senso ancora, a guerra aperta, con il suo macinare morti, distruzioni e sciupio di speranze con le vite, questa riflessione sul destino dell’Europa?

Se possibile penso che il valore di questo lavoro diventi ancora più stringente: un insieme di riferimenti per immaginare una Europa che riandando alle sue radici – molteplici, diverse, costruendone una sorta di nomenclatura e riportandole tutte alla propria attenzione e memoria – ritrovi , dentro questa complessità delle tracce, come le definisce l’autore, il filo di un proprio futuro: l’unica strada possibile, ancora più urgente, appunto, oggi.

A patto di avere la consapevolezza di quel che sta accadendo e con cui questo libro, finito appena prima, entra in tensione: se abbiamo chiaro che la guerra sta azzerando uno spazio autonomo per l’Europa, in modo drammatico; che la sta ricostruendo come protesi atlantica, con un salto che quanto a velocità solo le rotture profonde possono determinare: allora abbiamo chiaro che lo scavo di Cuperlo assume maggiore valore se inteso come resistenza a questa forzata reductio ad unum, come bagaglio di idee e di suggestioni utili per organizzare un altro esito di questa vicenda, dare al corso degli eventi un altro verso, un’altra direzione.

Se inteso così allora, esso, appunto, diventa mappa per orientarsi in un farsi nuovo e diverso dell’Europa: diverso rispetto alle coordinate prevalenti degli ultimi decenni ma diverso anche rispetto a questo azzeramento della politica che si vive in questo tempo di guerra, che pure in quelle insufficienza affonda parte delle sue radici, senza attenuare di un niente le responsabilità di Putin. E reclama pressanti scelte sul piano politico che ad opera del Governo italiano, come di quasi tutti gli altri europei, non si intravedono. Tutt’altro. Nè il PD si distingue in questo pur di fronte alla grave derubricazione in atto dell’articolo 11 della Costituzione.

La riflessione di Cuperlo assume in fondo due cardini fondamentali di riferimento: quello della complessità di una storia, come già detto, da cui non si può e non si deve prescindere, e quello di una Europa che assuma la frontiera della lotta alla disuguaglianza e alla povertà come chiave di volta di un ripensamento di tutte le proprie politiche come condizione di salvezza della democrazia.

A queste due condizioni è legata la possibilità di sventare il pericolo che Cuperlo avverte incombente per l’Europa come del rarefarsi delle sue ragioni.

E indica questa strada ad una sinistra che voglia riprendersi dal proprio smarrimento, dalla propria crisi, dal proprio rinchiudersi al centro, e torni ad essere, insieme alla politica e con l’Europa come teatro privilegiato del suo farsi nuovo, capace di dare corpo al bisogno di una profezia, di un pensare utopico, sono sempre parole sue.

In questo il messaggio dell’autore è molto forte e fermo e sottopone a serrata critica il rinsecchimento della politica che si è ritratta di fronte alla tecnica e al potere economico lasciando uno spazio amplissimo di società senza rappresentanza che si rifugia spesso nella realtà del populismo. lo alimenta e gli restituisce una base di massa. Anche qui dunque ci sarebbe una indicazione preziosa per la ricostruzione di un ruolo diverso per la politica, per una sua ripresa di soggettività, sia verso la parte sfiduciata di società che verso quella più forte, ad averla bene a mente nella pratica quotidiana.

Molto intenso poi, alla partenza e all’arrivo del filo del discorso di Cuperlo, ed anche in più punti del suo snodarsi, il suo legame formativo, culturale, biografico – a cui con garbo e misura che sono proprio suoi, l’autore accenna in diversi passaggi – con Trieste, con quell’humus che è proprio di un territorio di confine, anzi di più, di un territorio necessariamente aperto e multiforme, strutturalmente formatosi dall’incrocio di culture, con i suoi grandi riferimenti letterari e culturali, parte costitutiva di quella Mitteleuropa dal cui angolo di visuale è possibile gettare uno sguardo particolare sulla storia e sul futuro dell’Europa: più ricco e comprensivo di storie passate e di esiti possibili.

Potremmo dire addirittura di più, Gianni vi accenna in un punto ma forse su questo si potrebbe essere più netti: non solo la crisi dell’Europa e dell’Occidente, di questa che si è voluta civiltà, la si coglie di più proprio dalle aree di confine ma perfino meglio ancora Da Fuori, dal titolo di un bel saggio di Roberto Esposito di qualche anno fa. Anzi, per certi versi, è solo provando a metterti da fuori, in un’altra ottica, a partire da un punto di vista altro, esterno, che puoi cogliere tutte le sfumature e i gradi di una crisi che fa di te Occidente non più il centro del mondo.

Un libro profondo e gustoso nei suoi molteplici rimandi letterari che hanno l’Europa come teatro e che merita di essere letto anche proprio come un arricchimento dello spirito.

Ho però alcuni nodi di fondo su cui mi piacerebbe sollecitare Cuperlo ad un chiarimento maggiore o su cui più semplicemente registro una distanza dal suo modo di vedere, posto tutto quello che ho detto sin qui.

L’Autore assume il dato della democrazia liberale e dell’esigenza di preservala. Il tema ricorre in più passaggi e disegna questo appunto, l’orizzonte della democrazia liberale, come il confine di cultura politica entro cui si tratta necessariamente di muoversi. Se ho inteso bene. Su questo io ho più di un dubbio. Nel senso che a mio modo di vedere, la democrazia liberale è finita con fascismo e nazismo esplosi nel cuore dell’Europa dopo il primo conflitto mondiale. Quella democrazia liberale fu travolta in quel passaggio. Quel che è nato invece dalla sconfitta del nazismo e del fascismo non era , almeno in Europa e di sicuro in Italia, un semplice ritorno alla situazione quo ante, non è che chiusa la ‘parentesi’ – per dirla con Croce – del nazismo, siamo tornati alla situazione precedente. No. Le costituzioni dei paesi europei, e quella italiana massimamente, hanno recato dentro di se il segno di una progressività, a volerla dire con Togliatti, entro cui il segno di quel movimento operaio e del mondo del lavoro, delle sue lotte e delle sue idee ha avuto un ruolo non secondario. Il carattere di quelle democrazie è così mutato nel profondo e definirle come ‘liberali’ toglie ad esse qualcosa di profondo per capirle.

Gianni Cuperlo a Napoli

Bene. E’ contro questo qualcosa di profondo che la rivoluzione neoliberista ha mosso il suo attacco, svuotando prima e colpendo poi, tanto più poi di fronte allo scaricarsi su una democrazia sempre più esangue delle contraddizioni di questo capitalismo reale sotto forma di tensioni derivanti dalle crerscenti ingiustizie sociali, di migrazioni, di cambiamenti climatici, di rigurgiti nazionalistici. Così come dopo la rottura di nazismo, fascismo e secondo conflitto mondiale non si è usciti con una mera restaurazione del precedente, così dalla attuale crisi della democrazia non si potrà uscire con una restaurazione della democrazia ‘progressiva’. No. Quello spazio è consumato. E allora, alla crisi democratica, la risposta sarà o quella di una miscela a-democratica di plebiscitarismo digitale con forme più o meno esplicite di autoritarismo, e di nuovo la guerra, perfino quella nucleare in questo tempo torna come reale e possibile risposta ordinatrice, o invece quella derivante da una inedita capacità di progettazione ideale, culturale, politica che sorregga un conflitto capace di mettere in discussione cardini centrali della attuale formazione economico-sociale, per dirla un po’ all’antica.

Quel che voglio dire è che non te la cavi con una aspirazione a quello che Cuperlo definisce capitalismo sociale : il necessario slancio utopico a cui pure Cuperlo si appella se non è disegno di una società retta da altri valori e obiettivi, fuori o oltre la logica capitalistica, a cosa si riduce se no? Qual’è la radicalità che si muove a quel livello? E’ qui che io vedo invece lo spazio, il bisogno – se necessario troviamo anche nuove parole – ma che si può ben definire come di un nuovo socialismo, nutrito di tutte quelle consapevolezze che pure sottolinea Cuperlo .

Qualcosa che sia di più e vada oltre la stessa pur giusta rivendicazione redistributiva della ricchezza e che investa invece il suo stesso formarsi in una dimensione di superamento delle condizioni di sfruttamento, che perdurano, di parti grandi di umanità e di natura.

Di sicuro l’orizzonte democratico da solo non è sufficiente a nutrire questa aspirazione. Il PD di cui Cuperlo è dirigente credo faccia fatica a stare anche solo molto al di qua della domanda di politica che con forza lui pone. E quindi , serve altro. Serve quello che nel suo In viaggio di quattro anni fa lo stesso Cuperlo definiva come un altro progetto, appunto. In capo a chi, come? Con quale strumentazione organizzativa e di capacità di mobilitazione sociale? Quando?

Gianfranco Nappi

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