di Antonio Avilio
Carissima compagna Norma,
ho seguito con molto interesse il dibattito aperto con il tuo editoriale sulla sinistra ” dei 4 amici al
bar”. Quella che tradizionalmente viene identificata come “radicale” e che nelle ultime elezioni ha
palesato la sua inconsistenza in termini di consenso reale effettivo; la necessità di una stretta
alleanza con il campo largo del centro-sinistra e di tutto il mondo progressista. Stimolanti, inoltre,
sono stati gli interventi di risposta al tuo editoriale, da quello del compagno Granato ad Acerbo.
Se mi consenti, vorrei provare a dare un contributo partendo da un’esperienza personale.
Sono un giovane consigliere comunale, 24 anni, di Pomigliano D’Arco, eletto con una lista
civica( Rinascita) nata circa un anno prima della scadenza elettorale, che raccoglie vari pezzi sparsi
della sinistra territoriale: al suo interno trovano spazio ex segretari del PD, di Rifondazione
Comunista, uomini e donne che hanno vissuto e creduto nell’esperienza di Sel, movimentisti ( ex
coordinatori del sindacato studentesco UdS), e chi vive la sinistra quotidianamente senza tessere,
magari con forte indecisione nella cabina elettorale, e che si trova “senza tetto”, in cerca di una casa.
Abbiamo deciso di presentarci alle elezioni in un’alleanza con il PD e con il M5S, attraverso una
lunga riflessione e sofferenza. Abbiamo vinto, ma alla prova del governo abbiamo riscontrato gravi
lacune politiche che ci hanno portato, in meno di un anno, a collocarci all’opposizione della
maggioranza che anche noi abbiamo contribuito a formare. Dico questo perché ritengo riduttivo
strutturare un ragionamento su uno schema manicheo stretto tra un “sì pd/centro-sinistra” ed un “no
pd/centro-sinistra”. La nostra scelta partiva dalla volontà di superare l’autoreferenzialità. Tuttavia
non siamo riusciti nell’intento di incidere concretamente nelle scelte del governo locale. Siamo nati
per offrire una visione dell’esistente e dare risposte ad esso (a tal proposito abbiamo avviato una
nostra fase costituente che ci porterà a diventare un partito).
E’ da qui che dobbiamo partire. Che cosa vogliamo rappresentare? Che cosa vogliamo dire in un
mondo cambiato che ha spazzato via la sinistra tradizionale, non solo con la caduta del muro, ma
anche attraverso una trasformazione tecnologica che ha modificato i rapporti di classe, rafforzato il
capitalismo, destrutturato il lavoro e proletariezzato sempre nuovi ceti e nuove classi? Dopo la
sbornia neoliberista che anche il campo delle forze di sinistra ha avuto, dagli anni 90 fino a poco
tempo fa, riusciamo a porre in essere una riflessione che si faccia carico di analizzare e di
rispondere ad una società i cui cambiamenti e urgenze rischiano di travolgere tutto il nostro
bagaglio di valori? Penso all’enorme necessità della transizione ecologica, inevitabile, ma che non
può non accompagnarsi ad un’idea alternativa dell’attuale sistema economico e che avrà dei costi
sociali. Come porsi dinnanzi ad un “immateriale”, per citare Gorz, che oramai governa i rapporti
economici ed il mondo del lavoro? L’enorme questione sociale che la pandemia ha aperto,
squarciando il velo della fraudolenta fiducia nel mercato sempre e comunque, richiede studio e
radicalità nelle risposte: si riscopre la forza del pubblico e dello Stato, la fiaccola mai spenta
dell’uguaglianza, dei diritti, della solidarietà e della responsabilità collettiva dell’uno verso l’altro.
L’arretramento della democrazia che da Capitol Hill ha raggiunto Istanbul, Budapest, Varsavia, ha
assalito con forza Roma sabato 9 Ottobre, le sue promesse non mantenute (come diceva Bobbio),
deve essere pungolo per la sinistra che o è popolare o non è, o è di massa o non è. Questa crisi
democratica ha forti radici nel “bisogni primari” di una comunità sofferente e che non vede alcuna
prospettiva. Esiste e va affrontato il tema del sostegno al reddito (penso al reddito di cittadinanza),
dell’unione delle lotte dei nuovi sfruttati (riders, laureati sottopagati, partite Iva) con il mondo
operaio che c’è ma non ha più la centralità di un tempo, per far sviluppare una nuova coscienza di
classe e uno strumento di riscatto.
Per me è questo il nodo gordiano da sciogliere, seppure le forze in campo non bastano.
L’illusione del partito liquido, o del “non partito” ha battuto la testa contro il muro della complessità
che non vive solo di spontaneismo, ma che, per essere governata, ha bisogno di organizzazione, di
strutture e di mediazioni.
Gli attrezzi in campo non sono sufficienti. Tutti i partiti si sono dimostrati incapaci di vivere
adeguatamente in questo tempo, ma la loro funzione è irriducibile. Occorre una larga, partecipata
discussione, nella consapevolezza della sua complessità, sugli ingranaggi del presente, e sui mattoni
del futuro. Ogni partitobdovrebbe avvertire il senso di responsabilità per un disegno più ampio
mettendo in discussione principalmente se stesso. Fatto questo, tutte le questioni sulle alleanze
diventano accidentali, più o meno utili al fine. Invece, senza un’idea vera e all’altezza dell’obiettivo
rischiamo solo di barcamenarci tra l’autoreferenzialità infantile (una monade), ed una radicalità
proclamata ma non radicata nel mondo.
Molto interessante questa riflessione, di un giovane, che è un valore aggiunto