Chiudevamo la riflessione pubblicata il 5 ottobre sul voto napoletano ( https://www.infinitimondi.eu/2021/10/05/a-margine-del-voto-superare-la-vera-e-nuova-anomalia-italiana-da-gianfranco-nappi/ ) con questa affermazione: C’è da assumere veramente il nuovo panorama sociale che si è determinato sotto l’urto di cambiamenti giganteschi e muoversi con il coraggio dell’innovazione e della critica. Ed è da qui che riparte oggi il seguito del ragionamento.
II Per una sperimentazione da Napoli
E questo discorso viene anche a chi si è ritrovato con Bassolino e allo stesso Bassolino.
Tanti del collettivo della Rivista, senza esprimere posizioni ‘ufficiali’ e nella sempre ampia libertà di ricerca e di posizione per tutti, si sono sentiti vicini a questa battaglia, alcuni vi hanno preso parte, altri si sono perfino candidati come nel caso di Massimo Anselmo.
Una lezione viene anche per noi dunque, anche noi abbiamo avuto un difetto di percezione, e su di esso occorre riflettere.
Il senso di questo discorso che segue serve a provare a delineare una griglia di temi e questioni per capire se, e come, e con quale contributo nostro eventualmente, l’emersione di questa nuova realtà napoletana dal voto amministrativo possa non diventare una parentesi rapidamente riassorbita, al di là della stessa volontà dei suoi protagonisti; possa darsi un tempo, una fisionomia, un progetto politico che agisca positivamente nella società napoletana; concorra ad una prospettiva di una riorganizzazione della sinistra; induca una nuova civiltà del confronto nel centrosinistra. Quel che segue dunque è un contributo per un confronto che si misuri positivamente con questi interrogativi.
5 direttrici possibili di lavoro
La prima è che non basta una personalità, per quanto autorevole possa essere. Ora, sia chiaro, e così sgombriamo il campo anche da delusioni che corrono il rischio di essere superficiali oggi quanto lo erano gli entusiasmi ieri: quello compiuto con generosità da Bassolino a mio modo di vedere è stato un miracolo politico. In pochi mesi, senza alcuna rete organizzativa alle spalle, solo lui con il suo zainetto e con un pugno di donne e uomini, a mani nude, ha raggiunto in una grande città quasi l’8 per cento. Con un po’ di tempo, di organizzazione e di articolazione tematica in più non ci avrebbe messo molto a raggiungere il PD…Mentre già così, raccoglie due, tre, quattro volte i consensi della sinistra cosiddetta critica. Del resto a vedere bene lo stesso risultato di Calenda a Roma si lega lì ad una incidenza maggiore del voto d’opinione che qui a Napoli per mille ragioni è risultato essere molto più ristretto.
E però è evidente che non c’è il leader che tutto cambia, decide, determina. Senza, nulla si costruisce. E qui c’è. Ma da solo non basta. Non ce la fai. Anzi, veniamo da decenni di orgia di personalizzazione e di leaderismo in politica, di presidenzialismo senza Presidenzialismo, di smantellamento di ogni dimensione collettiva e comunitaria della soggettività politica che lasciano un campo dominato dal non voto, dalla passivizzazione e da una attivazione della società, perché pure c’è e in alcun casi perfino significativa, senza interlocuzione politica.
Se non si vuole disperdere quindi quel che si è messo insieme – almeno la maggior parte anche in considerazione che la prova elettorale è avvenuta su un terreno, quello amministrativo, che per sua natura tende a raccogliere orientamenti anche diversi e non sempre disposti a impegni più ‘politici’ – serve immaginare una esperienza che si muova intenzionalmente nella direzione della costruzione di una dimensione collettiva e capace di poggiare sul contributo di diverse generazioni ma in primo luogo sul protagonismo di quelle più giovani. Una politica che torna ad essere comunità è una scelta radicale.
La seconda è che a sua volta questo principio aggregativo deve poggiarsi sulla costruzione-crescita di una progettualità politica che si misuri con i nodi fondamentali del nostro tempo per come sono filtrati e vissuti nella dimensione metropolitana napoletana. Cambiamenti climatici; lavoro e lavori con tutte le nuove soggettività emerse nell’economia del sapere; città inclusiva ,delle persone – e dei loro beni comuni in primo luogo – nella loro dimensione di qualità della vita e di servizi a disposizione, sottratta alla tradizionale rendita fondiaria come alle nuove rendite degli operatori globali della comunicazione e degli investimenti ; città del tempo pieno a scuola e della cultura. Su questo, il cantiere avviato con il voto non solo deve rimanere aperto, ma deve strutturarsi con l’apporto di un’area grande di competenze, di esperienze associative e territoriali, darsi forme stabili, trasparenti e partecipate di elaborazione, integrando la relazione diretta, personale del riunirsi, che è un piacere fare di nuovo, all’utilizzo di tutti i canali digitali per l’accesso a tutti i giacimenti di informazioni e di elaborazioni; per costruirne uno nuovo in modo collettivo; per realizzare percorsi di formazione sulle grandi questioni progettuali su cui si gioca la sua identità. E in questo, anche formazione sulla cultura politica, sui percorsi che nel tempo sono stati segnati dal pensiero critico nei confronti del capitalismo, anche per riattivare un flusso esperenziale tra generazioni. Tutte le generazioni, est modus in rebus, hanno il diritto-dovere di essere utili, di non tirarsi indietro, di dare una mano. Vale nella vita e nella società. Vale nella politica. Una politica che torna a nutrirsi di idee è una scelta radicale.
La terza è che questo dire deve accompagnarsi a un fare. E, di più, va costruita nei territori, progressivamente, una inedita capacità vertenziale. Tutti i temi oggetto della costruzione del progetto politico, i suoi contenuti, progressivamente devono diventare esperienze concrete di iniziativa, di lotta, di vertenza territoriale, di raccordo e collegamento tra diverse realtà associative. Ma forse si può fare anche di più: dare una sede fisica di riferimento a tutto questo. Una nuova Casa del Popolo che sia spazio di incontro, di elaborazione, di discussione e dibattito, di produzione e diffusione di informazioni e conoscenze, ma anche di utilità sociale con una moderna attività di segretariato sociale. Una Casa del Popolo e insieme una Casa della Cultura e della Sinistra. Aperta. Una politica che torna a farsi società è una idea radicale.
La quarta è che, costitutivamente, viva già se’ stessa con la coscienza di essere esperienza parte e non tutto. Costitutivamente donna e uomo. Non un universo finito e chiuso ma uno snodo per una rete da attivare già nella dimensione napoletana e campana : circoli, club, associazioni, esperienze e spezzoni di movimento, le realtà del lavoro, del movimento sindacale, riviste e circoli culturali, esperienze di consumo critico e di autoorganizzazione della produzione…con cui provare progressivamente a costruire relazione, a partire da singole questioni o singole battaglie. Una predisposizione genetica all’incontro. E magari alla costruzione di una relazione sempre più forte che apra il Laboratorio di elaborazione di una comune Carta delle idealità comuni, a partire dai due cardini della giustizia ambientale e della giustizia sociale. Una politica che si concepisca come sintesi di diversità è una idea radicale.
La quinta è che si connoti come una realtà strutturalmente democratica, nella sua vita, nella sua organizzazione, nel modo in cui al suo interno si decide. Non era sbagliata dei 5S l’idea propagandata di un movimento nel quale per tutti è aperta la possibilità di essere ascoltati, di incidere e di decidere. Ne è risultata falsata e agli antipodi la pratica delle piattaforme digitali chiuse ed eterodirette. Ma quell’esigenza era attualissima di fronte alla chiusura della politica prevalente in una dimensione di potere escludente. E se ci si consente, si parva licet, è tutta dentro la cultura politica che ha segnato in modo positivo il novecento italiano ( ed ancora una volta si può guardare a Gramsci e alla sua idea di riduzione progressiva della distanza tra governanti e governati ): non in alternativa alla democrazia della rappresentanza ma come via per allargarne quantitativamente e qualitativamente le basi sociali. E allora di sicuro l’uso della rete, purchè non ridotto a deriva referendaria, a continua richiesta di esprimere si e no, è decisivo. E allora andranno stabiliti percorsi formalizzati di discussione partecipata per giungere a una decisione altrettanto consapevole e partecipata. La decisione assunta in modo consapevole e partecipato è una decisione radicale.
III Un Solo a Napoli o un Da Napoli per cominciare?
E questo è l’interrogativo che rimane aperto: oltre competenze e forza dello scrivente. E però quante sono le realtà che nel Mezzogiorno si possono riconoscere in percorsi del genere? E quante in Italia? E non c’è proprio alcun modo per aprire un confronto che le veda protagoniste per provare a ragionare su come superare diaspore e incomunicabilità?
Gianfranco Nappi
Scrivo sempre a margine. Appena ho un po’ di tempo cerco di elaborare meglio. Su quello che tu scrivi, un’osservazione: Manfredi??? è il nuovo Sindaco, eletto con una percentuale alta di voti. Perché è avvenuto? Ed ora? Credo sia necessario confrontarsi con lui, che da Ministro è stato efficace. Mi spingo a dire convintamente che va appoggiato.
La riflessione di Gianfranco è utile a non far rimanere sterile il coraggio e la decisione di partecipare alla competizione elettorale di quanti hanno sostenuto Antonio Bassolino.Ora serve confronto e apertura affinché il lusinghiero risultato elettorale sia utile alla intera sinistra e alla Città di Napoli.
Leggo ora….dopo due giorni dall’invasione fascista alla sede della GCIL …..e qui mi sento di esprimermi come attenta cittadina che, giorno per giorno, sperimenta sempre più difficoltà e sente venir meno la voglia di riflettere. Il presenta è diventato sempre più complesso e lasciatemi scrivere banalmente “tutti i nodi vengono al pettine” … La situazione napoletana? La città è totalmente in decadenza e risultati elettorali ci dimostrano che la maggior parte dei napoletani non rappresentata appartiene alle fasce più deboli (anche culturalmente ed eticamente, quindi facilmente preda di forze eversive, e non solo ) concentrata nei quartieri/periferie più abbandonati … C’è molto da decifrare per poi capire… credo che si pagano soprattutto le conseguenze della politica del consenso che ha messo radici da tempo degenerando e rafforzando guasti, oggi è aumentata e segna già evidenti e multiple conseguenze . Certamente andremo incontro a problematici cambiamenti con l’accentuarsi di conflitti sociali e malcelati “giochi di potere”- non solo qui – con il dibattito sulla “Sinistra “sempre percepito confuso. Io auspico che il Sindaco Manfredi sappia reggere il timone: può farlo solo se sarà costruttivamente “appoggiato” (ripeto l’espressione di Roberta) al di là della friabile forza del consenso.