Nel Luglio del 1989 Achille Occhetto, allora Segretario del PCI, chiamò l’ architetto e urbanista Campos Venuti per chiedergli se avrebbe firmato la “ Variante Fiat Fondiaria “ a Firenze. La variante individuava una nuova direttrice di “ sviluppo “ nell’ area a Nord Ovest della Città ed a provocare la reazione di molti non fu tanto l’ individuazione dell’ area quanto la dimensione degli interessi privati che ne sarebbero stati soddisfatti, nella totale dimenticanza di quelli pubblici. Campos Venuti chiarì che non avrebbe mai messo la sua firma su quel progetto e Occhetto, il giorno successivo, pose pubblicamente il tema alla Città di Firenze ed al suo stesso partito fiorentino. La vicenda ebbe, poi, una sua evoluzione. Ma quello che interessa qui sottolineare è come Occhetto scelse una questione specifica relativa ad una grande e importante città per dare rilievo alla centralità – per la sinistra e per la società italiana – della questione urbana, del modello di sviluppo, della coerenza tra scelte politiche, interessi rappresentati e valori di riferimento.
Oggi – di fronte al continuo e reiterato utilizzo di termini come “Green New Deal” e “Transizione ecologica” ed alle aspettative ( anche per questo ) collegate all’ utilizzo dei 200 miliardi del Recovery Fund – si avverte la necessità “esistenziale”, soprattutto per quel che riguarda il PD e la sinistra nel suo complesso, di tornare a dare certezza alle parole e contenuto alle formule utilizzate uscendo da una condizione di confusione e approssimazione che rischia di rendere del tutto evanescente e, perfino, controproducente il richiamo a parole d’ ordine suggestive e astrattamente condivisibili – come, per esempio, la lotta per un Nuovo Modello di Sviluppo – ma incapaci di incidere nella realtà politica e sociale senza un corredo di valutazioni precise circa gli interessi che esse evocano, le scelte di campo da realizzare, i conflitti da provocare e/o gestire, gli obiettivi tattici e strategici da perseguire.
Nel Settembre del 2019 il PD presentò, con una certa enfasi, una propria proposta tesa a contrastare il consumo di suolo e ad incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente indicando l’obiettivo di riuscire ad ottenere una Legge Nazionale sulla complessa materia entro la prima metà del 2020 e di far diventare il tema una delle priorità dell’ azione di governo. Sappiamo tutti che di lì a qualche mese venne dichiarato lo Stato di Emergenza nazionale per Pandemia e che, necessariamente e giustamente, altre divennero le priorità. Ma quante volte si è dovuto constatare, su questi temi in particolare, una distanza tra obiettivi proclamati e comportamenti concreti, tra indicazioni politiche e scelte concrete, tra scadenze proposte ed evanescenza delle azioni messe in campo per sostenerle, tra enfasi delle Parole d’ Ordine e contraddizioni evidenti nella valutazione e gestione dei problemi ?
E’ il caso, dunque, di ripartire con la riflessione da qui.
Le questioni ambientali rivestono un alto grado di complessità; investono aspetti molteplici della vita economica, sociale e amministrativa spesso in conflitto tra loro; richiamano responsabilità individuali e collettive che vanno dai quotidiani comportamenti di persone, famiglie e imprese a valutazioni che impattano con la sostanza e la forma di ordinamenti giuridico/costituzionali nazionali e sovranazionali. La loro incidenza sul vissuto quotidiano di città e territori è ormai innegabile. Basti pensare che nel solo 2019 e solo nel nostro Paese e solo per fare riferimento agli effetti dei cosiddetti cambiamenti climatici, sono stati registrati 1543 eventi climatici estremi con il loro portato gravoso di conseguenze sulla vita privata e pubblica. E non sarà un caso se le stesse principali Agenzie Finanziarie, su scala planetaria, abbiano iniziato a “ riconvertire portafogli “ e linee di intervento dando rapidamente un peso notevole a tutto quanto si muove in questo settore. D’ altro canto non è difficile comprendere che il “Green New Deal” non può essere ridotto ad un vuoto slogan e che qualunque scelta dovesse essere assunta per la sua concreta implementazione, essa non sarà neutrale e senza conseguenze nella vita di popoli, classi sociali, ceti economici e produttivi, città e territori.
Qual’ è il rapporto tra Questione Ambientale e Questione Sociale, chi e come dovrà sopportare i costi di una complicata riconversione di pezzi fondamentali di apparato produttivo, di ordinamenti e procedure di apparati pubblici, di comportamenti ed abitudini quotidiane delle persone e delle comunità ?
Come si definisce il rapporto, dentro questo tema, tra innovazione tecnologica necessaria e sostenibilità sociale; tra “ algoritmi “ e fondamentali principi di dignità, uguaglianza e libertà; tra lotta alle “ precarietà “ e sostenibilità dello sviluppo e della crescita; tra sfruttamento delle risorse, rapporto tra Paesi ricchi e Paesi poveri e fenomeni migratori ?
E quale rapporto bisogna costruire tra Politiche sull’ Energia, la riorganizzazione del Trasporto pubblico e privato, il ruolo e la funzione di Metropoli e Città ed essenziali attività produttive legate, per esempio, all’ Alimentazione ed all’ Agricoltura ?
E come dovrà cambiare il rapporto tra Stato Centrale, Regioni ed altri Enti Locali, tra regole necessarie e tempistiche accettabili ed “ europee “, tra qualità degli apparati e qualità degli interventi ? E come tutto questo impatta su una ridefinizione dei sistemi fiscali locali e nazionali o su un rapporto ancora non scritto tra fiscalità sovranazionali e soggetti economici e finanziari multinazionali ?
Risulta, dunque, chiaro che non è assolutamente sufficiente pronunciare le parole magiche dell’ ambientalismo perché siano chiari la direzione di marcia, gli interessi che si vogliono rappresentare, la visione di Mondo che si vuole proporre.
Il Pd e la sinistra europea non possono e non potranno sfuggire a queste domande né potranno procedere a tentoni e senza fare i conti tempestivamente con i nodi strategici, sovranazionali, di scelte di campo su valori ed interessi, come la profondità e la durezza del tema suggeriscono e richiedono.
A meno che non si pensi che il tema sia declinabile semplicemente in termini di un processo di “efficientamento” dell’ attuale modo di produrre e di consumare e di “mitigazione “ dei rischi derivanti da eccessive disuguaglianze, disequilibri territoriali permanenti, sfruttamento dissennato e diseguale delle risorse naturali, flussi migratori inarrestabili. Scelta legittima, per carità, ma da dichiarare per evitare equivoci e confusioni perniciose e deleterie.
Bisogna, infatti, che i decisori pubblici, ad ogni livello istituzionale, siano ben consapevoli che la transizione ecologica, tassativamente richiesta dall’applicazione del programma Next Generation Eu, non consente accorgimenti lessicali o giochetti terminologici. Che ogni programma o progetto finanziato con le risorse europee deve concorrere alla riduzione delle emissioni clima alteranti, e impone pertanto di chiudere con l’utilizzazione di qualunque energia di tipo fossile a vantaggio di risorse energetiche veramente rinnovabili (solari, eoliche, da maree o moto ondoso, idrauliche), per di più utilizzate secondo tecnologie e modalità rispettose dell’integrità ecologica . ( 1 ) Che si debbono considerare non più prorogabili programmi di ricerca o di estrazione di carburanti fossili, in terraferma come in mare, siano essi liquidi o gassosi o, peggio, dispersi in rocce sedimentarie. Che si deve contrastare e progressivamente annullare il consumo di suolo in assetto naturale o agrario, vietando ulteriori artificializzazioni di qualsiasi genere al di fuori di certificati perimetri urbani.
Ma v’è di più. È necessario che i decisori pubblici, ad ogni livello istituzionale, comprendano anche che la sostenibilità ecologica non può essere perseguita a scapito dell’equità sociale. Questo principio risulta più vistoso, è agevole scorgerlo, nei processi specifici di riassetto urbanistico-territoriale, ma viene coinvolto, a ben vedere, in ogni scelta programmatica. È infatti inevitabile che ogni decisione, sia essa di realizzazione di un progetto o di modificazione di una modalità gestionale, produca un ventaglio differenziato di vantaggi o di oneri. E la storia recente ha largamente dimostrato che il modello dominante di relazioni politico-sociali, ancor più in tempi di crisi finanziaria e/o di pandemia, ha concentrato i vantaggi a beneficio dei gruppi/ceti già privilegiati mentre gli oneri hanno cumulativamente aggravato le condizioni dei soggetti più deboli ed esposti.
Bisogna, allora, uscire dal possibile equivoco già incombente e bisogna farlo, da subito, partendo da una premessa di metodo e da alcuni esempi tra le tante questioni già aperte.
Come procedere per modificare il modello di sviluppo ?
La tentazione che coinvolge gran parte degli amministratori pubblici di ogni rango è legata tuttora alla consueta scorciatoia della formulazione di Progetti specifici. Di contenuto circoscritto, approvabili secondo procedure relativamente semplici, ai Progetti risulta facile anche conferire un’immagine accattivante, redditizia a fini propagandistici, specie se occorra dimostrare novità di impostazioni. Ma l’estensione e la radicalità del cambiamento oggi necessario assai difficilmente può attingersi con una serie, anche numerosa, di opere singole.
Sia chiaro: di progetti specifici si avrà in ogni caso bisogno. Impostare però la transizione da un modello rapinoso di crescita economica quantitativa ad un modello sostenibile di sviluppo parsimonioso attraverso la produzione immediata di progetti specifici è evidentemente del tutto inadeguato, dal momento che essi sarebbero inevitabilmente affetti da un livello significativo di estemporaneità.
La strada maestra è quella della pianificazione integrata. Ossia di un’attività complessa di analisi, valutazione e progettazione, sostenuta da competenze differenziate educate alla collaborazione interdisciplinare, che studi la realtà da modificare, ne esamini valenze e interazioni di contesto, per proporre strategie articolate di intervento, di ciascuna esponendo punti di forza e di debolezza, nonché effetti ipotizzabili sulle relazioni sociali. In modo che gli organismi elettivi di governo, coadiuvati da effettivi processi di partecipazione democratica di base, possano scegliere a ragion veduta una precisa linea strategica da tradurre in progetti secondo opportuni criteri di priorità ed un quadro chiaro e completo delle tutele necessarie, per garantire la sicurezza degli abitanti rispetto ai più gravi rischi naturali e/o antropici, per salvaguardare il patrimonio naturale, paesaggistico e storico-culturale, per conservare le risorse agrario-forestali. La soluzione ideale si conseguirebbe se tale quadro strutturale di tutele e salvaguardie venisse concretamente prodotto attraverso procedure di copianificazione diretta da parte degli enti locali (regioni, province o comuni) e delle amministrazioni specialistiche competenti. Il primo esito di tale attività dovrebbe tradursi nella individuazione del perimetro delle aree, anche parzialmente, urbanizzate, al di fuori del quale ogni consumo di suolo deve considerarsi vietato, salvo eccezioni straordinarie di necessità compiutamente documentate.
In coerenza e nel rispetto delle regole strutturali, gli enti locali potrebbero, così, definire i propri piani operativi di intervento come “piani strategici” con il concorso dei soggetti sociali interessati (garantendo adeguata attenzione agli interessi deboli e diffusi). Inquadrati nei piani operativi, i progetti specifici e/o gli stessi programmi di rigenerazione urbana risulterebbero meglio rispondenti a motivati criteri di necessità, compatibilità e convenienza e dovrebbero comunque coinvolgere anche il miglioramento delle relazioni e delle opportunità socio-culturali degli abitanti accanto alle prestazioni statiche, funzionali ed energetiche del patrimonio edilizio e delle reti infrastrutturali, risultando così calibrati in base a criteri meno parziali di quelli esprimibili dalla sola proprietà immobiliare.
Esemplificazioni critiche
C’è da superare solo l’imbarazzo della scelta per individuare, nel coacervo di norme, progetti e proposte lanciate a vari livelli in Italia nel corso degli ultimi mesi, gli esempi utili a dimostrare l’estensione e la radicalità del cambiamento necessario per dar davvero vita al Green New Deal auspicato dall’Europa.
Le trivellazioni marine per la “prospezione” di giacimenti petroliferi. Nell’Adriatico lo Stato italiano ha autorizzato l’inglese Spectrum Geo Ltd. a compiere trivellazioni su due aree immense: una che va da Rimini a Termoli (13.700 kmq) e un’altra da Rodi Garganico a Santa Cesarea Terme (16.210 kmq). La “prospezione” risultava in passato meno invasiva della “ricerca”, per la quale la legge italiana impone all’ambito concesso il limite di 750 kmq. Ma ora le nuove tecnologie, non considerate dai vecchi testi legislativi, consentono prospezioni perfino più impattanti delle ricerche. È urgente intervenire, ma il ministro per la transizione ecologica del nuovo governo presieduto da Draghi, rende noto che, solo a settembre prossimo, affronterà la questione. Revocherà le autorizzazioni alle trivellazioni in mare? Non è affatto detto, perché a settembre varerà il “Piano per le aree idonee alla ricerca ed estrazione di idrocarburi”! Con buona pace della transizione ecologica?
La riconversione di centrali ENEL, Edison e altri che producono elettricità bruciando carbone. Si tratta di diversi impianti che ancora utilizzano il combustile peggiore ai fini dell’alterazione climatica e dell’inquinamento atmosferico. Per essi le aziende proprietarie propongono la sostituzione del carbone con il metano – temporanea, affermano – per allinearsi all’obiettivo comunitario dell’annullamento delle emissioni di CO2 al 2050. L’esperienza induce a prestare ben poca fede a tale affermazione e a chiedersi, invece, se la radicalità degli obiettivi dichiarati, innanzitutto dall’Europa, non dovrebbe obbligare a comportamenti finalmente altrettanto radicali.
Disegno di legge urbanistica della Regione Campania e relativo Regolamento attuativo. Nel precedente mandato, il Consiglio regionale non ha fatto in tempo a concludere l’esame del ddl della Giunta per una nuova Legge Urbanistica. Il testo iniziale suscitò grandi polemiche, che indussero la Giunta ad una cospicua revisione, dalla quale tuttavia non sono stati eliminati i fondamentali punti di dissenso individuati da parte di esperti ed associazioni culturali ed ambientaliste. La bozza di testo del relativo Regolamento aggravava le preoccupazioni.
E’ possibile che la proposta torni in campo. Gli straordinari mutamenti di contesto connessi con la pandemia e i nuovi orientamenti europei e nazionali imporrebbero un esame scrupoloso del suo necessario raccordo con il Green New Deal e il Next Generation Eu.
La complessiva impostazione del Ddl porterebbe infatti ad un indebolimento sostanziale della pianificazione urbanistica, per l’abbandono del modello di piano articolato in componente strutturale e componente operativa a favore di una riedizione del vecchio Prg e, ancor più, per gli innumerevoli sostegni ai meccanismi speculativi e di rendita.
Il Ddl dichiara di voler contrastare il consumo di suolo, ma basterebbe che un Comune dichiari l’impossibilità della riorganizzazione degli insediamenti esistenti per poter costruire espansioni in zona agricola mediante un apposito “piano operativo” (in altri termini, si ricorrerebbe ad un piano operativo solo per poter realizzare nuovi insediamenti in territorio agricolo e il piano operativo avrebbe la sola funzione di giustificare l’incremento di consumo di suolo). Se si considera che la bozza di Regolamento precisa poi che tanto il “piano operativo” quanto il Regolamento Urbanistico Edilizio comunale (2) potrebbero legittimamente determinare variazioni del piano strutturale, si ha la misura di quanto sia a rischio l’impegno per bloccare il consumo di suolo.
Nei nuovi piani, la perequazione urbanistica da applicare nei comparti oggetto di piani attuativi si tradurrebbe per i singoli proprietari in crediti edificatori la cui entità verrebbe determinata attraverso la libera contrattazione (!) fra essi ed il Comune. I proprietari di suoli che il piano abbia destinato a usi pubblici potrebbero, in caso di decadenza del vincolo, realizzarvi opere “di interesse pubblico” (quali alberghi, opifici e similari) anche non consentiti dal piano.
Il Ddl, inoltre, renderebbe dovunque – si badi bene: anche in deroga rispetto alle norme vigenti – immediatamente possibili ampliamenti o sostituzioni con ampliamenti degli edifici esistenti, singoli o per comparti. Ed il Regolamento prevede che la riconversione di strutture alberghiere in condomini residenziali si avvarrebbe di piani attuativi con procedure semplificate e dichiara legittima, per gli appartamenti risultanti, una dimensione minima di appena 18 mq, in contrasto con tutte le disposizioni ordinarie di igiene urbana.
Si potrebbe continuare, ma sono già sufficienti gli aspetti richiamati per comprendere quanto possano confliggere con Green New Deal e Next Generation Eu i testi in discussione nella Regione Campania ove non accortamente modificati, anche in coerenza con i principi che lo stesso Ddl dichiara.
Decreto semplificazioni. Si tratta di una sola Regione, si potrebbe obiettare. Ma occorre invece ricordare che una parte delle suddette proposte sono state già introdotte nel Testo Unico dell’Edilizia con un decreto del precedente governo Conte due. Si tratta in particolare della possibilità di includere nell’intervento di ristrutturazione edilizia anche quelli comportanti ampliamenti volumetrici se “espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali (…) anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”. Questa formulazione, che si presta a più di una interpretazione, conferisce comunque legittimità all’idea – distorta – che la ristrutturazione (o anche la sostituzione) di un singolo fabbricato possa essere inteso come promozione di una “rigenerazione urbana” e in tal senso ne possa essere previsto, nel piano urbanistico (o in una legge regionale del tipo proposto in Campania), l’incremento volumetrico.
Se ha un senso quanto qui sosteniamo, la rigenerazione urbana è una strategia necessaria in ambiti urbani incompleti e/o degradati, privi di adeguate attrezzature collettive, nei quali si siano magari verificate vicende di abbandoni o dismissioni, che in ogni caso registrino anche forme significative di disagio sociale. In condizioni di questo genere, l’adeguamento prestazionale di un solo fabbricato, specie se accompagnato anche da un incremento volumetrico che ne aumenta la capacità di rendita, non potrebbe che costituire un elemento di maggiore rigidità rispetto ad ogni ipotesi di più vaste riqualificazioni organizzative, funzionali e sociali. Potrebbe, certo, rappresentare uno stimolo ad analoghe operazioni di rinnovo edilizio con incrementi di volume edificio per edificio, che però comporrebbero l’esatto opposto di un programma di rigenerazione: nessun aumento di spazi comuni, un accrescimento delle rendite immobiliari e, quindi, dei costi insediativi e, assai probabilmente, un impulso all’espulsione dei ceti sociali deprivati.
Sono anche distorsioni classiste come questa (o quella prodotta dal governo Renzi che volle includere negli interventi di manutenzione straordinaria il frazionamento delle unità immobiliari senza curarsi del conseguente incremento dei carichi urbanistici) che ora sarebbe urgente correggere per aderire davvero a riconversioni sostenibili del modello di sviluppo.
Progetti > piani. Si vanno moltiplicando, al livello nazionale prima ancora che al livello locale, i programmi di finanziamento pubblico di interventi, anche cospicui ed estesi, in ambiti urbani la cui progettazione ed esecuzione è totalmente svincolata da criteri di coerenza con la strumentazione urbanistica vigente né di questa comporta il preventivo aggiornamento ordinario.
Registriamo così il proliferare di modificazioni significative degli assetti territoriali sulla cui compatibilità con i valori ecologici e paesaggistici, congruenza con le scelte strategiche strutturali ed equità sotto il profilo degli esiti sociali è legittimo esprimere le più ampie riserve, atteso anche che spesso non sono richiesti neppure contestuali processi di valutazione ambientale né sono garantiti meccanismi di consultazione della cittadinanza. La consapevolezza degli intrecci multipli fra interessi economici organizzati e procedimenti decisionali politici aiuta a capire la gran parte degli accadimenti, che con ogni certezza ci allontanano radicalmente dagli obiettivi declamati di sostenibilità.
Questi sono solo alcuni esempi, tra le tante procedure in corso, di rilievo locale e/o nazionale (basti pensare a tutte le situazioni di crisi aziendale connesse con tematiche di risanamento ambientale e nuova programmazione economica ed urbanistica oppure ai temi del trattamento dei rifiuti o delle risorse idriche), che segnalano la necessità di recuperare semplicemente la coerenza e l’ intima connessione tra le parole, i fatti e le decisioni. Non è nostra intenzione propugnare scelte tese ad affermare inutili nuovi integralismi o fumose “decrescite felici”. Ma le decisioni e gli orientamenti politici vanno spiegati e non declamati. E ne vanno chiariti, con verità e onestà, gli obiettivi e le finalità sociali, economiche e ambientali. Insomma, per il Pd e l’intera sinistra italiana ed europea il Green New Deal non può essere solo uno slogan ma una scelta strategica che per essere credibile richiede decisioni coerenti e indicazioni chiare, a tutti i livelli della vita politica ed istituzionale. Senza omissioni o “zone franche”, ma aprendosi ad un confronto vero che punti a tenere insieme esigenze di semplificazione e di sostenibilità economica degli interventi con le ragioni non più rinviabili della qualità ambientale e sociale del modello di sviluppo.
Alessandro Dal Piaz – Urbanista
Giuseppe Vitiello – Iscritto PD Scafati
(1) Si pensi alla necessità di garantire equilibri compatibili ai bacini idrografici anche in caso di dighe per impianti idroelettrici, o di programmare adeguati smaltimenti dei pannelli fotovoltaici esauriti, o di ubicare campi di pale eoliche rispettando le rotte migratorie dell’avifauna etc.
(2) Che il Consiglio Comunale approva con semplice delibera senza che nessuno possa neppure formulare le tradizionali “osservazioni” agli strumenti urbanistici.
- L’immagine di apertura e tratta da Legambiente.it
Interessantissimo sia nella parte di a alisi che nella proposizione. Un tavolo tematico per aree geografiche insieme agli amministratori locali, potrebbe aprire riflessioni locali e aprire una nuova stagione di confronto uscendo dagli interessi localistici. Complimenti agli autori.
Riflessioni di alto livello che meriterebbero un adeguato dibattito ai massimi livelli. Francamente sono disilluso dalla qualità media della rappresentanza politica, non per questo tuttavia si può rinunciare a rappresentare come ben argomentato dagli autori lo stato dell’arte.