di Gianfranco Nappi
La vicenda è nota per il risalto giusto che ha avuto sui social e sulle stesse pagine dei quotidiani napoletani.
Tre ragazzi danno vita ad una iniziativa simbolica di ‘occupazione’ della scuola per il superamento della Didattica A Distanza e il ritorno , a fasi almeno, di didattica in presenza da realizzare nella massima sicurezza di e per tutti.
Simbolica questa occupazione, ci pare difficile che 3 studenti possano bloccare alcunchè, e altrettanto simbolica perchè avvenuta quando a scuola ovviamente non c’era alcuna attività da bloccare.
E invece si è passati dalla iniziativa ‘simbolica’ ad una concretissima azione disciplinare nei confronti dei 3 ragazzi che lascia molto sconcertati a dire il vero.
E vivaddio che ci sono ancora ragazzi che si battono per studiare di più e meglio: è giusto punire questo? A noi appare come un paradosso e una contraddizione enorme.
Per questo vogliamo condividere le parole con cui Ilaria Perrelli ha pubblicamente sulla sua pagina fb e con una Lettera a Repubblica ragionato sulla questione: per quel che ha detto e per il fatto che l’essere lei mamma di uno dei tre ragazzi non le ha impedito di sviluppare una riflessione critica che interroga profondamente la scuola e il suo senso.
Quella scuola che ancora oggi, dopo oltre un anno di Pandemia, non è ancora riuscita a vedere riconosciuti quei supporti e quei sostegni, dal Governo alle Regioni ai Comuni, che consentissero di vederne praticata nei fatti quella centralità sempre evocata a chiacchiere.
Neanche una corsa in più di Autobus, Metro o Circumvesuviana si è riusciti a organizzare a Napoli ad esempio. Anzi, si da’ il caso che esse siano state tagliate…Neanche un autobus in più, magari elettrico, si è visto circolare dopo più di un anno…
E la scuola da sola deve affrontare tutti i suoi problemi.
E allora, no, non ci sentiamo di associarci al provvedimento disciplinare nei confronti di questi ragazzi.
No. Proprio No!
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DALLA PAGINA FB DI ILARIA PERRELLI DI SABATO 20 MARZO 2021
Stamattina su Repubblica c’è una mia lettera nella quale mi rivolgo al Direttore scolastico regionale, Luisa Franzese, affinché intervenga al liceo Vico.
Potete leggere il testo integrale, se avete qualche minuto, perché ciò che sta accadendo in quella comunità scolastica è grave….
È con profonda amarezza che ho deciso di scrivere per quello che sta accadendo al liceo Vico di Napoli.
Sono la mamma di Luca, uno dei tre ragazzi che hanno ricevuto la sanzione disciplinare per aver occupato due giorni, in un istituto vuoto, senza interrompere la didattica a distanza, tamponandosi prima e dopo. Dico subito, per sgombrare il campo da equivoci che, in passato, non mi sono mai tirata indietro, lo sanno bene in quel consiglio di istituto i dirigenti scolastici, alcuni insegnanti, con i quali finora ho sempre condiviso ogni cosa, finanche la scelta di far ripetere a Luca il primo anno, in virtù proprio di quel patto che oggi sostengono si sia rotto perché i ragazzi, crescendo, stanno vivendo l’impegno studentesco e politico, come tanti alla loro età.
Abbiamo chiesto i verbali del Consiglio di Istituto perché volevamo capire come si era arrivati a quei 10 giorni di sospensione, perché ci sembrava e ci sembra una risposta spropositata. Chi scrive, d’altronde, aveva proposto durante l’audizione i lavori utili e gli stessi ragazzi, dopo il Consiglio di Istituto del 23 febbraio, avevano inviato alla dirigente scolastica una lettera nella quale avevano scritto: “…Come più volte ribadito pubblicamente, non c’è mai stata nessuna intenzione di mettere in difficoltà le istituzioni scolastiche, al contrario. Se qualcosa ha causato momenti di imbarazzo o difficoltà, chiariamo che questa non era la nostra intenzione, e ci dispiace. Ci dispiace in particolare se il metodo dell’occupazione ha creato problemi, ma volevamo farci sentire. Crediamo profondamente nella scuola, nel suo futuro e nella battaglia di civiltà per sostenerla e migliorarla, che unisce tutti e tutte noi. Speriamo con queste righe di aver chiarito meglio le nostre motivazioni…” Quella lettera di riflessione dei tre ragazzi non è stata degna nemmeno di essere letta nel successivo consiglio di istituto per sortire non dico un cambiamento della decisione presa, ma almeno un dubbio. Alle nostre audizioni, tranne la Dirigente scolastica che con coerenza ha portato avanti la sua posizione, nessuno dei presenti ci ha posto domande, si è sforzato di capire. Hanno però parlato tutti dopo, quando la nostra audizione era terminata e non eravamo più collegati, non nel merito di quello che è accaduto, ma solo per emettere giudizi. Il dibattito si è schiacciato sulla gravità dell’atto, si è spostato sul nostro ruolo genitoriale, “sul carattere degli interventi difensivi dei genitori che mette in luce la rottura del processo formativo che dovrebbe vedere genitori e scuola complici nel processi di crescita dei ragazzi”. E sul fatto che questi “sono ragazzi svantaggiati, come ha detto un’insegnante, che, a suo dire preoccupata, ha “invitato i consiglieri a non prendere in considerazione gli interventi dei tre ragazzi in questa sede perchè condizionati dalla permanenza in quello che lei ha individuato essere il centro sociale dove, sicuramente, non avevano libertà intellettuale perchè condizionati da altri ragazzi. E reputa l’essere sprovveduti dei genitori e la leggerezza con cui hanno consentito ai rispettivi figli di non essere fisicamente vicini in questo momento, ragazzi abbandonati nel processo educativo e genitori che squalificano l’istituzione scolastica perdendo un alleato nella formazione dei figli”. Ancora, “sono il frutto di quei genitori che avrebbero dovuto sviare i ragazzi da tale azione” ha detto chi, invece, dovrebbe rappresentarmi in quella sede.
Parole pesanti che confermano l’assoluta autoreferenzialità di quella comunità scolastica, l’incapacità di ascoltare l’altro, di svolgere una funzione educativa e formativa che non si limiti solo al compito di istruire e garantire l’importante e fondamentale attività di apprendimento. Il liceo Vico è una eccellenza per la sperimentazione didattica e i programmi innovativi, e i docenti , a partire da quelli di Luca che ringrazio per il lavoro tenace e paziente fatto in questi anni, si sforzano, in tutti i modi, di motivare i ragazzi. Nessuno lo mette in dubbio. Gli stessi ragazzi che hanno forte il senso di appartenenza lo hanno ribadito, basterebbe ascoltare la voce ferita di Beatrice all’audizione. Eppure questa vicenda conferma che in questa scuola acquisire una coscienza critica, un’autonomia di pensiero, sperimentare, magari anche sbagliando, forme di espressione del dissenso, non facciano parte della crescita, ma al contrario siano considerate un orpello fastidioso, di cui liberarsi, scegliendo per questo i tre che ci hanno messo la faccia come esempio per chi pensasse un domani di fare qualcosa che non sia concordato prima o concesso come la settimana del cittadino libero che si svolge ogni anno per disinnescare eventuali pericoli di occupazione o autogestioni.
E allora ritorno su quanto ho letto ieri pomeriggio. Sì, si è rotto un patto, è vero. Io aggiungo occorre un nuovo patto per costruire un nuovo modello partecipativo di tutti alla comunità scolastica. Per questo mi rivolgo al Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, Dott.ssa Luisa Franzese. La prego intervenga. Certo, personalmente, insieme agli altri genitori, farò ricorso al Collegio di garanzia, ma non mi interessa neppure più tanto la sanzione disciplinare perché sicuramente i ragazzi una lezione l’hanno già appresa, e cioè che ad ogni azione corrisponde una reazione e che ci si assume la responsabilità delle scelte che si compiono. Ma ciò che sta accadendo in quella comunità scolastica è grave.
Una comunità educativa responsabile presuppone un patto, un’alleanza che non sia unidirezionale, nella quale noi famiglie possiamo non solo scegliere quella scuola per le alte qualità formative e didattiche, ma per “riconoscerci” in progetti educativi che consentano ai ragazzi di diventare protagonisti del proprio percorso di formazione, attraverso l’acquisizione di competenze e di riferimenti di valore che gli/le consentano di orientarsi con autonomia e responsabilità in situazioni nuove , in continua evoluzione, in contesti difficili come quelli che stiamo vivendo. Una comunità capace di aprirsi, con la volontà da parte di genitori e insegnanti di un un riconoscimento e rispetto reciproco che esprima una reale consapevolezza che famiglia e scuola, nella specificità dei loro ruoli, hanno bisogno l’una dell’altra.” Ilaria Perrelli
forse, soprattutto in questo periodo di pandemia la cui durata ancora è incerta, il sistema (non sistema) scuola italiana fa emergere pezzi di oscurantismo pedagogico e didattico, sprazzi di luce di innovazione didattica e competenze/empatia formative: diamo luce e potenziamo il positivo ( facendo leva su docenti e dirigenti scolastici che si impegnano tenacemente in prima persona) per neutralizzare conservatorismo e inettitudine tuttora serpeggiante anche in luoghi simboli … è soprattutto alimentiamo fiducia e spazi attivi agli studenti che esprimono energie positive più di quanto molti adulti sanno o vogliono riconoscere.