di Giancarlo Durante
Se qualcuno immagina che quella sorta di stress test imposto dalla pandemia ai sistemi sanitari globali,compreso il nostro, possa venire derubricata a semplice parentesi dolorosa,a fortuito incidente di percorso,si sbaglia di grosso. Tutti vediamo che il virus appare come un nemico nuovo,insidioso, potente,difficile da eradicare o da tenere sotto controllo. Solo nel nostro Paese si contano oltre 50 mila decessi, quasi un milione e mezzo di vittime al mondo. Le risposte di coloro che, con brutta locuzione, vengono chiamati “decisori politici” sono apparse, pressocchè ovunque, equilibrate, consapevoli del disagio, della sofferenza, della paura che si sono impadronite della popolazione. Con rare eccezioni! Avrei difficoltà a scovare in giro per il mondo immagini di operatori sanitari costretti a segnalare le manchevolezze, le omissioni negli interventi, incappucciati e con il timbro di voce distorto, come a difendersi da un’autorità aggressiva, minacciosa, non disponibile ad accettare le critiche come legittima espressione di dissenso, ma viste come intollerabile vulnus al proprio inossidabile potere. Non si tratta solo di una caduta di stile alla quale il cittadino sembra assuefatto ed alla quale, anzi, si direbbe disposto a concedere fiducia, confondendo l’arroganza con l’efficienza. No! Qui sono in ballo i diritti fondamentali sanciti dalla Carta. La possibilità che in una sola persona si concentrino così ampie prerogative, la capacità di gestire in piena solitudine fette così consistenti del budget stanziato per le spese sanitarie, rende il quadro fosco e preoccupante.
Lo stesso Ministro della Salute, perso dietro l’emergenza e attento a ricucire i pareri non sempre concordanti dei suoi collaboratori, sembra più preoccupato di non scontentare nessuno che lucido nell’evidenziare le falle del sistema.
Perchè di falle il sistema ne ha diverse.
Con una certa capacità visionaria scriveva tempo fa il sociologo Ivan Cavicchi in uno dei suoi tanti saggi sulle politiche sanitarie nel nostro Paese:“In questi anni abbiamo pagato il prezzo salato del pensiero unico di certi economisti, spalleggiati dal pensiero debole della razionalizzazione e della compatibilità, responsabili del miglioramento senza cambiamento invocato a più riprese”.
I managers delle nostre ASL(tra l’altro quasi sempre di ottimo livello), si sono mostrati convinti assertori delle politiche di risparmio. Negli stessi anni non hanno perso occasione di ripetere, fino allo sfinimento, che gli obiettivi, i targets dei piani aziendali dovevano avere come faro il contenimento della spesa e che le prestazioni sanitarie avevano l’obbligo di attenersi strettamente al budget assegnato. Il mantra ripetuto si esauriva nella triade: efficienza, efficacia, produttività. Ai quali, spesso, veniva aggiunto il requisito dell’appropriatezza dei ricoveri e delle prestazioni.
Mentre le nuove sfide mediche erano già là sullo sfondo, pronte a far sentire il loro peso: le tecnologie avanzate nel campo dell’informatica, la gestione dei dati sanitari, il processo di comunicazione dei metadati, l’avvio delle cartelle cliniche elettroniche, l’ingresso sulla scena di nuovi devices, di farmaci innovativi e,persino, di farmaci personalizzati, le potenzialità incredibili legate alla telemedicina, alla telediagnostica costituivano tutti aspetti che, se mal gestiti, potevano rappresentare un rischio non più tollerabile dal sistema, con un probabile impatto negativo sulle compatibilità con il FSN e con gli stanziamenti,sempre più insufficienti, assegnati alle regioni. Tutti aspetti ingigantiti dal fenomeno in atto della transizione demografica, che con l’invecchiamento della popolazione, ci regalava il fardello di un consumo di prestazioni sanitarie a costi sempre più elevati. Quello che Walter Ricciardi in una pubblicazione di un paio di anni fa chiamò “Tempesta perfetta”.
Serve,perciò,un robusto cambio di passo. Non inutili interventi di maquillage, ma una visione strategica nuova, una capacità di collegare la crisi sanitaria in atto con le sfide globali come la crisi ambientale e il drammatico fenomeno delle diseguaglianze sociali. Un pò come avvenne con la madre delle Riforme sanitarie la 833 del ‘78. Una riforma figlia del tempo, varata nell’anno dell’ assassinio di Aldo Moro, fortemente voluta da uomini politici e medici impegnati nel campo progressista, come Basaglia, Maccacaro, Giovanni Berlinguer, Seppilli. La 833 del ‘78, forte dell’impianto culturale dell’universalismo e dell’equità delle prestazioni, ebbe un indubbio valore storico per avere avviato l’autonomia e il decentramento dell’offerta sanitaria con l’istituzione delle c.d. USL. Ma già dopo pochi anni entrò in crisi, mostrando limiti vistosi anche a causa di un uso distorto nelle prescrizioni terapeutiche che certa classe medica volle fare (chi come me ha una certa età non può non ricordare le dispense di casa piene di farmaci inutili: la citrosodina, la soluzione Schoum). La favola universalistica della “salute per tutti” naufragò subito miseramente, svincolata com’era da limiti economici. Una domanda di servizi sanitari incontrollata e incontrollabile rese ineludibili profondi interventi di riordino del SSN, concretizzatisi con i dlgs 502/92 e 517/93. I cardini di queste riforme furono il finanziamento delle attività sanitarie come pagamento dei servizi e delle prestazioni erogate, l’introduzione presso le strutture di ricovero e cura pubbliche e private dei c.d. ROD/DRG(in inglese), raggruppamenti omogenei di diagnosi, attraverso cui i rimborsi non venivano più conteggiati sul numero di giorni di degenza ma sul costo fisso dei singoli DRG,oltre che sul c.d. case-mix, sulla complessità della patologia.
La successiva riforma(ter) a firma di Rosi Bindi, vide la luce nel 1999 e introdusse,tra l’altro,i concetti dei livelli essenziali di assistenza(i c.d. L.E.A.), portando a compimento il processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie e sostituendo le vecchie convenzioni con l’ accreditamento, da applicare alle stesse strutture sanitarie pubbliche.
Da allora il debito pubblico crescente, i vincoli macroeconomici, le richieste pressanti dell’UE con piani di rientro dal deficit sempre più corposi impoverirono il FSN, spostando progressivamente l’attenzione della gestione dei servizi sanitari prevalentemente sulla capacità di risparmio. Ecco quindi il mancato turn-over del personale medico e infermieristico andato in pensione, ecco il progressivo impoverimento delle prestazioni erogabili senza esborsi aggiuntivi da parte del paziente, come pure la chiusura o il ridimensionamento di piccoli ospedali di comunità, ed un spesa sanitaria pubblica che negli ultimi anni è stata inferiore di 3 punti di Pil rispetto a Francia e Germania.
“Una razionalità senza morale si è impadronita, dice ancora Cavicchi, dei gestori della salute,… la medicina e la sanità non sono aziende manifatturiere e i soggetti, gli ammalati e gli operatori non sono lavatrici“.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che il dramma collettivo che stiamo vivendo potrà avere un seguito con altre crisi simili di eguale portata, perchè i virus mutevoli, potenzialmente aggressivi e in grado di fare il salto di specie, sono tanti. Ha recentemente affermato un nostro concittadino, il prof. Iovane, Ordinario di Malattie Infettive presso la Facoltà di Veterinaria dell’Università Napoli ”Una peculiarità dei Coronavirus è la capacità di mutare e ricombinarsi generando nuovi ceppi con caratteristiche patogenetiche nuove nella medesima specie o in grado di effettuare il salto di specie. Così è successo nei cani(CCoV I-II),nei gatti (FCoV e FIP),nei maiali(TGEV-PEDV)e nei polli e tacchini BI e TC),nel primo ospite si sono isolati oltre 60 sierotipi varianti.”
Io non so se è vero che siamo già passati dall’Antropocene al Pandemiocene, so però, che gli insulti perpetrati dall’uomo all’ambiente, le vistose modifiche climatiche, l’attacco alle biodiversità, l’impoverimento di alcune colture, un eccesso di sperimentazione e manipolazione genetica senza controllo, siano le premesse, se non si porrà rimedio, per futuri annunciati disastri.
Giancarlo Durante