QUELLI DI VIA DELL’INCORONATA VICINI A QUELLI CHE ERANO STATI DI VIA CERVANTES
di Massimiliano Amato
La scelta della sede non fu casuale: via dell’Incoronata, a non più di 20 metri da quella via Cervantes ch’era un topos fondamentale del nostro immaginario di giornalisti cresciuti dopo la chiusura dell’edizione napoletana de l’Unità, a un tiro di schioppo da via dei Fiorentini, dove – era il 2004 – c’era ancora il partito. Conobbi Pietro Greco in quelle stanze, lui s’era scelto uno stambugio d’angolo dal quale poteva vedere le torri del Maschio Angioino e uno spicchio di quel mare che attraversava tutti i giorni col traghetto da e per Ischia. Un ufficetto spoglio e disadorno dal quale dirigeva – con l’umiltà di chi sembrava stare là per imparare e non certo per insegnare – l’Articolo, il quotidiano che riportava il giornalone di Antonio Gramsci nella capitale del Mezzogiorno. Si era su un crinale storico particolare: nel decennio precedente Napoli e la Campania si erano lasciati alle spalle – passo dopo passo – la malapolitica, la corruzione, la degenerazione della vita pubblica a arena della contrattazione permanente. Ma i mali endemici della città – la camorra, che in quel periodo raggiunse vette di inusitata spietatezza con la faida di Scampia, la questione ambientale, riassunta dall’emergenza rifiuti – rilasciavano a noialtri giornalisti (di quella squadra facevano parte, tra gli altri, Ilaria Perrelli, Stefano Porro, Pierluigi Boda, Carmine Bonanni, Giuliana Caso, Antonio Montanaro, Daria Simeone, Giulio Gargia, Fabio Ianniciello) inquietanti promemoria quotidiani. Da primus inter pares Pietro presiedeva con la mitezza ch’era la cifra essenziale del suo carattere le interminabili riunioni durante le quali costruivamo il giornale del giorno dopo. Attento sempre al metodo oltre che al merito. Perché Pietro conosceva benissimo la differenza che passa tra il divulgatore, portato a banalizzare, e il giornalista scientifico, che invece spiega. Ora che ci penso, pur muovendosi per tutta la sua lunga attività professionale lungo quella sottilissima linea di confine, è riuscito sempre a non travalicarla: un atto di eroismo che rinnovava ogni giorno, opponendosi a ogni tipo di semplificazione schematica, televisiva, in una parola: mercatista. Insieme costruimmo la Domenica dell’Articolo, l’inserto culturale del settimo giorno. Pietro, che subiva bonariamente (senza farmelo mai pesare) la bulimia delle ricostruzioni storiografiche che implacabilmente gli infliggevo, lo arricchì di interventi prestigiosi: non c’era scienziato, fisico, matematico, che non conoscesse o che gli rifiutasse un articolo, una nota di commento, un’intervista. Ma i tempi del quotidiano non facevano per lui: tornò presto (troppo) all’insegnamento a Trieste, alla (sterminata) produzione di saggi, alla sua Ischia, dalla quale non è mai andato via. Ci ritrovammo, dopo la fine prematura dell’esperienza de l’Articolo, nel giornale – madre, io quotidianamente impegnato a raccontare Napoli e la Campania sul fronte bollente della cronaca e dell’attualità, lui nel ruolo che più gli si addiceva. E, successivamente, a InfinitiMondi. L’ultima volta che l’ho sentito è stato all’inizio dell’estate. Aveva dato alle stampe una documentatissima monografia su Trotula de Ruggiero, la prima medichessa salernitana. Gli chiesi un capitolo da pubblicare sul mio giornale: il tempo di chiudere la telefonata e aprire la posta elettronica e il pezzo, nelle misure richieste, era lì.
Ciao, Pietro, fai buon viaggio. Ti sia lieve la terra.
di Massimiliano Amato
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ALLA SCUOLA DI PIETRO
di Ilaria Perrelli
Ho avuto la fortuna di conoscere Pietro nel 2004 quando decisi di lasciare Roma per la breve ma intensa avventura a L’articolo, l’inserto campano dell’Unità. Era il nostro Direttore. Mi colpii subito la sua capacità di entrare in sintonia e metterti a tuo agio. Era uno dei più importanti divulgatori scientifici italiani, eppure, senza alcuna presunzione, al contrario con discrezione, pacatezza, pazienza, nelle nostre lunghe riunioni di redazione ascoltava tutti e tutte e ci spiegava il suo punto di vista sul ruolo che potevamo ritagliarci nel panorama dei quotidiani napoletani. La nostra era una redazione piccola, giovane, molti con una lunga gavetta alle spalle e una esperienza consolidata in altre testate, altri iniziavano allora il praticantato, tutti con la passione e la voglia di credere in quel progetto e rimettersi in gioco. La gestazione fu lunga e ricordo che Pietro insisteva che, per ragioni culturali e economiche, dovevamo provare un esperimento, cioè fare un quotidiano lontano dalla cronaca minuta; non abbiamo i mezzi per competere con corazzate come Mattino, Repubblica e Corriere del Mezzogiorno, ci ripeteva quando qualcuno di noi correva in redazione con la notizia da pubblicare assolutamente. Dobbiamo rivolgerci, ci spiegava con quel sorriso che non lo abbandonava mai, ad un pubblico diverso che sia interessato ad approfondire, a riflettere di più sulle notizie, che vanno pubblicate, ma con un taglio diverso. Vogliamo affrontare l’attualità, diceva, fornendo degli strumenti, una rete di dati e di conoscenze tecniche che tengano conto della complessità dei fenomeni, per consentire ai lettori di inquadrare i fatti e comprenderli. Era il 2004, negli Stati Uniti stava nascendo Facebook, ancora non saremmo stati travolti dai messaggi diretti dei social, la rete poteva essere una opportunità. Eppure Pietro aveva già anticipato e capito il rischio che potevamo correre e la necessità invece di raccontare ciò che accadeva con rigore, di riflettere di più, di non lasciarsi affascinare dalla velocità della notizia della rete.
Perché Pietro era fatto così, se doveva dare notizia su un fatto, studiava prima, analizzava, cercava una chiave di lettura e poi scriveva. E questo in fondo è il testamento che ci lascia: non fermarsi all’apparenza, leggere, studiare, capire, approfondire. Non a caso, all’inizio di questa pandemia, sul ruolo dei mass media scriveva: “C’e un evidente difetto di comunicazione sia delle autorità politiche (nazionali, regionali e locali) sia della comunità scientifica di settore… E bisogna dirlo, una responsabilità in quota parte ce l’ha anche il sistema dei media. Con mille differenze e sfumature, naturalmente. Ma nel complesso ha prevalso una bulimia mediatica con pagine e pagine sui giornali, schermate e schermate su internet, ore e ore di trasmissione che hanno creato un rumore di fondo insopportabile e hanno alimentato la psicosi collettiva… Occorre una voce che sia forte e completa, oltre che totalmente trasparente. Che riesca a sovrastare quel rumore di fondo che genera confusione e psicosi. Che contrasti l’infodemia, come è stata ribattezzata. Perché il rumore di fondo influenza la percezione del rischio. E la percezione erode fin dalle fondamenta la capacità di contenerlo, il rischio… “Buon viaggio Pietro, buon viaggio dalla tua redazione… noi ricorderemo sempre i tuoi insegnamenti e cercheremo di osservarli con scrupolo e passione… a modo tuo.
di Ilaria Perrelli
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GLI INTENSI ANNI DI PIETRO
di Ugo Leone ( da eco.it )
L’improvvisa scomparsa di Pietro Greco. Collaboratore di Rai Radio Tre e di innumerevoli testate (tra cui la nostra “.eco”), autore di molti libri, è stato definito il maggiore comunicatore scientifico di questi tempi. Nei prossimi giorni online sui nostri canali la sua ultima intervista, che ci aveva rilasciato insieme a Roberto Besana per parlare di alberi e rapporto con la Natura, nell’ambito del ciclo “Oltre la crisi”.
(Nella foto di apertura, Pietro Greco durante il suo intervento a un convegno a La Spezia, il 31 luglio 2019, su mare, ambiente e economia)
L’ultimo libro di Pietro Greco, recensito da Valerio Calzolaio su questo sito.
La notizia della morte di qualcuno genera sempre dolore.
Quando questo qualcuno si chiama Pietro Greco il dolore è quasi sopraffatto dall’incredulità.
“Non ci posso credere” è stato il commento immediato – anche il mio – di quanti hanno condiviso con me la notizia.
Poi il ricordo, i ricordi di un’amicizia di vecchia data caratterizzata da una forte comunanza di interessi e di intenti come dimostrano le tante cose fatte insieme l’uno (soprattutto io) stimolato dall’altro.
Pietro era il più grande frequentatore del sistema ferroviario italiano e in treno, fra l’altro, ha scritto di tutto. E ha preparato tutto quello che si accingeva a dire, invitando a riflettere, quanti lo invitavano in convegni, tavole rotonde, monologhi.
Anche in cucina se la cavava bene
Poi quest’anno – questo funesto anno bisesto – si è dovuto fermare. Con grande vantaggio affettivo per la famiglia che se lo è visto in casa come mai negli anni passati. In casa significa in cucina dove se la cavava bene, ma soprattutto al computer che era diventato ancor più uno strumento di comunicazione.
Uno dei tanti libri di Pietro Greco, dedicato a una grande scienziata, prima donna medico d’Europa
Comunicazione che dalla sua casa di Ischia trasmetteva anche via radio nelle settimane nelle quali toccava a lui, su Radio Tre, condurre il programma Radiotrescienza. Ma comunicazione che, per il modo in cui la faceva e per la cultura e conoscenza di cose e persone che ne arricchivano la personalità, lo ha fatto giustamente definire il maggiore comunicatore scientifico vivente. Non per caso ha diretto i master in Comunicazione scientifica della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste.
Una biografia colma di scritti
Aveva solo 65 anni. Ma anni tanto intensi da colmare pagine di una pur affrettata biografia. Era laureato in Chimica e da giornalista, scientifico naturalmente, ha scritto per “l’Unità” sino a quando è esistito questo quotidiano. Poi, da quando della carta stampata si è cominciato a far uso sempre meno frequente, la sua presenza è stata soprattutto on-line: l’ultima come caporedattore del magazine on line “Il Bo Live” dell’Università di Padova.
Nella collana La parola alle parole edita da Doppiavoce (Napoli) il recentissimo volume di Pietro Greco
Ma sino all’ultimo numero del 15 dicembre è stato una firma fissa del bel quindicinale “Rocca” della Cittadella d’Assisi. I libri non si contano. Lavoravamo insieme per la mia collana “la parola alle parole” e, solo qui, due dei dieci volumi sono suoi: E Errore e E Eti Intelligenze extraterrestri.
Da qualche mese presiedeva ad Ischia il Circolo Sadoul con la passione che ha sempre manifestato per la sua isola che, insieme, abbiamo più volte proposto potesse essere presa in considerazione dall’Unesco come patrimonio dell’Umanità.
Quando ho compiuto 80 anni ha messo la notizia su Facebook scatenando una valanga di auguri. Io non potrò fare altrettanto per lui che ci ha lasciato troppo giovane.
Io lo ringrazio, ma non sono solo, per essere stato con noi.
Ugo Leone
di Ugo Leone