di Pasquale Iorio
Come ha denunciato Legambiente in un dettagliato rapporto nazionale del 2017, in Provincia di Caserta esistono 317 cave abbandonate, 59 chiuse, almeno 26 abusive e 46 autorizzate: sono questi i numeri sulle attività estrattive nei 104 comuni che compongono Terra di Lavoro, la quale detiene cosi il triste primato sia per numero di cave presenti sia per la pressione che tali attività generano sul territorio. In questa Provincia è presente una cava ogni 5,8 chilometri quadrati, più del doppio rispetto alla densità del resto della Regione. Per rendersene conto basta osservare lo stato dei monti Tifatini, nell’area fra Capua e Maddaloni, una zona già nota come “La città Continua”, oggi profondamente segnata dai 20 siti estrattivi presenti, con fronti di cava enormi, visibili da ogni punto della città, come la cava Vittoria della Cementir a Maddaloni o come la cava Statuto, nel Comune di San Prisco (CE). Con una grave devastazione del paesaggio a Caserta e dintorni nonostante l’area sia soggetta a numerosi vincoli, ambientali, archeologici, paesaggistici ed idrogeologici.
In alcuni casi per estrarre calcare sono stati “strappati” di fatto porzioni di montagna senza creare le strutture necessarie per il ripristino dell’habitat naturale se non attraverso nuovi prelievi di materiale. Dopo tante denunce e dure battagli (anche giudiziarie) per ora le attività estrattive sono state fermate con decreto regionale, come pure sono state chiuse quelle dei due cementifici (Cementir e Mocci). Il problema paesaggistico non è l’unico elemento che emerge, con la distruzione e depauperamento di alcuni beni comuni, di un habitat naturale ed agricolo di grande valore. Basti pensare che L. Vanvitelli scelse l’area dove realizzare il grande Palazzo Reale, in quanto fu affascinato dallo sfondo delle colline Tifatine. A questo scempio naturale si aggiungono le modalità con il quale alcune “coltivazioni” di cava sono state portate avanti con l’influenza esercitata dalle attività dai clan camorristici della zona, che proprio dalle attività estrattive fanno il punto di partenza per i loro traffici legati al ciclo del cemento e a quello dei rifiuti, come ha denunciato la Commissione parlamentare di inchiesta.
Inoltre, va messo nel conto il pesante dissesto idrogeologico, che in questi giorni si è evidenziato con le bufere di vento, che oggi risultano più tempestose per l’area casertana in quanto manca la protezione naturale che finora veniva offerta dalle stesso colline (alcune delle quali sono quasi scomparse). A questo si aggiunge un altro rischio molto serio ed inquietante: quello che potrebbe essere prodotto dalle frane negli invasi che tendono a riempirsi di acque piovane. Come sostengono alcuni esperti ingegneri idraulici qui nel futuro si potrebbe verificare una sorta di “effetto Seveso”, ai danni del territorio e della conurbazione casertana anche a seguito dei mutamenti climatici (come si è visto di recente in diverse regioni italiane. Per questi motivi ribadiamo le ragioni del nostro appello per rompere lo stato dominante di inerzia, di silenzio e di indifferenza (a volte anche di connivenza), per chiedere ai Sindaci della zona ed alla Regione di andare avanti con un piano di risanamento ambientale e di recupero dei siti estrattivi con progetti di riuso sociale e produttivo. A tal fine un contributo competente può essere offerto dall’Università e dal Dipartimento di Scienze Naturali, anche riprendendo una proposta di alcuni anni fa, in collaborazione con le risorse che possono mettere in campo le associazioni ambientaliste (a partire proprio da Legambiente, Italia Nostra, WWF e LIPU).
Pasquale Iorio
L’APPELLO
La maledizione delle cave
In questi giorni di terribile burrasca e di vento distruttivo ho rivisto alcuni interventi ed allarmi lanciati negli anni scorsi. Un giornale così titolò nel 2012: la maledizione delle cave. Ed aveva proprio ragione! Ogni volta che lo sguardo va in quella direzione, ci appare uno spettacolo sempre più spettrale: intere colline sono state divorate e sfregiate dai cosiddetti “cavaioli”, che nonostante i divieti di legge continuano imperterriti la loro opera predatoria.
Lo sfregio delle cave è diventato enorme. E’ sotto gli occhi di tutti. Ora quelle colline non ci proteggono più come una volta. E purtroppo la situazione viene aggravata dai mutamenti climatici. La corta visione politica e la scarsa sensibilità ambientale degli amministratori continua a produrre danni incalcolabili: un dissesto idrogeologico senza pari. Non basta la chiusura delle attività dei due cementifici (dei veri “mostri industriali” nel pieno della conurbazione casertana), bisogna impedire che in vari punti si continui a scavare ed estrarre calcare (come si può vedere a occhio nudo), bisogna fermare del tutto queste attività, che da decenni ci divorano la vita e la salute. Per queste ragioni dobbiamo chiedere con forza alle più alte autorità dello Stato e della Regione – anche al Governo – di bloccare questa folle corsa verso la distruzione dell‘eco-sistema in una delle aree a più alta densità urbana e produttiva.
Da parte delle associazioni ambientali e dei cittadini, più volte è stato riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica uno degli scempi più evidenti: la devastazione delle cave (che minacciano anche le chiese di S. Lucia e di S. Michele), con un’ opera di distruzione ecologica, che ha già prodotto una situazione di disastro ambientale per molti versi irreversibile.
Un incredibile silenzio, accompagnato da disattenzione (spesso connivenza), caratterizza le istituzioni locali e le forze politiche, che rimangono inerti e “distratte” di fronte a questo immane scempio. Tra l’altro, come hanno messo bene in evidenza alcune indagini negli anni scorsi, è proprio dalle attività estrattive e dalla lavorazione del calcestruzzo che prende corpo uno dei filoni più redditizi dell’economia criminale e camorrista, quello del cosiddetto “movimento terra”. Ricordiamo che alcuni anni fa il VE Raffaele Nogaro denunciò questo scandalo. Purtroppo rimase isolato ed inascoltato (anche dalla stampa locale).
Ora è arrivato il momento di ribellarsi e di indignarsi per lanciare un appello, in primo luogo alle massime autorità istituzionali (dal Presidente della Provincia fino ai Sindaci di Caserta e Maddaloni).
Al riguardo, come è avvenuto in tante altre realtà, si possono progettare interventi per riutilizzare le cave destinandole ad altre attività di tipo sociale e produttivo, in primo luogo per ripristinare i siti naturali, con opere di “ripascimento” (come sta avvenendo in qualche caso). In merito l’università (a partire dal Polo Scientifico) può dare un contributo decisivo per rilanciare un dibattito ed un confronto su nuove idee di crescita sostenibile per il nostro territorio. Tra l’altro le cave incidono negativamente anche sui lavori del nuovo Policlinico, da decenni bloccato.
A Caserta, come sta avvenendo per alcuni beni comuni, è necessario riprendere un movimento di lotta, non tanto di denuncia, quanto di proposte e progetti con la mobilitazione delle principali associazioni giovanili ed ambientaliste: dal FTS Casertano a Legambiente, all’Arci e Acli, dal Forum dei Giovani a Italia Nostra, da MillePiani a Città Viva, dal WWF alla LIPU all’Auser, da Agenda 21 ai Siti Reali, in collaborazione con le scuole e l’università, ma anche con le forze sociali e del mondo del lavoro (a partire dai sindacati).
Caserta, 30 novembre 2020
Primi firmatari
Pasquale Iorio Le Piazze del Sapere, saggista
N. D’Angerio G. Tozza – Legambiente Caserta
Comitato Villetta Giaquinto
Laboratorio Sociale Mille Piani
Maria Rosaria Iacono Italia Nostra
Elisabetta Luise Presidente Auser Caserta
Sergio Vellante Economista agrario
La cava adiacente i ponti della Valle ha irrimediabilmente interferire con l Acquedotto Carolino nonostante vincoli architettonici e paesaggistici. È proprio da quel punto che il flusso dell acqua si riduce drasticamente. Ma le cave, da dove prendono l”acqua?