Poco meno di 80 partecipanti, da ogni parte d’Italia, al confronto con Luigi Gallo, Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati e Giuseppe De Cristofaro, Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, organizzato insieme all’Associazione Koinokalò: ricco di interventi e spunti di riflessione.
La discussione continua con l’intervento di grande interesse di Umberto Curi ripreso da Strisciarossa e quello di Francesca Giusti scritto per noi.
DA STRISCIAROSSA.IT
Didattica a distanza:
si creano
nuove disparità
28 MAGGIO 2020|IN ANALISI|DI UMBERTO CURI
http://www.strisciarossa.it/48613-2/
Cominciamo col mettere in fila alcuni dati di fatto, abitualmente trascurati o non adeguatamente valorizzati. L’Italia è stato il primo paese europeo a disporre la chiusura di tutte le scuole, di ogni ordine e grado, dalla materna all’Università. La decisione è intervenuta il 10 marzo, per tutto il territorio nazionale, ma è stata anticipata alla fine di febbraio in alcune regioni, come la Lombardia e l’Emilia Romagna.
Gli unici in Europa
L’Italia è l’unico importante paese europeo che non ha riaperto le scuole prima della fine del corrente anno scolastico. Altrove – in Germania e Austria, in Olanda e Belgio, in Francia e in Gran Bretagna, e perfino in Spagna, dove il virus ha colpito anche più severamente che in Italia – si sono attuate riaperture parziali o totali delle scuole, già a partire dalla metà di aprile. Altrove, durante il periodo di chiusura, comunque circoscritto, sono state assunte alcune iniziative tendenti a ridurre il disagio di studenti e genitori, mediante forme di apertura parziale o selettiva delle strutture formative, ad esempio per accogliere i figli di coloro che erano impegnati nella lotta contro il virus.
L’Italia è anche l’unico paese europeo a non aver ancora precisato i tempi e le modalità di riapertura nel prossimo anno scolastico, lasciando aperta l’ipotesi del ricorso alla didattica a distanza ad integrazione o in sostituzione della didattica in presenza. In nessuno dei successivi provvedimenti di allentamento delle restrizioni assunti a partire dal 4 maggio si è accennato a qualcosa che riguardasse la scuola. In successione, sono state riaperte le fabbriche, i ristoranti, le palestre e le piscine, i centri commerciali, i negozi di abbigliamento, i cinema e i teatri, ma non è stata varata nemmeno una sola disposizione relativa alla scuola. A partire dal prossimo 15 giugno, genitori, allievi e insegnanti si potranno così trovare letteralmente a contatto di gomito al cinema o al bar, in un centro sportivo o in un supermercato, in spiaggia o in un rifugio alpino, dovunque ma non a scuola.
Le conseguenze della didattica a distanza
Ispirato dai vari comitati tecnico-scientifici, il governo ha elaborato una sorta di graduale e calibrata exit strategy per tutti i settori e gli ambiti della vita associata, salvo che per la scuola, il cui destino, a distanza di poco più di tre mesi dal nuovo anno scolastico, è ancora indeterminato. Si ignora ancora praticamente tutto: non si sa se vi saranno differenze fra zone del paese, in rapporto all’indice dei contagi, e fra ordini di scuole, in rapporto alla fragilità dei soggetti coinvolti. Non è chiaro se le lezioni universitarie si svolgeranno da remoto, o se – e a quali condizioni – riprenderà l’attività didattica normale.
Quanto si è osservato finora, sul piano dei meri dati di fatto, converge con altri indizi nel delineare il tema di fondo, vale a dire la valutazione dell’esperienza in atto con la cosiddetta didattica a distanza. Ciò che traspare, in maniera abbastanza scoperta, è un disegno di per sé coerente, principalmente basato sull’impiego delle nuove tecnologie per sostituire integralmente la didattica tradizionale, confermando la chiusura delle scuole. Non occorre particolare acume per comprendere che le altrimenti inspiegabili reticenze nel descrivere le scelte riguardanti il futuro delle scuole, connesse con l’immotivata fretta nel decretare con largo anticipo la fine delle lezioni, e col ritardo nel programmare la ripresa, trovano la loro ragion d’essere nel progetto di generalizzare gli strumenti della didattica a distanza come forma ordinaria di funzionamento delle scuole.
Non dovrebbe essere necessario sottolineare quali conseguenze devastanti – e non solo sul piano degli studi – avrebbe l’effettiva realizzazione di un simile progetto. Non si tratta di demonizzare il ricorso alle risorse messe a disposizione dalla cultura digitale, né di impugnare il vessillo di una improbabile crociata antitecnologica, ma esattamente al contrario di riconoscere fino in fondo le potenzialità strumentali offerte dalle tecnologie, il loro poter essere utilissime come sussidio o complemento, ma mai come modalità esclusiva, o peggio ancora come finalità, dell’insegnamento.
Una concezione di società
Da questo punto di vista, è fuorviante o ozioso lasciarsi coinvolgere in una sterile disputa di principio in favore o contro un impiego sempre più ampio delle risorse tecnologiche. Il tema discriminante, sul quale concentrare l’analisi e la discussione, riguarda il modo di concepire la scuola, la sua specifica missione, il suo rapporto con la società. Nella sua essenza, la scuola implica principalmente una dimensione sociale – in senso orizzontale, fra gli allievi, e in senso verticale fra essi e i docenti – che non soltanto non è riproducibile per via tecnologica, ma è contraddetta in radice dal funzionamento stesso di strumenti a distanza. Analogamente, la scuola ha svolto, anche in fasi storiche di transizione, una funzione egalitaria che si è tradotta nella riduzione, se non nella cancellazione, delle differenze di partenza, mentre, esattamente al contrario, le oggettive sperequazioni nelle dotazioni strumentali, dovute a differenze di ceto e di censo, si riflettono nelle diversità di opportunità, dando origine a nuove forme di stratificazione sociale.
Tutto ciò conduce, infine, e si risolve, nella questione che condensa e riassume anche quelle precedenti, riguardo alle finalità proprie della scuola. Quanto è stato messo in campo nelle ultime settimane, allo scopo di sostituire la didattica in presenza, potrà forse, e con evidenti limiti, produrre qualche risultato apprezzabile sul piano dell’istruzione, ma è certamente inefficace, e per molti aspetti anche controproducente, ove alla scuola si riconosca il compito di provvedere all’educazione. Altro è, infatti, quel processo di trasmissione di dati e nozioni, mediante il quale si costruisce l’attrezzatura intellettuale di un allievo, e tutt’altra cosa è quel processo che e-duca, “conduce fuori”, fa esprimere liberamente le potenzialità individuali di un giovane. In gioco, come agevolmente si può intuire, non è allora semplicemente la scelta fra due modalità apparentemente equivalenti di didattica. In gioco è non solo una visione della scuola e delle sue funzioni, ma anche una mentalità, una concezione della società, una cultura, nella divergenza non ricomponibile fra la cultura dei test a crocette, e quel processo complessivo che i Greci chiamavano paideia.
FRANCESCA GIUSTI PER INFINITIMONDI.EU
CONTENUTI E MATERIALE DIDATTICO NELLA SCUOLA: DALLA NOIA ALLA VITA
Francesca Giusti
Molto vivo il forum di venerdì 29 maggio: tante le esperienze appassionate. Utile il coinvolgimento di figure pubbliche. Ottima l’idea di rendere regolari i forum per non far calare l’attenzione per la scuola. Auspicabile la partecipazione di insegnanti più giovani e di studenti.
Ancora un altro punto, a mio avviso, va trattato più a fondo, se veramente vogliamo cogliere l’occasione per prefigurare una scuola nuova. Si tratta dei contenuti didattici, delle cornici ideologiche e metodologiche in cui sono proposti e del materiale editoriale con cui oggi si lavora. La riforma della scuola, attesa fin dagli anni ’70, non si è mai realizzata, per una serie infinita di eventi. Ci sono stati mille palliativi, l’autonomia delle scuole, i progetti, la sperimentazione. La creazione di un astratto quadro pedagogico in cui si individuano mille facoltà da sviluppare nell’alunno e ci si concentra sulle tecniche di modulare e suddividere i programmi con le orribili sigle U.d.A, U.A ….. Di contenuti e di veri “programmi” (che pure esistono e continuano ad essere tramandati nei secoli) neanche una parola. Anche la preparazione ai concorsi si è svolta all’interno di questo quadro di leggi e leggine. Per i contenuti, nulla di nuovo che possa dare la forza di appassionarsi e appassionare i futuri alunni, Personalmente non ho fiducia in una autonomia alle scuole così estesa e senza un coordinamento, se non una direzione unitaria. Le scuole che producono risultati eccellenti non possono avere dal basso canali di diffusione delle idee, delle pratiche e del materiale prodotto. L’esperienza dovrebbe essere oggetto di riflessione da parte del ministero e, dopo una sperimentazione più vasta, adottata ed estesa ad altre scuole. Nella maggior parte delle discipline, la sperimentazione si fa così e non selvaggia. Nelle scuole in cui si lavora male, invece, c’è solo la bieca caccia ai finanziamenti attraverso progetti di scarsissimo rilievo, se non di pura facciata. Una riforma generale dei contenuti non può partire solo dal basso. Purtroppo tra i vari referenti politici impegnati nell’istruzione non ci sono state tempre culturali adatte.
Per quanto riguarda le mie proposte sui contenuti, faccio riferimento soprattutto alle superiori, di cui ho più esperienza, e alle materie umanistiche. I programmi sono rimasti centrati sulle storie di…(italiano, filosofia, arte, letterature classiche). Lo storicismo vanta cento anni di presenza nella scuola italiana come strumento che rifletteva prima le tappe dello spirito gentiliano, poi il progresso, poi la semplice concatenazione di fatti sequenziali e intellegibili. E’ rimasto saldo al suo posto anche quando casualità e enigmaticità hanno investito la storia stessa. La propensione postmoderna al frammento ha solo confuso le idee nella scuola. Teniamoci pure lo storicismo, ma come un contenitore debole. Correzioni proposte: tagliare, tagliare, tagliare. Non dobbiamo lasciare uguale spazio a tutte le epoche, a tutti gli autori, a tutti i minori, in un programma interminabile e infatti mai terminato, a un enciclopedismo pedante e mortale per la sua dose di noia (se vogliamo approfondire qualcosa, non mancano gli strumenti on line). Ellissi, parti condensate, altre più estese perché più importanti. Soprattutto una direzione del tempo non lineare, ma che anticipi qualche volta il presente e non faccia attendere un “come va a finire” che nessuno studente conoscerà mai. La contemporaneità sempre negata. I lavori in corso in ogni materia e i problemi aperti nemmeno accennati. Solo questo renderebbe vivi i contenuti, ridurrebbe la quiete piatta e la noia. La punizione biblica a tanta lunghezza: ore di 40 minuti in cui manca il tempo per tutto.
La scuola, per quanto sia anche tanto altro, ha bisogno anche di contenuti trasmissibili, verificabili, attraverso cui si amplia il mondo cognitivo, culturale, esistenziale dello studente. A questo fine servono anche strumenti di lavoro. A mio avviso, il manuale resta, accanto a tanti altri strumenti, molto importante. Dobbiamo affiancare lettura, scrittura, comprensione non eliminarle del tutto. Il libro di testo dovrebbe essere agile, ben calibrato sul numero di lezioni possibili e sulla possibilità di finire il programma. Dovrebbe inoltre essere spogliato di tutte le funzioni che possono essere realizzate meglio per via telematica.
Chi può essere in questo rinnovamento un buon interlocutore, se non un alleato? Paradossalmente proprio le buone case editrici che hanno mantenuto uno spessore culturale elevato nei loro libri, ma hanno prodotto mostri per lunghezza, ampiezza, adozione coatta di mille funzioni aggiuntive (competenze, verifiche, cittadinanza. L’editoria è molto più vicina alla cultura di quanto lo sia la politica e ha tutto l’interesse a diversificare la sua attività in manualetti scritti agili e prodotti di altra natura. Soprattutto può fare da tramite ragionato verso il patrimonio telematico ampio e articolato che esiste.
Perché non pensare a un forum con le case editrici più illuminate? Proporre una battaglia comune. Prefigurare il futuro degli strumenti didattici. L’obiettivo: realizzare percorsi culturali interessanti e vivaci. Certo ci vorrebbero, all’interno di questo lavoro, molti intellettuali di riferimento, possibilmente giovani, non paludati e privi dell’eterno rimpianto per la vecchia scuola di un tempo.
Ottimo l’intervento di Curi. Ci fa intravedere come si accentueranno le disuguaglianze in realtà dove già sono fortissime. Ma come dice la Giusti è dagli anni Settanta che si aspetta una riforma della scuola. Non mi sembra di vedere novità positive.