di Franco Lorenzoni
Abbiamo bisogno di un segno, forse di un sogno. Il sogno che le nostre città comincino a riprendere vita poco a poco e a cominciare dal correre libero di bambine e bambini, per quanto condizionato da mascherine e distanze. Alcuni comuni sembrano disponibili. Può sembrare un’idea bizzarra e futile di fronte allo spettro di un futuro incerto e agli enormi problemi che affaticano tanti, spiega Franco Lorenzoni, eppure, proprio la gravissima condizione in cui versano troppi, dovrebbe spingerci ad arricchire il nostro immaginario per creare qui e ora un mondo meno ingiusto e distruttivo. Che sia dunque una gigantesca caccia al tesoro a far ritrovare volti di amici e a riempire strade e piazze, lontano dagli onnipresenti schermi che per troppo tempo ci hanno inghiottito tutti quanti
Iniziativa “Infanzia alla ribalta”, San Lorenzo, Roma (2014)
Ibambini sono i grandi esclusi dal discorso pubblico sulla cosiddetta ripartenza. Persino riguardo alla questione della riapertura delle scuole, sembra li si consideri unicamente come figli da piazzare, perché i genitori possano tornare a lavorare.
Per rovesciare questa mancanza di attenzione c’è bisogno di un segno, forse di un sogno. Il sogno che le nostre città, ora quasi del tutto deserte, comincino a riprendere vita poco a poco con il correre libero nelle strade di bambine e bambini, almeno le domeniche. Non troppo libero, certo, perché condizionato dal dover indossare mascherine e dal dover mantenere distanze necessarie per proteggersi dai pericoli del contagio. Ma proprio per questo, per le tante restrizioni a cui sono stati costretti in questi lunghi mesi, dovremmo dedicare alla loro libertà di movimento le prossime domeniche di maggio, tanto per cominciare, in attesa che negli spazi aperti delle scuole e in tutti i parchi e luoghi pubblici dove è possibile, siano promosse e ospitate attività estive, magari organizzate per piccoli gruppi.
Senza attendere disposizioni del governo, alcuni comuni potrebbero proporre e decretare che nella fase 2 le strade delle città siano aperte la domenica al correre all’aperto di bambine e bambini, perché i loro giochi (protetti) possano svolgersi contando su una completa disposizione di tutti i grandi spazi che la città libera da automobili può offrire. Che sia data dunque libertà ai minori di percorre strade, piazze e giardini a qualunque ora, nei modi che desiderano: saltando, ballando o facendo capriole.
Genitori, fratelli grandi o altri congiunti potranno circolare liberamente anche loro, purché accompagnati da bambini, con il consiglio di stare a debita distanza non per via del virus, vista la coabitazione forzata vissuta per oltre sette settimane, ma per interferire il meno possibile con il loro istintivo desiderio di riappropriarsi di spazi grandi a cielo aperto e respirare a pieni polmoni facendo salti e piroette, esplorando la prospettiva surreale di strade che appariranno tutte bellissime, perché a lungo desiderate e mai viste tanto libere e vuote, sotto un cielo che da tempo non era così limpido e pulito.
Quest’apertura dedicata all’infanzia andrà organizzata naturalmente con cura e in modo flessibile a livello locale, da comuni e circoscrizioni, come sta già facendo, ad esempio, il comune di Palermo che ha promosso con intelligenza l’apertura di ville e giardini su prenotazione.
Vigili, polizia ed esercito, in gran numero sulle strade per impedire spostamenti non previsti dalla legge, potrebbero garantire che le poche macchine a cui è consentito viaggiare, in quelle giornate non interferiscano con i giochi dei bambini.
Può sembrare un’idea bizzarra, futile o superficialmente estetizzante, di fronte allo spettro di un futuro incerto e agli enormi problemi che affaticano e impauriscono tanti: la perdita del lavoro, la fame per molti e una crisi economica che ha raddoppiato in due mesi l’indigenza di milioni di italiani e immigrati che vivono nel nostro paese. Eppure, proprio la gravissima condizione in cui versano troppi, dovrebbe spingerci ad arricchire il nostro immaginario e a far circolare idee capaci di preparare un futuro meno ingiusto e distruttivo.
Tutti parlano della necessità di ripartire, ancora troppo pochi si impegnano nell’individuare strade inesplorate che non ci riportino nella palude in cui eravamo impantanati.
La metafora più in voga continua a essere quella della guerra, senza considerare che contrastare una pandemia e combattere una guerra sono due azioni che non hanno nulla a che vedere. La guerra, qualsiasi guerra, si fonda sull’assassinio e la soppressione del nemico, il contrasto a un virus letale può contare solo sulla cura, la ricerca scientifica, comportamenti coerenti che fermino il contagio e una ritrovata capacità i sentirsi comunità, nel piccolo e nel grande.
E allora, per dare inizio a un decennio che dovrà fondarsi necessariamente sulla cura – cura delle persone, delle relazioni e dei luoghi, cura diffusa del vivere comune che coinvolga le più diverse professioni – dobbiamo necessariamente partire dalla città e dai suoi quartieri più degradati, che creano isolamento e discriminazione, come questo tempo di non scuola ha ulteriormente evidenziato.
Ma per aprire gli spazi della città a un uso meno alienante e distruttivo, per renderla più aperta e ospitale, bisogna innanzitutto riuscire a immaginarla. E nell’immaginare nuovi usi degli spazi urbani bambine e bambini sono alleati fondamentali, perché non ancora ammalati dal pigro realismo che paralizza i pensieri di troppi adulti. E godere con i propri occhi la visione di una città senza automobili è una occasione che non si può sprecare.
Chi è più anziano ricorda l’impatto visivo ed emotivo e che suscitò la crisi del petrolio alla fine del 1973, quando per alcune domeniche le strade delle città furono vietate alle automobili e, d’un tratto, si riempirono di bambini che correvano, tante biciclette e famiglie che si riappropriavano di strade e piazze finalmente libere. Quelle domeniche a piedi colpirono positivamente l’immaginario collettivo e sono certo che ebbero la loro influenza nella difficile battaglia di molti comuni per imporre isole pedonali nei centri storici di tante città, inizialmente invise ai commercianti e osteggiate da tanti.
Negli ultimi decenni diversi progetti sono stati sperimentati per liberare strade e piazze per il gioco dei più piccoli, delineare percorsi privilegiati per pedibus, permettere a bambini e ragazzi di raggiungere le loro scuole a piedi in autonomia, senza genitori. “La città dei bambini”, un progetto visionario che ha avuto purtroppo più fortuna in altri paesi che nel nostro, nonostante la tenacia di Francesco Tonucci, suo ideatore, convinto che “una città a misura di bambina e di bambino è una città che va bene per tutti”.
Tonucci in questi giorni ha lanciato una petizione rivolta all’ANCI, che chiede ai sindaci di regalare ai bambini una giornata libera in città. Sono convinto con lui che bambini e ragazzi saprebbero utilizzare al meglio questa apertura rispettando le regole di sicurezza, perché forte è il loro desiderio di rivedere, seppure a distanza, seppure coi volti parzialmente coperti, i loro compagni di scuola e di quartiere. Una gigantesca caccia al tesoro per ritrovare volti e corpi di amici per troppo tempo lontani riempirebbe strade e piazze di ogni quartiere, lontano dagli onnipresenti schermi che per troppo tempo ci hanno inghiottito tutti quanti.
Nel paese più vecchio del mondo (solo il Giappone vanta un’età media maggiore della nostra) riaprire le città con il gioco dei bambini che si riappropriano collettivamente di strade e piazze sarebbe un bel segnale per chi vuole ripartire cambiando direzione. Un bel sogno che può divenire realtà, se ci diamo da fare.
Franco Lorenzoni Maestro elementare, ha fondato nel 1980 e coordina, insieme a Roberta Passoni, la Casa-laboratorio di Cenci, un luogo di ricerca educativa ed artistica che si occupa di tematiche ecologiche, interculturali e di integrazione.
2020-05-05
Che bello ritrovare Franco Lorenzoni. Molte belle esperienze formative e didattiche con MCE.
Sempre interessante Franco Lorenzoni, viva i bambini.