Ho lavorato a scuola in epoca pre-lim, disponendo solo della lavagna luminosa (con lucidi preparati o acquistati), e della possibilità di proiettare documentari in biblioteca, previa prenotazione. La cosa che mi colpiva molto soprattutto su documentari, anche ben fatti, è che era difficile ai ragazzi fondere immagini, filo del discorso e tantomeno trama concettuale: La bella descrizione del sicrentismo culturale (quasi una sinestesia) cui si riferisce Iaia De Marco che piace tanto a noi adulti: vedere luoghi e immagini, ricostruzioni, alternare musica e voce, ascoltare i commenti di esperti, passare dalla fascinazione al rigore non risultava immediata ai ragazzi.
Un documentario abbastanza breve sull’apprendimento nei piccoli di scimpanzè che imparano a spaccare noci, a prepararsi fili d’erba per pescare termiti. L’apprendimento avviene tramite la madre, in una situazione affettiva protetta e calda che serve a sostenere i piccoli in vere e proprie crisi isteriche per la frustrazione di non riuscire.
Alla fine della proiezione: che avete capito, ragazzi? Provate a raccontare che avete visto e quali argomenti sono trattati nel documentario.
Professoressa, (in primis le femmine), come sono bellini i piccoli soprattutto quando vogliono essere abbracciati. Si, è vero sono molto bellini, ma intanto geograficamente dove ci troviamo? In una foresta. In che continente? Silenzio. Perché in questo documentario si parla di piccoli? Relativamente a quale loro comportamento? Silenzio. Forza, l’attenzione è centrata sulla loro capacità di imparare. Ah è vero non ci avevamo pensato. Ci insegna qualcosa il documentario nel confronto coi piccoli umani? Sgomento loro e disperazione mia. Almeno vi è piaciuto? Abbastanza, ma era un po’ lungo e in qualche momento ci scocciavamo.
Penso e ripenso a tutta la questione e a tentoni procedo così. Introduzione più ampliata di quanto avessi fatto in partenza e che soprattutto enucleasse da prima il tema centrale. Elenco di domande ai ragazzi cui dovevano rispondere durante la visione e l’ascolto. Quaderni, penne e lavoro attivo. Capivano molto meglio e i questionari erano fatti benino e in qualche caso proprio bene.
Nei ragazzi, la pluralità dei pensieri, linguistico, visivo, uditivo non si fonde naturalmente ed essi vanno educati a farlo. A scuola usano il canale linguistico, quello visivo su foto e post sui social, quello uditivo oltre che per ascoltare gli altri, è concentrato sulla “loro” musica.
Anche io ho guardato e esaminato almeno una piccola parte il materiale ottimo da utilizzare su Rai scuola, variegato, comprendente temi argomenti, modalità. Sono previsti livelli di partenza e di complessità diversi.
Per mia immensa ignoranza tecnica, non so se, integralmente o a spezzoni, possano essere inseriti nella piattaforma, stoppati ogni tanto e commentati da noi, altrimenti non ci resta che invitare i ragazzi a vedere delle cose scelte da noi, verificando se, anche in questo caso, giova vederlo noi prima, presentarlo e chiedere di fare operazioni attive di comprensione durante la lezione.
Nel mio uso, sia pur molto limitato di Zoom, sono però riuscita a ridurre più accettabilmente la mia faccia a un quadratino, condividendo lo schermo su materiale preparato ad hoc, un power point che può essere completato in simultanea, immagini da interpretare, o infine su una lavagna condivisa ottima per sintesi comuni o anche scrittura creativa.
Certamente Iaia De Marco parte dalla sua esperienza con studenti universitari, mentre i miei alunni a scuola erano sui 15 anni, mentre quelli di cui mi sto occupando ora a distanza sono addirittura sui 12.Questo sicuramente cambia le regole del gioco e della comprensione Sarebbe, però molto interessante capire gli studenti intorno ai 20 anni sono più affini a noi nel seguire programmi a n dimensioni o siano più simili ai loro fratelli minori.
Francesca Giusti
Francesca, trovo assai pertinenti le tue osservazioni e ci rifletterò. Il mio scopo era considerare la specificità del linguaggio di ciascun medium e quindi come utilizzarlo al meglio (e anche cosa utilizzare: programmi radio, televisivi, moduli di autoapprendimento per le lingue, ecc., e in che misura) in condizioni di emergenza che determino un uso esclusivo della didattica da remoto. Poi che dalle elementari all’università debba essere cura delle e degli insegnanti decodificare, orientare, selezionare i materiali non ci piove, non è che immaginassi una delega alla RAI, ma resta, a mio avviso, importate cogliere in positivo l’opportunità di un’esperienza estrema per riqualificare la produzione di un’azienda pubblica strategica, anche per la formazione indiretta.