Se qualche amico un anno fa mi avesse confidato che nel 2020 avrei dovuto rinunciare ad assaporare il gusto avvolgente del cappuccino caldo, come da sempre mi capita di fare la mattina al bar, non perché quell’attività aveva chiuso, come spesso succede a tante microimprese qui al Sud, ma perché bar, ristoranti, pub, tutti, erano stati fermati, non solo nella mia città ma nell’intero Paese e in tante altre parti di questo piccolo mondo, avrei avuto seri dubbi sul suo stato mentale. Forse lo avrei depennato definitivamente dal novero degli amici o dato in cura a qualche mio conoscente psichiatra, se avesse proseguito dicendomi che, se mi fossi recato in auto con mia moglie al supermercato, sarei stato fermato dalla polizia, per il mancato rispetto del divieto di viaggiare in due in auto e che mi sarebbe stato impedito di varcare le cinta murarie del mio luogo di residenza, pena la quarantena.


Sappiamo tutti che, a causa della pandemia in atto, la situazione in cui siamo, nel momento in cui scrivo, è questa in Italia e in tante altre parti del mondo. E quel che solo due mesi fa appariva paradossale, rientra adesso in un’inquietante normalità, accettata da tutti: un segnale, una conferma della plasticità della mente umana in condizioni estreme!
Vediamo, quindi, sui mezzi tradizionali d’informazione e sui social network da settimane riversarsi uno sciame sismico di notizie vere o presunte, in un crescendo stressogeno, che viaggia parallelo con le impennate della curva epidemica del virus e con la sua correlata paura. Non aiuta, poi, la circostanza che la nostra classe dirigente in questo momento drammatico continui a rintuzzarsi errori e responsabiltà; che l’informazione italiana abbia avuto l’occasione storica di mantenere finalmente un’equidistanza nel giudizio di fatti e azioni del c.d. ”decisore politico” e non l’abbia fatto.

Ma se questo, in larga parte, era prevedibile, lo è stato un po’ meno quell’eccesso di distinguo, di pareri difformi e scarsamente omogenei fino alla polemica o ai limiti della rissa, che si sta registrando presso la nostra stessa comunità scientifica su tanti aspetti ancora poco chiari della pandemia da Covid 19, con il risultato di una drammatica amplificazione dello stato di angoscia nella popolazione, in cerca, come non mai, di punti saldi cui ancorarsi.
È così che, in questo momento, complicato per la nostra stessa esistenza, in grado persino di condizionare i nostri sogni o i nostri incubi notturni, appare quasi un imperativo categorico mantenere salda una residua capacità di analisi. Il contenuto essenziale, le parole chiave attraverso le quali fotografare l’attuale stato di cose mi è venuto di trovarle in fragilità e fallimento.
Ecco, se penso a quel che stiamo vivendo oggi, non posso non riflettere sulla nostra condizione di essere umani e non trovo nulla di più calzante delle parole scritte da Citati nella biografia di qualche anno fa su “Leopardi”, nel capitolo su “Dialogo della Natura e di un Islandese”. Dice Citati, interpretando il pensiero leopardiano ”l’uomo ha troppo appetito, egli si procura un’infinità di bisogni, la Natura é lapidaria, inimitabile, indiscutibile: nessuno potrebbe togliervi o aggiungervi qualcosa. La Natura non mira alla felicità o all’infelicità degli uomini e l’uomo non è, mai, un suo fine: semplicemente non gli bada, non gli pone attenzione. Quando offende un uomo qualunque con la morte, non se ne accorge; e non si accorge neppure se gli dà piacere, e non si accorgerebbe nemmeno se uccidesse ed estinguesse tutta la razza umana. Essa è tanto indifferente quanto cieca. Non sa quello che fa. Non sa chi perseguita e perchè lo perseguita. Quando esegue il suo progetto, di cui ignora essa stessa le ragioni, agisce con un’ammirabile precisione ed economia di gesti.


Se la fragilità appare una condizione intrinseca del genere umano, da qualche tempo è sembrata, però, essere stata bandita dal nostro vocabolario come esplicita ammissione, quasi ci si vergognasse di essa, così presi a mostrare il lato maschio, muscolare, mandibolare del nostro essere. Una falsa impressione di sicurezza si è impadronita non solo delle classi dirigenti ma della gente comune. Un castello di sabbia fatto di molte certezze facilmente dimostrabili e, soprattutto, “condivisibili”. Lo dicono in tanti: le professioni, le competenze sono state, da qualche anno, derubricate, sostituite da una formazione pret à porter scaricata su google da magliari e smanettoni della tastieria, (in)utile a creare un gran numero di post “fichi” con tanti like di consenso. Ancora nelle prime concitate fasi della pandemia un amico F.B. mi inviava notizie su di un supposto vaccino anticovid proveniente da Israele, commercializzabile, a suo dire, già ad aprile (di quest’anno eh!). E io a dirgli che no, che prima di essere somministrato alla popolazione un vaccino deve superare tre fasi, che queste fasi sono lunghe, che complessivamente durano un paio di anni e che, nella situazione in cui ci troviamo, il periodo di sperimentazione si poteva accorciare di qualche mese, ma che prima del prossimo autunno-inverno proprio non se ne parlava.


Coi corpi ancora caldi in tanti obitori di Ospedali e presso tante Case di Cura per Anziani non ci si può non chiedere se, lungo la filiera delle decisioni che si è inanellata nella vicenda pandemia Covid 19, si siano registrati ritardi,omissioni o veri e propri errori. Lungi da me dal voler individuare precise responsabilità (non è il mio compito e non sarei nemmeno in grado di farlo) e tenendomi lontano da ogni operazione, tentata anche in queste ore, che ha più il sapore dello sciacallaggio (come l’ingiustificata polemica sul confronto tra i diversi livelli di efficienza nei modelli organizzativi dei servizi sanitari presenti tra le regioni del Nord e del Sud), è innegabile che qualcosa non abbia funzionato.
Qualcosa non è andata nel verso giusto nella stessa OMS: quando ha dato l’allarme, per quel che stava accadendo a Wuhan, con quasi tre mesi di ritardo (ricordo che da una ricostruzione filogenetica del virus si fa risalire alla metà di ottobre del 2019 l’insorgenza dei primi casi d’infezione Covid19) ,come ritardo c’è stato nel definire pandemia un’epidemia che aveva l’impronta di pandemia già dall’inizio; qualcosa si è inceppato a livello operativo nella pubblicazione di un protocollo per l’utilizzo dei D.P.I., nella errata indicazione dell’uso dei tamponi e soprattutto è mancato il controllo sull’effettiva operatività nei Piani Pandemia implementati nei singoli Paesi.


Ha fallito il nostro Stato per non aver saputo tutelare la salute (come solennemente indicato all’art. 32 della Costituzione) dei propri cittadini
e in particolare delle fasce più deboli di questi, i soggetti anziani, che sono morti, a migliaia in forma anonima e privi anche del conforto dei propri cari, negli ospizi, nelle case di cura, negli ospedali. Ma non tutto è andato bene nemmeno sulle linee strategiche da seguire negli scambi commerciali, laddove ha affidato a Paesi con tradizioni e abitudini così lontane dagli standard occidentali ingenti e strategiche produzioni industriali. Non sempre hanno visto giusto i nostri precedenti Governi non contemplando come pre-requisito per l’accreditamento dell’ospedalità privata quello di dotarsi di adeguati servizi di pronto soccorso, emergenza-urgenza e terapia intensiva. O quando non hanno riempito di modelli organizzativi fattuali un Piano Pandemie, che è rimasto lettera morta, una bella addormentata nel cassetto di qualche funzionario del nostro Ministero. Mentre il virus da settimane circolava imperterrito in Lombardia ha fallito l’attuale Governo nel creder di poter limitare il numero di contagi semplicemente bloccando i voli dalla Cina, mentre Berlino attrezzava i propri ospedali (già, da anni, dotati di un numero di posti letto nei reparti di terapia intensiva incredibilmente più alto di quelli del nostro povero Paese) e addestrava i propri medici del territorio con protocolli d’intervento per diagnosi precoci. Non sempre all’altezza si sono mostrate alcune regioni e alcuni sindaci, che sono apparsi, all’inizio, troppo preoccupati a lisciare il pelo al proprio elettorato o a ridurre l’impatto economico di Covid19 e, poi, presi dal panico, hanno assunto decisioni spesso contraddittorie, inefficaci, tardive, ansiogene. Non si è mostrata all’altezza l’UE che è apparsa tentennante, egoista, a tratti, prevenuta nei confronti del nostro Paese.


Certo il disagio, la sofferenza, la lontananza di affetti imposta potrebbero farci scivolare nella retorica o far confluire tutto nel delta paludoso di parole scritte adesso, quando tutto è successo. Ma credo valga la pena di tirare un attimo il fiato, di fare un profondo respiro e dire che quel che sta succedendo era già tutto scritto, e che quel che sta accadendo poteva essere, forse, in parte prevedibile. Vi confluivano, inopinatamente, una serie di eventi ed occasioni negative che si andavano addensando, come nubi minacciose, sul nostro pianeta: il cambiamento dei fattori climatici, il riscaldamento del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento degli oceani, la desertificazione progressiva di ampi territori, la tropicalizzazione di altri, l’incremento delle polveri sottili, l’ampliamento del buco di ozono, il progressivo impoverimento delle risorse naturali con il disboscamento selvaggio, la riduzione delle riserve di petrolio accompagnati a una esplosione demografica degli stati del c.d. blocco BRIC del pianeta (Cina e India in primis). Non era per niente improbabile che , prima o poi, tutto questo ci avrebbe presentato il conto. Un conto salato come evocato da Paul Roberts,che già nel 2008, sinistramente profetico, ne “La fine del cibo” preconizzava nei decenni successivi la possibilità di uno scenario da tempesta perfetta.
Quasi letteralmente, scriveva che era giunto il momento di esercitare un maggiore controllo sui fattori di produzione globali o saremmo stati costretti a inventarci una sorta di km zero non solo per le derrate alimentari ma per tanti altri fattori di produzione anche in settori strategici.

I virus emergenti si celano ai margini dell’industria alimentare da decenni, soprattutto nei Paesi del Sud-Est asiatico e in Cina. L’incubatoio originario di questi virus (influenzali), ma anche di altri virus sono gli uccelli acquatici selvatici. Le catene alimentari si sono spinte negli habitat selvatici, l’intersezione è avvenuta nelle immense terre acquitrinose utilizzate come risaie. Gli agricoltori portano le proprie anatre domestiche nei campi a mangiare i chicchi caduti nell’acqua, nelle stesse distese paludose dove si nutrono gli uccelli acquatici migratori, molti dei quali portatori di virus. Nei volatili ammalati,con un sistema immunitario in overdrive, i polmoni, respirando affannosamente, immettono nell’aria e a contatto con l’acqua centinaia di miliardi di particelle virali che infettano anatre, polli, creando le condizioni per fare il salto di specie (spill-over) e infettare l’uomo. Questi animali vengono, poi, venduti soprattutto vivi nei wet market della Cina. Una volta che un virus zoonotico (come il Covid 19 o anche il virus dell’influenza aviaria *) riesce a diventare sia letale che trasmissibile agli esseri umani i risultati possono essere devastanti. I ricercatori sanno che i virus aviari sono in costante mutazione, essendo il virus in grado di riassortire il proprio materiale genetico, prelevandolo anche da altre specie animali, dai maiali ma anche dagli esseri umani. Questa loro capacità non solo permette ai virus di creare una nuova progenie dotata di incredibili abilità ma conferisce alla selezione genetica un livello di complessità tale da vanificare la maggior parte dei livelli previsionali e rendere difficile per i ricercatori il compito di prevedere quando tale progenie potrebbe fare la sua comparsa…

Non esistono certezze nè sul quando avverrà tale mutazione nè sul livello di gravità della prossima pandemia, la certezza, c’è , invece , sul fatto che si verificherà… La Banca Mondiale stima per una pandemia come la Spagnola del ‘70 milioni di morti in tutto il mondo e migliaia di milioni di dollari di danni economici. Anche una pandemia moderata ucciderebbe 1,4 milioni di persone e costerebbe 330 miliardi di dollari (stime di 12 anni fa*)…Le paure più grandi si concentrano sulla Cina, dove il lavoro per arginare la diffusione di questi virus è carente. I critici sostengono che il Ministero Federale dell’Agricoltura, attaccato per anni per aver lasciato che la crisi finisse fuori controllo, ora fornisca resoconti sistematicamente sottostimati sulle epidemie così da dare l’impressione di avere in pugno la situazione. Nonostante i ricercatori cinesi abbiano cominciato a produrre energicamente nuovi vaccini, il governo non ha la capacità di monitorare gli oltre 10 miliardi di somministrazioni che servirebbero ogni anno, rilevando nel contempo il modo in cui il virus sta cambiando sul campo. Ma la ricerca virale non è il solo fattore della sicurezza alimentare che appare debole in Cina. Ci sono gravi carenze negli standard igienici a partire dagli stabilimenti, alle procedure, ai controlli nel settore dell’alimentazione umana, animale e mangimistica. E questi limiti, impensabili nei paesi occidentali, giustificano il basso costo delle derrate alimentari provenienti dalla Cina…


Il cibo è stato una sorta di cordone ombelicale tra gli esseri umani e il regno fisico, naturale, una vera cinghia di trasmissione tra soggetto che consuma e regno fisico che si fa consumare. Riducendo il legame tra questi due fattori ci siamo progressivamente allontanati dal mondo reale. L’erosione del suolo, la percolazione dell’azoto hanno costituito un incredibile moltiplicatore per derrate alimentari sempre più contaminate, creando un fosco presagio per sfide sociali, culturali e psicologiche future…
Nell’affidare il nostro cibo alle attenzioni di qualcun altro, troppo lontano da noi, abbiamo ceduto inavvertitamente quote di controllo della nostra stessa vita. Il cibo una volta oggetto supremo di ambizione e volontà sembra, sempre più oggi,essere una cosa che “ci capita”. La trasformazione del sistema alimentare non è stato un processo casuale e inevitabile, ma di fatto è stata guidata e plasmata da una delle forze umane più potenti e brutalmente efficienti: il mercato. Noi dovremo aumentare il numero di decisioni da prendere che possano tornare sotto il nostro pieno controllo.
*aggiunte dell’Autore
Forse era arrivato il tempo perchè l’umanità operasse un salto. Era stato preconizzato per l’inizio del secolo, è avvenuto nell’anno bisestile 2020.
Da più di un mese siamo costretti a casa, fermi, mentre fuori imperversa una tempesta che si va troppo lentamente spegnendo. Fra poco ci verrà chiesto di camminare per mesi su una sorta di sottile lastra di ghiaccio e noi dovremo mostrare tutta la nostra bravura a non farla spezzare. Per qualcuno questa sfida varrà la vita! Se mi si chiede se sono speranzoso, io dico di si. Ma la speranza non è una strategia. Auguri a noi tutti.

Giancarlo Durante Medico-Chirurgo

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2 commenti

  1. Veramente un ottimo lavoro. Complimenti all’autore.

  2. Complimenti al dott. Durante, ottima analisi in cui ha trattato con competenza una tematica drammatica ed attuale, consentendo ai lettori comuni, come il sottoscritto, di comprendere concetti utili a sviluppare serie riflessioni su quel che sta succedendo… Grazie.

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