Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che introduce il nuovo strumento dei Recovery Bond, obbligazioni garantite dal bilancio europeo, mentre è stato respinto un emendamento dei Verdi che proponeva di mutualizzare una quota consistente del debito da emettere per contrastare le conseguenze economiche dell’epidemia.
Non è una decisione vincolante per la riunione del Consiglio dei Ministri che, il 23 aprile prossimo, si riunirà per deliberare su questo tema delicato, ma è un’indicazione che evidenzia la necessità di un intervento da parte comunitaria per potenziare le risorse disponibili per i paesi più colpiti e calmierarne il costo, rilanciando le funzioni solidaristiche in ambito comunitario.
Tale modalità, di mutualizzare le sole garanzie e non il debito che ne scaturisce, è la stessa già prevista per tutti gli strumenti (BEI, SURE e MES) finora attivati per far fronte agli effetti, sanitari ed economici della pandemia.
Quello che non si vuole condividere è il debito pregresso.
Tutto ciò in uno scenario di recessivo su scala mondiale, come evidenziato dall’Outlook del Fondo Monetario Internazionale (2020), con l’economia mondiale che perderà nel 2020 il 3% della ricchezza prodotta, con le perdite maggiori previste per le economie avanzate (-6,1%), tra cui l’area euro (-7,5%), con i peggiori risultati per Grecia (-10%) e Italia (-9,1%).
Un quadro generale sconfortante, determinato dalla chiusura delle attività produttive, come antidoto alla diffusione del contagio e a un’eccessiva pressione sulle strutture sanitarie. Misure che hanno anche prodotto una riduzione del volume del commercio mondiale (-11% nel 2020) e del prezzo delle materie prime (-42% nel 2020).
Come uscirne? Il FMI propone un’ampia cooperazione multilaterale per garantire l’espansione di spesa pubblica per l’assistenza sanitaria per i Paesi con problemi finanziari, così come per la successiva fase di ripresa. Le risorse totali messe a disposizione dalla UE assommano a 540 miliardi di euro tra interventi dei programmi BEI per 200 miliardi da rivolgere alle PMI, del MES per 240 miliardi e del SURE per interventi di sostegno alla disoccupazione, oltre all’acquisto della BCE di titoli pubblici dei Paesi membri per 750 miliardi, rinviando la definizione di un fondo e un piano per la ricostruzione economica.
Al di là della polemica sulle condizionalità del MES, rimane il problema che queste risorse non solo sono ancora insufficienti, ma, trattandosi di prestiti, alimenteranno la crescita del rapporto Debito/PIL, già nettamente diversificato tra i Paesi del Nord e quelli dell’Europa mediterranea.
Mentre i principali paesi del Nord Europa (Olanda, Germania, Finlandia e Austria) presentano una media del rapporto Debito/Pil del 59,3% con la punta max dell’Austria al 69,9%, i paesi dell’Europa mediterranea (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) presentano una media del 131,9%, con la punta max della Grecia al 175,2%.
La sospensione del Patto di stabilità consente di aumentare deficit e debito in rapporto al Pil senza incorrere negli strali della Commissione UE, ma al di là della “stupidità” dei parametri di Maastricht, la crescita dell’indebitamento al 155% del Pil, come previsto dal FMI per l’Italia, crea problemi di costo e sostenibilità del debito.
Questi dati ci dicono che, se la crisi è simmetrica nei suoi effetti, non lo sono le condizioni economiche in cui versano le diverse economie.
Differenze che possono condizionare l’efficacia degli stessi interventi europei.
Già nella crisi finanziaria del 2007 non solo si verificò un disimpegno degli investitori internazionali dai titoli sovrani dei Paesi del Sud-Europa, ma anche uno spostamento dei fondi liquidi depositati nelle loro banche verso i Paesi core (Germania, Austria e Olanda), con effetti sul costo del denaro per imprese e famiglie, penalizzando quelle meridionali a favore di quelle del Nord-Europa.
Cosa succederà quando il rapporto Debito/Pil salirà vertiginosamente con l’aumento del debito e la caduta del Pil? Rivedremo ancora una fuga d’investitori esteri e dei risparmi depositati nelle banche dell’Europa meridionale? A questa domanda si può già rispondere positivamente, perché i target2 (sistemi di pagamenti interbancari) evidenziano una perdita di 492 miliardi (107 miliardi in più a marzo 2020) dall’Italia e un aumento dello stesso target tedesco di 113 miliardi (Banca d’Italia, 2020).
Un tale scenario è il risultato del mancato completamento dell’Unione europea, ferma alla moneta unica e all’unione bancaria senza un completo assetto federale e una Banca centrale completa nelle sue funzioni e senza coordinamento con le politiche fiscali.
In tali condizioni, chiedere di monetizzare il debito da parte della BCE, acquistando bond governativi, contrapponendovi l’aut aut della possibile uscita dalla UE, appare come un’arma spuntata di pressione. A meno che di essere disposti a correre avventure, chiedendo sostegno finanziario a Russia, Cina o USA.
Se non è questa la prospettiva che si ha in mente, allora bisogna continuare a negoziare con la UE e tessere la rete di alleanze per ottenere maggiore sostegno, evidenziando come un potenziale default italiano avrebbe conseguenze troppo rilevanti per la vita e le prospettive della stessa Unione. L’Italia non è la Grecia, per dimensione e importanza della sua economia e – un suo crollo – potrebbe rappresentare il disfacimento del progetto di unificazione europea e indebolire la stessa Unione nello scenario della globalizzazione.
Deve cambiare registro l’Unione europea, prendendo atto delle crescenti diseguaglianze nei redditi, scaturenti da potenti economie di agglomerazione che, nelle aree forti, attirando ulteriori risorse (finanziarie e di capitale umano) dalle aree deboli, in un’ottica di “causazione cumulativa”, non hanno dato luogo a processi di convergenza, bensì di divergenza.
La complementarietà tra nuove tecnologie ICT e livello d’istruzione dei lavoratori, si è basata sul ruolo vincente delle grandi aree urbane, con una concentrazione di lavoratori con skill e salari elevati (Ottaviano, 2019), smentendo l’originaria impostazione comunitaria centrata su una rete di città piccole e medie.
La UE deve capire che non è più sufficiente la sola politica monetaria espansiva per rilanciare l’economia europea, quando in condizioni di tassi d’interesse bassi o negativi gli investimenti non decollano.
Deve cambiare registro anche l’Italia, individuando i fattori che pongono la crescita italiana alla coda dei paesi europei, con il Mezzogiorno prigioniero delle sue luci e ombre, con un Centro-Nord inserito nelle Catene Globali del Valore limitate all’area regionale europea, come fornitore di macchinari e componenti della Germania, perché limitata dalla dimensione ridotta delle sue imprese. Così come vanno ricalibrate le politiche economiche per lo sviluppo meridionale composte, prevalentemente, di trasferimenti e scarsi investimenti pubblici (Svimez, 2019), oltre a sprechi, dispersione e mancata progettazione e spesa dei fondi delle politiche di coesione.
Si può ragionare su come ridurre la dipendenza dai mercati internazionali per la collocazione dei nostri Bond, cercando di attivare una maggiore partecipazione dei risparmiatori italiani al loro acquisto.
Va però tenuto presente che i risparmiatori italiani sono privi del requisito culturale dell’obbedienza che caratterizza i giapponesi, con i residenti nazionali che detengono oltre il 90% dei titoli pubblici, anche a fronte di tassi bassi, zero o negativi, che ha consentito al governo nipponico di poter fare contemporaneamente politiche monetarie e fiscali espansive, raggiungendo un rapporto Debito/Pil del 250%, senza temere il giudizio dei mercati internazionali.
Si consideri, però, sia il decremento del tasso di risparmio netto degli italiani e sia la crescita della loro preferenza per la liquidità, a fronte della notevole incertezza economica.
Potrebbe essere auspicabile un prelievo patrimoniale, giustificato dalle crescenti disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e dei redditi, ma di cui andrebbe valutato il costo della perdita di consenso elettorale, visto le stime sull’orientamento del voto che già privilegiano la destra.
Al di là di misure tampone, quello che è prioritario per l’economia italiana è la ripresa di un orientamento strategico della nostra industria nell’adozione d’innovazione e nel suo trasferimento alle PMI per innervare di tecnologia i prodotti del nostro Made in Italy, di politiche infrastrutturali e d’investimenti pubblici in sanità, ricerca e sviluppo ed istruzione abolendo sprechi e privilegi, eliminando le barriere alla segregazione territoriale e sociale per combattere la crescita delle povertà vecchie e nuove, ma – soprattutto – nella collocazione internazionale del sistema Italia – ritrovando una collocazione internazionale in grado di giocare un ruolo attivo e non passivo nei mercati internazionali, a partire dall’area mediterranea.
Riferimenti bibliografici:
Banca d’Italia, 2020, Bollettino Economico, n.2, Roma.
International Monetary Fund, 2020, World Economic Outlook, sito web.
G. Ottaviano, 2019, Geografia economica dell’Europa sovranista, LaTerza, Bari-Roma.
Svimez, 2019, Rapporto 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna.
Achille Flora è Docente di Economia e politica dello sviluppo nell’Università L’Orientale di Napoli.
Bene, questo articolo mi ha dato la possibilità di poter seguire con più partecipazione consapevole la politica italiana ed europea dei prossimi giorni….sperando che possa diventare Politica responsabile e veramente orientata al bene comune.