L’epidemia del Covid-19 sembra aver appena imboccato un rallentamento che ci lascia ben sperare, ed ecco riemergere, nell’urgente riflessione sulle misure da adottare per scongiurare le temute catastrofi economico-sociali, le vecchie, stantie, inossidabili posizioni dei patiti del mattone e del cemento.
Ha cominciato alla fine di marzo l’on. Salvini in una intervista ad un quotidiano della destra, lanciando – quale idea strategica per il rilancio dell’economia italiana – una proposta di “pace edilizia” (affiancata ad una “pace fiscale”) consistente, ovviamente, nella celere conclusione delle vecchie pratiche di sanatoria, in un nuovo provvedimento di condono (per gli abusi minori, si è affrettato a precisare), e soprattutto un “nuovo patto sociale … lasciar fare le imprese: via tutta la burocrazia, tu fai e poi io controllo, non l’inverso come è oggi”.
Ha proseguito ai primi di aprile, più accortamente, l’assessore all’urbanistica della Campania, arch. Discepolo, in un intervento su Il Mattino intitolato “La spallata al groviglio di norme che serve a far ripartire l’Italia”, nel quale affermava che “se qualcosa frena la nostra capacità creativa e realizzativa è ormai chiaro che sono la pletora di leggi, di regolamenti, di procedure e passaggi burocratici” e proponeva quindi che “si semplifichi tutto ciò che riguarda il rilancio dell’edilizia”. Curiosamente, in un altro passo sembrava contraddirsi: “per affrontare la difficile fase della ricostruzione sarà esiziale il mettere da parte ogni impedimento all’agire, al fare presto e bene”; ma l’intero testo dimostra che si è trattato solo del lapsus che gli ha fatto scrivere “esiziale” al posto di “essenziale”.
Se appena ci si rifletta, ci si rende conto di quanto queste proposte sembrino venire da un’altra era.

Negli anni più recenti è andata crescendo la consapevolezza che i modelli neoliberisti di sviluppo basati sulla crescita quantitativa debbono essere radicalmente ripensati. La dipendenza soprattutto da tali modelli dei mutamenti climatici che stanno mettendo in pericolo il futuro dell’umanità è contestata solo da masse ignoranti al seguito di demagoghi impudenti. Ed è evidente che i nuovi paradigmi da elaborare non possono semplicisticamente comportare la riduzione delle regole, ma postulano, al contrario, più antiveggenza, più sensibilità, più complessità. In una formula, più governo del territorio e dell’ambiente.
L’esperienza della pandemia, a sua volta, sta facendo emergere alcune prime inoppugnabili indicazioni: sono sotto i nostri occhi, ad esempio, le conseguenze nefaste dell’indebolimento delle strutture sociali solidali a vantaggio di lucrose iniziative private.

Se ciò risulta lampante per quanto riguarda i ripetuti tagli della spesa per la sanità pubblica, non è però meno vero per tutto il sistema di norme europee che hanno portato alla introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, a garanzia della subalternità dei diritti di cittadinanza rispetto al prepotere degli interessi economici. Né mancano, nel quadro degli studi da condurre sulla vicenda dell’epidemia in Italia, ipotesi analitico-valutative che richiedono ancora accertamenti e verifiche: ad esempio, circa le correlazioni fra degrado ecologico e vulnerabilità sanitaria.
Nel contesto attuale, insomma, il programma della massima libertà per le iniziative (meglio se private) delle costruzioni, lungi dal risultare innovativo, si rivela solo il prolungamento artificioso di ricette del passato che hanno pesantemente concorso a produrre le difficoltà odierne. Non diamogli spazio alcuno.

Alessandro Dal Piaz Urbanista, Docente Universitario

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1 commento

  1. È difficile non convenire sulle preoccupazioni espresse. Altrettanto difficile è governare il territorio nelle condizioni in cui è ridotto.
    Più che alimentare un dibattito “frontista” tra le due difficoltà è forse utile esplorare cosa c’è IN MEZZO, tra una produzione normativa ideale e la sua attuazione, tra il dire e il fare.

    In mezzo c’è un Sistema pubblico frantumato e settorializzato, fatto di Norme, Procedure, Apparati, Programmazioni, che non comunicano tra loro, nemmeno quando dovrebbero perchè agiscono su un medesimo territorio.
    In mezzo c’è una classe dirigente (politica e amministrativa) che si è formata negli anni di dominio incontrastato del liberismo selvaggio (ne parla De Nardo su questa stessa rivista).
    In mezzo ci sono attori sociali che vogliono operare rispettando le norme e altri che si avvalgono proprio delle confusioni del sistema pubblico per continuare la rapina delle risorse collettive.
    In mezzo c’è la crisi degli organismi intermedi, quelli istituzionali (i Comuni) e quelli di rappresentanza sociale e, dunque, la scarsa trasmissione dei bisogni delle comunità ai centri di decisione politica.
    In mezzo c’è la scarsa pratica dei moderni principi democratici di Partecipazione, Integrazione, Sussidiarietà, … “dall’alto non si atterra, dal basso non si decolla”

    Si potrebbe continuare, ma credo che basti per dire che ben oltre le posizioni contrastanti tra due persone -entrambe da me stimate- c’è un vuoto che richiede di INTEGRARE i saperi e le intelligenze, alla ricerca di soluzioni operative di cambiamenti che possano essere efficaci nella situazione data.
    Apprezzo molto lo sforzo che InfinitiMondi sta compiendo in questa direzione.

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