La Pandemia ha portato molti paesi ad optare per un “lockdown” ossia il confinamento delle persone. Questa opzione di limitare la mobilità è una scelta necessaria per evitare la propagazione del coronavirus. Un addomesticamento forzoso a cui non siamo abituati e che crea disagi nel nostro “dentro” ontologico. Pare che molte persone siano colpite dalla solitudine e abbiano bisogno di supporto psicologico. Si sa l’essere umano non è un vegetale ma un animale sociale. E in questo momento è la socialità estesa nello spazio che viene sospesa. Senza i social network molti resterebbero fuori dai circuiti di una socializzazione. Stiamo vivendo una quotidianità che forse solo in carcere si potrebbe trovare. Ma al di là degli effetti del confinamento sulle persone, la “sosta forzata” ha comportato anche la riduzione al minimo delle attività produttive e dei servizi. Tutto, o quasi, è fermo ad eccezione di alcune attività essenziali.
Si tratta di una situazione inedita nella storia recente che ci riconsegna in maniera così immediata e crudele i termini della nostra dimensione ontologica. In attesa di poter tarare con precisione gli effetti molteplici di questo fenomeni, credo valga la pena provare un ragionamento su quel che stiamo vivendo e sugli scenari possibili del dopo pandemia.
In questa ottica, vorrei partire da considerazioni inerenti la fenomenologia del confinamento e soffermarmi sulle categorie che esso ci rimanda: il nostro rapporto con lo spazio e il tempo. E così, mi è venuto in mente alcune riflessioni fatte da eminenti pensatori su questi temi. Uno fra tutti Martin Heidegger con il suo noto lavoro su Tempo (zeit) ed Esistenza (sein).
Secondo il noto filosofo tedesco il tempo non è tempo oggettivo della scienza né tempo soggettivo della conoscenza, ma è tempo dell’esistenza. Per lui il tempo è modalità dell’esserci dell’essere. È il modo non soltanto attraverso cui l’esserci conosce il mondo ma sceglie di esistere nel mondo. Questi assunti heideggeriani mi consentono di fare una lettura ad ampio raggio dell’esperienza che stiamo vivendo in questo periodo di pandemia. Senza perderci in esercizi speculativi credo che si possa ricordare soltanto che Heidegger pone l’assunto assiomatico che l’essere progredisce e si manifesta all’umanità per mezzo del tempo. Il tempo diventa così un fattore costitutivo, un elemento cardine per regolare e spiegare la vita dell’uomo in senso strettamente ontologico. Senza disquisire oltremisura sul pensiero di Heidegger e ai fini del ragionamento che voglio fare, riterrei dall’insegnamento del filosofo tedesco che il tempo, nel suo senso originario, è “kairos” cioè momento buono per agire, per decidere. È questa la prospettiva che propongo per una lettura della situazione, con l’aiuto della distanza rispetto alla “routine” della nostra quotidianità che conforma la nostra stessa umanità, .
La pandemia potrebbe essere utile per aprire una riflessione seria sul senso del nostro esserci al mondo. Certo, bisogna aspettare la fine della pandemia per avere dati e indicazioni più nitide sulle sue conseguenze. Intanto è utile ragionare sul confinamento e sulla sosta per rielaborare le categorie di “spazio” e “tempo” non tanto in chiave filosofica ma in termini strumentali partendo dal nostro esserci al mondo ovvero il nostro essere in società. L’uomo si dice è un animale sociale. Ed è per questo nostro “essere in società” che il confinamento diventa di fatto un elemento di rottura rispetto all’organizzazione sociale. Questa dimensione accidentale va colta per una rivisitazione critica del nostro mondo e per migliorare il funzionamento delle nostre società. Una questione che si pone come necessità lungo una linea di riequilibrio dell’uso del tempo tra cittadinanza sociale e umanità. Se il funzionamento delle società contadine erano basate sul tempo naturale con i suoi cicli giornalieri e stagionali, le società moderne sono, dal canto loro, scandite dai ritmi di un tempo sociale formato dal produttivismo.
Il tempo è denaro. E il sistema ne fa uno strumento funzionale alla produttività. I cicli continui produttivi, la rapidità nella consegna dei beni e servizi e persino la determinazione della durata di vita dei prodotti (obsolescenza programmata), ogni istante deve essere capitalizzato per ottenere un qualche guadagno di produttività. Ma il paradosso della nostra organizzazione sociale è che si produce ricchezza in quantità a scapito della qualità della nostra vita. Infatti nella frenesia produttivistica del sistema siamo addestrati su un uso abnorme del nostro tempo individuale. La scansione delle attività in un ritmo ternario merita qualche considerazione.
La vita dell’individuo formattata secondo è segmentata in tre fasi: prima dell’età produrre, l’età produttiva e l’età della fuoriuscita dal sistema produttivo. E le giornate nell’età produttiva prevedeva 8 ore di lavoro, 8 ore di riposo e 8 ore per la persona. Forse questo modello andrebbe rivisto non solo perché con il progresso della scienza e della tecnologia è realistico pensare ad un aumento costante della produzione di beni e servizi. Credo ad esempio con la robotizzazione e la digitalizzazione l’intervento umano nei processi produttivi diventerà sempre più marginale. Queste innovazioni continue consentiranno di liberare molto tempo da restituire alla nostra umanità. In questa prospettiva occorre tematizzare la riorganizzazione del lavoro ovvero del tempo di lavoro magari dimezzando l’orario di lavoro e il tempo di lavoro. I sindacati e le forze politiche democratiche dovrebbero rilanciare una battaglia su questi temi. Mi permetto di dire che i tempi sono maturi per un nuovo modello di organizzazione e distribuzione del tempo di lavoro. Un nuovo Statuto del Lavoro dovrebbe favorire non solo la riduzione dell’orario di lavoro ma anche la ridistribuzione del tempo di lavoro stabilire 4 ore al giorno per 4 giorni la settimana. Un altro elemento coerente con questa proposta è quello di dare 4 mesi di ferie (uno ogni tre mesi lungo i cicli stagionali). La liberazione del tempo avrebbe molti vantaggi tra cui la possibilità di eliminare la disoccupazione tramite un impiego maggiore di lavoratori. Già da adesso un posto di lavoro condiviso tra due persone in part-time alternati mattina/pomeriggio. Per i sistemi a ciclo continuo si potrebbe prevedere una moltiplicazione dei turni (6 turni di 4 ore). Naturalmente una riorganizzazione del sistema in questa chiave dovrebbe essere accompagnata da una nuova fiscalità sociale nonché dalla definizione di meccanismi retributivi adeguati a partire dall’individuazione di un salario legale.
Forse le mie sono elucubrazioni e che il dopo pandemia sarà più nella continuità. Vincerà il passato recente. Il Sistema ripartirà allo stesso modo e con le stesse logiche che lo sottendono. Things as usual, direbbero gli anglofoni. Le umanità di ogni latitudine e attitudine rientreranno in caserma. Gli esseri umani oramai addestrati come macchinette di produzione. Perciò, tutti o quasi tutti cercheranno di lavorare per vivere. Se non lavori non puoi guadagnarti la vita. Ciascuno dovrà vendere il proprio tempo per comprarsi la propria vita. C’è chi ce la farà e chi non ce la farà. Qualcuno guadagnerà tanto e qualcun’altro avrà il minimo necessario. Ci saranno i molti che non troveranno lavoro. C’è chi non avrà quasi niente e chi si potrà permettere di vivere di rendita. È la drammatica verità di un sistema che concepisce la vita umana scandita sul ritmo della produzione per la proprietà privata. La riproduzione sociale andrà avanti e la vita delle persone ne sarà ancora condizionata in modo assoluto. Qualcuno diceva <> tant’è! Ma in questo sistema il confine tra Libertà e Schiavitù è molto labile. Se penso sia giusto lavorare per vivere non credo sia giusto vivere solo per lavorare. Siamo umani non dei robot allora riprendiamoci i tempi della nostra umanità. Viva la Rivoluzione!
Aly Baba Faye Sociologo, esperto di immigrazione.
bravo copain une belle analyse
Ciao Ali.La rivoluzione ci aspetta.Come diceva di se stesso
Marat:io sono pronto.Avanti.Luigi Agostini
Révolution y seras sûrement dans les comportements et façons de penser.
Pertinent Sig Aly Baba Sy
Bello! e, chissà, forse non così utopico come potrebbe apparire. Viviamo in un tempo inedito.
Révolution y seras sûrement dans les comportements et façons de penser.
Pertinent Sig Aly Baba Sy