di Gianfranco Nappi .
Non ci sono paragoni possibili con quello che stiamo vivendo oggi. Almeno per chi ha avuto la fortuna di nascere dopo la Seconda Guerra mondiale e di vivere in questa parte del Mondo.
E’ una rottura, una lacerazione profonda che riordinerà tutto, dopo, secondo altre gerarchie e priorità.
Non torneremo al prima come se niente fosse. Il prima non lo ritroveremo. Sarà un’altra cosa.
Quando in modo praticamente contemporaneo si diffonde una sofferenza così vasta e repentina in quasi tutti i paesi del Mondo, il modo in cui se ne uscirà segnerà di se’ profondamente quel ‘dopo’ che sarà necessariamente diverso dal ‘prima’.
C’è chi dice: ora bisogna combattere. Vincere la guerra. E poi potremo vedere come progettare il nuovo.
E’ la logica dell’emergenza. Esaltata all’ennesima potenza. Certo è difficile non condividere la valutazione che siamo in emergenza. E che occorrano decisioni forti, le più rapide possibili, le più coordinate. C’è una spinta fortissima verso la semplificazione delle catene decisionali, verso l’uno che decida per tutti, a garanzia di tutti. C’è una spinta al disciplinamento sociale fortissima. Ineliminabile in un passaggio del genere? Probabilmente ineliminabile.
E però, attenzione.
E’ da come affrontiamo oggi l’emergenza che si decideranno i caratteri del ‘dopo’. Non dopo.
Non è detto che in una situazione del genere debba vivere solo la spinta alla concentrazione senza o addirittura in contrapposizione a quella alla responsabilizzazione e alla partecipazione : proprio in una situazione del genere occorre scommettere sul meglio di un popolo, fare leva su di esso per fronteggiare ‘la minaccia’, il pericolo incombente e devastante. Unire nel profondo quello che il ‘virus’ sta separando e recludendo.
E’ una scelta. E’ una decisione dalle grandi implicazioni per il futuro.
Non c’è un prima e un dopo.
Nel come rispondo oggi costruisco i caratteri del mio dopo.
Non posso invocare i lanciafiamme contro i cittadini che corrono in un parco e poi non dire niente su milioni di lavoratori che sono costretti a lavorare ancora, in filiere produttive non essenziali e tante volte privi di ogni tutela per la loro e la nostra salute.
E per allargare lo sguardo anche oltre, vediamo come possano stareacasa i senzacasa? E a Lesbo che succede? E in una favelas brasiliana? E tra i paria indiani? E tra un po’, in quell’Africa Subsahariana già segnata da povertà infinite, cosa si può scatenare?
Esempi.
Vedo un correre fin troppo facile verso soluzioni ‘semplici’, ‘necessitate’, ‘oggettive’.
L’Ungheria dei pieni poteri a Orban è un residuo di passato che riemerge o una possibile anticipazione di futuro?
Attenzione. Facciamoci guidare, dico noi Italiani, anche in un passaggio del genere, dalla Costituzione. Ne siano avvertiti in primo luogo i Governanti a tutti i livelli.
Non rinunciamo ad uno sguardo più lungo.
Non bruciamo in questa emergenza anche la speranza di un Mondo che ha Infiniti Modi per essere diverso.
Mi piace fare un parallelo. Non so se esagerato. Ma è quello che io sento.
Nel cuore dell’Europa dominata dal nazismo, dalla sua legge brutale e violenta che invadeva vite, le mutilava, le eliminava, ne sospendeva ogni energia e che appariva invincibile proprio in quanto capace di colpire la speranza stessa che la realtà potesse essere diversa, proprio in quel fuoco che divampava ci furono tanti che riuscirono a coltivarla la speranza. Insieme ai combattenti in arme contro il nazifascismo.
Insieme a quelli che furono poi partigiani, partigiani essi stessi in tanti casi, ci fu chi non rinunciò ad un pensiero su un’Europa diversa. Dovevano sembrare pazzi. E probabilmente lo erano anche. Ma quelle pazzie concorsero in modo decisivo alla sconfitta di quel ‘morbo’ implacabile e ci consegnarono anche le idee e le impalcature di quella società democratica che andava oltre quella liberale: più ricca perché nutrita della partecipazione di quei lavoratori e di quel popolo che invece prima era tenuto ai margini.
Credo possa avere un senso ricordare questa lezione in queste ore. Non tanto per l’ieri. Ma per il domani che si sta edificando in queste ore di fuoco.
Grazie direttore,
mi hai sollecitato ad una “riorganizzazione lucida di pensieri e riflessioni” – soprattutto dopo aver visto “Report” (egoisticamente direi purtroppo) e aver saputo i fatti di Ungheria – consapevole di non voler semplificare e di non essere capace di dare “un ordine gestibile” al disorientamento che sembra volermi prendere all’improvviso-
Trascrivo alcune espressioni verbali ascoltate per radio qualche ora fa:
” In Ungheria pieni poteri ad Orban senza limiti temporali e annullamento di tutti i diritti civili”.
” Qui si fa l’Europa o si muore”
“Mettiamoci gli occhiali giusti”
“L’Europa è una passione fredda”