di Alberto Leone
Vivo lontano e seguo, dal mio osservatorio marocchino, il susseguirsi della vicenda italiana. E’ nella percezione di tanti che questo stato di emergenza che stiamo vivendo non può non incidere profondamente nei modelli di vita collettivi e di ognuno. Ma, nondimeno, l’atteggiamento della maggior parte di quelli che leggo, specialmente tramite Facebook, mi sembra non considerare i problemi che si stanno ponendo. Molti amici, ed anche membri della mia famiglia, sembra che stiano ancora cercando colpevoli andando indietro nel tempo fino a quando, alla fine, incontri il tuo nemico, quello che da tempo hai individuato come tuo nemico, piuttosto che porsi il problema del che fare, ora e dopo. Di chi è la colpa della fragilità del sistema sanitario pubblico? Chi ha chiuso gli ospedali nel Lazio? E poi i soliti attacchi alla politica, senza distinzioni, fatta solo di ladroni e disonesti. E molti miei amici, e parenti, insistono nel lamentarsi di quelli che vedono come i nuovi tiranni che vogliono controllare le loro vite. Ed il bello è che non si lamentano verso quelli ai quali hanno già firmato (con un semplice clic) liberatorie sull’utilizzo di tutti i loro dati personali (già abbondantemente utilizzati in politica in modo privatistico, leggi Cambridge Analitica) ma, in nome della privacy, si oppongono a qualsiasi intromissione dello stato nei loro affari privati. Se guardiamo alle cose con occhi dietro la testa, rivolti al passato, forse avranno pure ragione, nel senso che hanno vissuto gli ultimi 40 anni circa nello sviluppo di un senso comune sempre più frutto di una narrazione neoliberista, sempre più subalterno al venir meno di una capacità critica e più disponibile a delegare la politica a chi ne ha fatto una vera professione. Per esempio, non ho visto, in questi anni, una vera battaglia delle idee sul fine della tassazione e così dall’evasione generalizzata, perché è giusto non dare i miei soldi a quei ladroni dei politici, siamo passati alla flat tax, tolgo ai poveri per dare ai ricchi. Oppure, ancora, non mi sembra che il diritto alla privacy sia il frutto di battaglie operaie o studentesche e non ho visto grandi lotte di massa in difesa del servizio pubblico, dall’istruzione alla sanità e così via. Ma non voglio, e non si deve , colpevolizzare un cittadino/elettore che ha in pratica condiviso ed accompagnato col suo voto questi indirizzi. Si è trattato di una sconfitta epocale non di ideologie ma di valori, in cui ognuno di noi ha avuto la sua parte.
Facciamolo una buona volta quest’esame di coscienza, se vogliamo abbozzare una risposta all’altezza della situazione attuale e smetterla di recriminare. Negli anni passati, lo scenario politico ci è stato spesso presentato come scontro tra moderatismo e radicalismo, attribuendo una valenza del tutto negativa al secondo termine ed attribuendo tutto quanto di positivo ci fosse al primo, e poco ha contato che i moderati avessero l’abitudine di alzare il livello, anche verbale, dello scontro. Oggi bisogna riscoprire il valore del radicalismo inteso come pensiero radicale, capace di andare alla radice delle cose e questo è essenziale e necessario nell’epoca in cui la vita di ognuno di noi non sarà più la stessa. E questo non essere più la stessa dovrà fare i conti non solo con l’esperienza che stiamo vivendo ma anche con le novità tecnologiche con le quali abbiamo a che fare quotidianamente. Se i bisogni primari, che vogliamo e dovremo soddisfare, sono beni comuni (salute, educazione, acqua e cibo) dovrò usare, per elaborare e tentare di dare una risposta, strumenti diversi da quelli del secolo breve; la cassetta degli attrezzi deve essere aggiornata. Io penso che per elaborare le risposte bisogna essere radicali. Se la politica è e resterà l’arte del compromesso e della mediazione, il radicalismo deve tornare ad essere uno dei poli della dialettica. Mi sembra chiaro che non uso il termine radicalismo per richiami nostalgici, ma per cercare di utilizzarlo in chiave attuale, in un contesto di un mondo trasformato. E se voglio andare alla radice delle cose da ripensare non riesco che a vedere il bisogno di riflettere sul senso e contenuto della parola stessa di democrazia. La “democrazia” non è un concetto statico. La democrazia dell’ateniese Pericle non è la stessa che è nata con l’età dei lumi. La democrazia dei soviet è radicalmente differente da quella voluta dalla costituzione italiana.
Credo che la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, vissuta ed anche difesa, non sia più uno strumento adeguato al futuro che ci attende o attenderà i nostri figli. Se la conoscenza della nostra vita, i nostri usi e costumi, i nostri bisogni e desideri, sono stati già dati gratis et amore dei ai grandi providers, non possiamo riappropriarcene affinché diventino strumento di decisioni e controllo collettivo? Non ho una risposta, specialmente per quanto riguarda il metodo, solo, e qui concludo, penso che ci si deve, come collettività, appropriare della capacità di controllo su uso e contenuti di nuove tecnologie senza accondiscendere a caricature quali la piattaforma Russeau che null’altro è che una copia di Google, Facebook ed Amazon in sedicesimo.