CANCELLO ED ARNONE (Redazione) – Stiamo vivendo un periodo molto difficile – dice la coordinatrice del gruppo di Letteratitudini, Matilde Maisto. Abbiamo sin da subito annullato, con grande rammarico, i nostri impegni culturali, ben sapendo di dover fare al meglio la nostra parte, informando con onestà intellettuale, con sobrietà, con razionalità, con rispetto, tutte le persone e la comunità.
Intanto riflettiamo e ci sembra che sia come se un freddo sudario fosse calato sul nostro Paese, dal Nord verso il Centro e il Sud. E con esso una smisurata dose di angoscia mista a smarrimento e a sincera paura. Ma non possiamo lasciarci prendere dal panico né tanto meno possiamo rassegnarci all’inazione. L’epidemia non può e non deve portarci via le nostre certezze. Quelle di un popolo che ha fatto della resilienza la propria pasta costitutiva, della solidarietà lo strumento della rinascita, della coesione sociale e familiare il pilastro della vita comune.
Letteratitudini cerca di raccontare i fatti senza pregiudizi, ma con rispetto e compassione, cerca di mostrare la bellezza della solidarietà, ma anche il volto oscuro dell’indifferenza. Mette in luce il bene che uomini e donne di buona volontà sanno costruire anche nei momenti più drammatici, pur consapevoli che il male continuerà ad operare.
Ma soprattutto invita tutti ad esercitare la responsabilità personale e comunitaria dinanzi alla sfida lanciata dal Coronavirus con la propria adesione, non formale ma sostanziale, intelligente e persuasiva, alle durissime regole imposte per frenarne l’espansione. Perché il virus non l’abbia vinta.
E infine pregando, sia pure lontano dalla liturgia, come è giusto che sia stato deciso.
Oggi in televisione ho ascoltato il Vangelo di Giovanni 4,5-42: “Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta!
Una pagina meravigliosa il Vangelo di questa domenica, è uno straordinario paradigma dei possibili incontri fra le persone. Si tratta di un incontro fortuito, non programmato che diventa una rivelazione: di Gesù alla donna di Samaria e di lei a Gesù. Il luogo è il pozzo di Giacobbe dove Gesù si ferma, stanco del cammino, con la speranza di dissetarsi; la donna viene per attingere l’acqua. Ripensando ad incontri speciali della nostra vita e ai luoghi in cui sono avvenuti cogliamo la loro diversità: la casa, la campagna, la montagna, la scuola, il posto di lavoro, ma ugualmente l’ospedale, il carcere, il treno… e altri ancora.
Oggi il nostro incontro è con questo brutto momento, con queste ore scandite dalle notizie sconvolgenti inerenti il Virus che attanaglia la nostra vita e la nostra mente; tuttavia la preghiera ci salverà, Gesù ci aiuterà a comprendere e a superare gli enigmi e le incognite che incontriamo sul nostro cammino.
Fede, speranza e carità amici di Letteratitudini, ci rivedremo presto e saremo più forti e coesi di sempre!
Baci a tutti, conclude Matilde Maisto.
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RICORDI ITALIANI. Tra qualche anno ci ritroveremo tra le pagine dei libri di scuola e non so cosa verrà scritto. Ma so cosa ricorderò. Ricorderò che gli italiani sono stati definiti untori, da paesi come la Germania da cui proviene il paziente zero e del quale ha ben taciuto l’esistenza. Ricorderò i francesi che ci hanno deriso, poco prima di ‘puffare’ il virus. Degli americani che ci vogliono dar lezioni, mentre devastano gli altri paesi e lasciano morire i loro connazionali che non hanno l’assicurazione per curarsi.
Ricorderò anche gli italiani che scappano impauriti, quelli che non rispettano le direttive.e quelli irresponsabili. Ma soprattutto ricorderò quelli che non si sono potuti fermare un attimo neanche volendo. Medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, vigili del fuoco, farmacisti e parafarmacisti. Mi ricorderò dei commercianti e dei professionisti che invece hanno deciso di chiudere solo per coscienza civica, rischiando di non sopravvivere economicamente. Gli insegnanti di tutti i livelli, gli educatori e i genitori che cercano di orientare e orientarsi in questo caos. Della generosità di chi ha donato in favore degli ospedali.
Mi ricorderò di un paese come la Cina, che in molti abbiamo sottovalutato, darci un esempio incredibile di efficienza e disciplina e una prova di solidarietà e generosità veramente grande, che in pochi si sarebbero aspettati. E non possiamo dimenticarci dei cubani, detestati e colpiti dagli USA, che ci hanno fornito le loro eccellenze mediche.
Chissà se i libri di scuola racconteranno della vigliaccheria dell’Europa, dei tagli che abbiamo fatto alle colonne portanti del nostro paese, per ingrassare le casse di quei paesi che ci hanno letteralmente preso a calci nel sedere. Quando tutto sarà passato, perché passerà, ricordiamocelo tutti quanti che ci siamo rialzati, nonostante gli sgambetti. Rialziamo la testa e tendiamo la mano solo a chi ce l’ha tesa. Agli altri che resti solo uno stivale da guardare e lucidare e che sia tricolore naturalmente italiano.
Anna Coscino, insegnante in pensione
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DALLA PIANA DI MONTEVERNA. Ed ecco in questi giorni irrompere nelle nostre vite il coronavirus.
All’improvviso le vite di tutti noi sconvolte da un isolamento forzato che sicuramente sarà utile ad arginare il virus ma nello stesso tempo amplifica le ansie e le preoccupazioni.
L’Italia deve andare avanti, non può fermarsi! La salute prima di tutto poi il lavoro.
Lavoro in una grande azienda agro zootecnica ed in questo periodo sto lavorando, un lavoro in trincea, in prima linea. Infatti quotidianamente sono a contatto diretto con i fornitori e trasportatori di merci, molti dei quali vengono proprio dal Nord, dalla Lombardia.
È così che ci si sente, la paura del virus viene accantonata, bisogna pensare all’Italia.
Seppur munito di tutti i dispositivi di protezione individuale indispensabili e rispettando tutte le prescrizioni dei vari decreti, la paura ti fa compagnia, è dentro di te.
La grande consolazione deriva dal sapere di far parte di una squadra unita e compatta che ogni giorno da il massimo per lavorare in sicurezza e garantire il benessere alle bovine che alleviamo, finalizzato alla produzione di latte che nutre l’Italia.
Poco importa se si lavora costantemente in collegamento con territori che a causa del coronavirus sono diventati zone rosse, la consapevolezza di star contribuendo a far sì che l’Italia non si fermi mi da la forza di rimanere concentrato sulle attività lavorative e quando torno a casa mi dico: missione compiuta, anche oggi ho aiutato il mio Paese!
È proprio la responsabilità verso la società che ti senti addosso e porti come un indumento che pesa ma al contempo ti protegge che ti motiva ad andare avanti.
Viviamo un momento di grande fragilità amplificata rispetto al passato dal fatto che abbiamo perso la capacità di saper fare, oggi il cibo non lo produciamo in casa, lo compriamo.
Il progresso ci fornisce prodotti tecnologici quali personal computer, smartphone, app e social network che ci danno la possibilità da stare in contatto con ogni parte del mondo in tempo reale, già! Bello…! Ma tutto ciò ha contribuito a farci sentire fragili e soli davanti ai monitor dei PC ed agli smartphone…. e adesso… se per caso non posso andare al super market il pane come me lo procuro? E la pasta? La frutta e verdura dove la posso trovare? Un tempo non lontano i nostri nonni sapevano fare per cui ogni focolare domestico era una piccola azienda autosufficiente, si faceva in casa il pane, la pasta, le conserve, si allevavano animali da cortile, si confezionavano abiti, era la normalità, gesti sapienti tramandati da generazioni rendevano autonomi i nuclei familiari e la solidarietà era la regola.
Non parlo dei tempi passati per nostalgia, ma ne parlo con ammirazione verso persone che hanno fatto e subito la guerra, sono tornate alle loro case a guerra finita, hanno saputo ricostruire l’Italia regalandoci la Costituzione, il boom economico, i contratti collettivi di lavoro, lo Statuto dei lavoratori e l’opulenza dei nostri tempi. E sono questi fatti che mi fanno affermare con lucido realismo che l’Italia uscirà da questa emergenza più forte che mai! Intanto va detto che quanto stiamo vivendo ci deve far riflettere ed annullare gli egoismi nei nostri comportamenti in favore di comportamenti altruisti.
Il buono di questo periodo è che abbiamo tempo per parlare in famiglia, pensare, riflettere ed agire con comportamenti responsabili verso la società; tempo utile per comprendere che bisogna stare bene con se stessi per poter stare bene con gli altri.
Insieme diventeremo più forti e guarderemo il futuro con ottimismo . #andratuttobene!
Andrea Mongillo Impiegato Cirio Fagianeria di Piana di Monteverna