Anche questa, tra qualche anno, sarà ricordata, qui da noi più che altrove, come una delle tante emergenze cui è da molto tempo abituata la popolazione.
Da noi più che altrove, poiché questa nostra Regione in pochi decenni le ha vissute proprio tutte le emergenze, da quella sismica a quelle sanitarie (colera e oggi coronavirus) a quelle ambientali (crisi dei rifiuti, inquinamento di acque e suolo, terra dei fuochi) e idrogeologiche (Sarno). Tutte dentro un’altra grande emergenza continua, ininterrotta: il progressivo smantellamento – a partire già dagli anni ’70 – dell’apparato industriale e produttivo meridionale, nel quale si è rispecchiata la fine dell’illusione di riuscire a superare la condizione di arretratezza, di questa Regione come di tutto il Mezzogiorno, rispetto all’altra Italia del Centro Nord.
Proprio questa endemica arretratezza, che è sbagliato leggere solo in termini di occupazione e reddito pro-capite, ma che si manifesta pure come ‘debolezza sociale’ alla quale concorrono individualismo esasperato, atavica refrattarietà al rispetto delle leggi, predisposizione elettiva all’arte di arrangiarsi, inaffidabilità delle classi dirigenti, è motivo diretto o concausa delle emergenze passate e presenti: alcune piovute veramente dal cielo, come il terremoto o il covid-19, altre prevedibili, ma aggravate da noi stessi, dall’inadeguatezza dei nostri presidi, dall’incompetenza diffusa a piene mani in numerosi gangli essenziali dell’apparato pubblico, altre ancora provocate da una diffusa mancanza di senso civico associata a comportamenti criminali, nel brodo di coltura costituito dalla sordità e dall’inefficienza delle amministrazioni pubbliche.
Nella memoria che conserveremo in futuro dei giorni del coronavirus speriamo resti il flash di qualche mese di allarme e di sacrificio e l’immagine di un paese che anche al Sud abbia affrontato con disciplina e compostezza l’emergenza, sapendo approfittare – nonostante l’endemica insufficienza e impreparazione delle nostre strutture sanitarie e dei servizi pubblici in genere – del ritardo con cui il virus si è affacciato nelle regioni meridionali.
Così ci auguriamo che resti confermata la linea di pensiero espressa da alcuni specialisti che continuano a ritenere – con qualche buon motivo – che il tasso reale di letalità del covid-19 (rapportato all’ignoto numero reale dei contagiati) sia non molto superiore a quello di alcune epidemie influenzali recentemente trascorse.
Del resto è bene sperare nel meglio e prepararsi al peggio. E fare perciò – noi cittadini comuni – esercizio di disciplinata osservanza delle limitazioni e delle precauzioni imposte dal Governo. E augurarci che le nostre amministrazioni pubbliche lottino efficacemente contro il tempo per rafforzare i presidi ospedalieri, per rallentare i contagi, per alleviare i disagi, per potenziare i meccanismi di intervento e di trattamento su ogni nuovo caso e finalmente per preparare il ritorno alle ordinarie attività produttive, formative, culturali oggi sospese o rallentate.
Già! Il ritorno all’ordinario.
Comprendo e condivido i dubbi espressi da Isaia Sales su ‘il Mattino’ dell’undici marzo. La discussione sul modello di governance è indispensabile ora, in ‘tempo di guerra’, per ripartire meglio dopo l’emergenza, per imparare a esser pronti, a costruire strumenti efficaci per prevenire le prossime variegate emergenze a cui rimarremo esposti (forse sempre più esposti, a causa di fenomeni planetari come l’incremento demografico e i cambiamenti climatici).
È giusto allora riflettere fin d’ora sui problemi e sulle contraddizioni del regionalismo, o di una certa applicazione del regionalismo che genera insopportabili dissonanze tra poteri nel momento in cui occorrono invece decisioni rapide e univoche. È giusto riflettere su un modello di decentramento istituzionale che sembra aver allargato negli ultimi decenni il solco antico tra Nord e Sud.
E non si può che condividere la conclusione di Sales: “il regionalismo nel Sud è stato una grande occasione sprecata”. Così come non può che essere imputato alla “gestione opaca, familistica, per larghi tratti clientelare ed esposta in alcuni settori anche a infiltrazioni malavitose” il fatto che nelle otto regioni meridionali vi sia da decenni una migrazione di massa continua verso le strutture sanitarie del centro-nord. E che ora, col nemico alle porte, il Sud sia drammaticamente esposto alle conseguenze del virus proprio a causa della gracilità delle proprie strutture di accoglienza e trattamento sanitario.
Il regionalismo ha dato effetti ancora peggiori dopo la riforma del titolo V della Costituzione, che ha introdotto il discutibile istituto della legislazione concorrenziale: nelle materie che a essa soggiacciono “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Senonché tra le materie suddette rientrano cose come “tutela della salute” – appunto – ma addirittura “grandi reti di trasporto e di comunicazione” o “trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Qui la legislazione concorrente ha generato e genera mostri.
Forse – me lo auguro di cuore – uno degli insegnamenti che ci lascerà questo maledetto pallino infiocchettato è che ci si salva se impariamo a muoverci (magari anche a stare a casa) nell’interesse nostro e di tutti gli altri appartenenti alla nostra comunità, se riscopriamo così un forte senso di appartenenza di ciascuno di noi a una comunità solidale e se, guardando un po’ oltre il nostro ristretto orizzonte, impariamo che l’interesse nostro e quello di tutti gli altri esseri umani che condividono la Terra con noi sono la stessa cosa.
Cambiamenti climatici e pandemie ci spiegano proprio questo.
Ci salviamo e cresciamo se riusciamo a mettere in comune conoscenze, a elaborare strategie condivise (come è bello dire agli altri e meglio ancora sentirserlo dire da loro: impariamo dai vostri errori), se ci affidiamo a scienza e conoscenza e a coloro che ne sono portatori in ogni campo. Buttando finalmente alle ortiche gli imbonitori e le loro favole evocatrici di superiorità etniche, di recinti e muri, di esclusioni e di odio, dei prima questi e prima quelli che poi significa nessuno prima, ma tutti contro tutti e tutti più deboli.
“Siamo onde di uno stesso mare” è stampigliato sui cartoni di mascherine protettive inviateci ora dai cinesi: proprio da loro, che poco tempo fa demenziali figuri del primagliitaliani si sentivano in diritto di aggredire per strada e che qualche autorevole uomo politico nostrano additava come mangiatori di topi vivi.
Di persone competenti e preparate nei posti di comando abbiamo bisogno soprattutto nel Mezzogiorno.
Senza questa premessa la critica al cattivo regionalismo è esposta a troppo facili attacchi.
Si può pensare che l’emigrazione di massa verso le strutture ospedaliere centro-settentrionali – segno eminente di profonda sfiducia nelle nostre strutture – sia dovuta esclusivamente alla regionalizzazione della Sanità?
E allora a chi è dovuto il minor rendimento medio degli studenti meridionali e il maggior abbandono nelle Scuole Pubbliche di Stato del Sud?
E l’ingolfamento cronico delle strutture della Giustizia di Stato, con le cataste di fascicoli stipate perfino nei corridoi e nei servizi igienici? Fascicoli dei quali non ci sarebbe da tempo più bisogno, se fossero state sviluppate con prontezza e intelligenza le procedure telematiche e attuata la dematerializzazione delle scartoffie, piuttosto che usare i consueti timbri e bolli.
E l’inefficacia delle politiche ambientali nel Sud tutte riservate alle potestà legislative dello Stato? Ho l’impressione che la chiave di lettura debba essere allora un’altra. E altra la battaglia principale da affrontare nel futuro immediato, battaglia dura contro quel clientelismo familista di cui dice Sales, incistato ancora oggi profondamente nella politica e nella burocrazia, per la formazione di una nuova classe dirigente almeno in questa parte del Paese.
Rattrista che l’unica mobilitazione che abbia avuto successo negli ultimi anni sia stata quella contro le élite, proprio qui da noi che di una vera élite politica, culturale e burocratica abbiamo ancora disperato bisogno.
Alfonso De Nardo
Ingegnere e forestale si occupa di ricerche in materia di bonifica idraulica e difesa del suolo. E’ direttore del Centro Studi per le Bonifiche
Una fotografia fedele della nostra realtà e valide indicazioni di opzioni di (ri) lancio.
Grazie per aver condiviso la tua lettura del triste momento che stiamo vivendo e complimenti per l’incisività dei contenuti e la chiarezza espositiva. Un caloroso abbraccio.
Hai perfettamente ragione, ma ho seri dubbi sul fatto che tutto ciò porti ad un cambiamento
Analisi onesta e puntuale di una emergenza, tra le tante, dovuta esclusivamente, a mio avviso, al modus vivendi raffazzonato di noi meridionali. Stile tipicamente “alfonsista”👏👏👏
… e il “nodo” è sempre quello: la formazione e la selezione di una CLASSE DIRIGENTE all’altezza delle situazioni … Ottimo articolo!